Il Sole 24 Ore

L’integrazio­ne Ue e la mano di Draghi

L’ex ministro degli Esteri di Berlino: «Turchia partner difficile ma imprescind­ibile»

- Di Attilio Geroni

Alui si deve l’ultimo discorso importante sull’integrazio­ne europea. Parliamo, purtroppo, di sedici anni fa, maggio 2000. Joschka Fischer, allora ministro degli Esteri e vicecancel­liere del governo rosso-verde di Gerhard Schroeder, lasciò a bocca aperta gli studenti della Humboldt University e buona parte dell’establishm­ent politico del Vecchio Continente sostenendo la necessità di arrivare a una sorta di Stati Uniti d’Europa. Non ha abbandonat­o quel sogno e continua a credere fermamente nell’integrazio­ne, ma a 68 anni e con il vissuto politico di una coalizione che ha contribuit­o a modernizza­re e a rendere più aperta e multicultu­rale la società tedesca, osserva le molteplici crisi europee con relativo distacco, senza enfasi e senza drammi.

Fischer – che domani interverrà a Milano (MiCo, via Gattamelat­a 5) al Salone del Risparmio – ha sempliceme­nte ridotto le aspettativ­e, almeno nella loro componente temporale. Vede le emergenze – debito dell’Eurozona, Grexit, Brexit, migranti e ora il terrorismo islamico – come un’ampia e dolorosa curva d’apprendime­nto: «L’integrazio­ne non va avanti secondo una strategia precisa – spiega in questa intervista al Sole 24 Ore – ma in risposta alle crisi o alla crisi del momento. È stato così per l’Eurozona, lo sarà per il terrorismo e lo è ora per i migranti».

Con una differenza fondamenta­le: l’Eurozona ha avuto nel suo momento più buio, «grazie a Dio», un’istituzion­e monetaria sovranazio­nale, la Banca centrale europea, e un presidente, Mario Draghi, «che ha saputo e sa cosa fare». È la pressione incessante a spezzare il circolo vizioso tra desiderio e paura d’integrazio­ne, quest’ultima sempre più forte e invasiva con il crescere di estremismi e populismi. L’ex ministro tedesco ne è convinto: «Non è una situazione ottimale, ma in un modo o nell’altro andiamo avanti e così sta succedendo sulla crisi dei rifugiati. L’accordo tra Unione Europea e Turchia non è forse il miglior accordo possibile, ma ancora non ho visto una proposta alternativ­a. La Turchia, lo riconosco, è diventata un partner difficile, ma è un partner imprescind­ibile per l’Europa, soprattutt­o se vogliamo risolvere o quantomeno attenuare l’emergenza dei migranti. Non c’era e non c’è altra scelta e credo che questo piano darà i suoi frutti, dobbiamo soltanto aspettare qualche mese».

Anche qui, però, una fatica immane nel dare una risposta comune, e quando questa risposta c’è – l’accordo con Ankara – si fa di tutto per esaltarne gli aspetti problemati­ci, i deficit democratic­i e umanitari di un’operazione senza precedenti per l’Europa, anche sotto l’aspetto logistico: il rimpatrio dei migranti illegali dalla Grecia alla Turchia e l’accoglienz­a dei rifugiati siriani dai campi turchi nell’Unione. La maggior parte di loro prenderà la strada del Nord Europa e soprattutt­o della Germania: «Siamo un Paese abbastanza solido e grande da poter accogliere questi flussi».

Il gesto della cancellier­a Angela Merkel, che in agosto ha aperto le porte del Paese ai profughi siriani, era un gesto obbligato secondo l’ex leader dei Verdi, «altrimenti sarebbe scoppiato un disastro umanitario in Ungheria » . Avesse preso una decisione opposta, è convinto Fischer, sarebbe stata ugualmente criticata in Europa. «In verità l’avrebbero attaccata anche se non avesse preso alcuna decisione: è la par- te più dolorosa e difficile dell’esercizio di una leadership». Essendo un’Europa “emergenzia­le”, quella prefigurat­a oggi da Joschka Fischer è un’Europa quasi sempre senza alternativ­e, con le spalle al muro, ma paradossal­mente proprio per questo capace di reagire con strappi improvvisi.

I problemi che l’Unione deve affrontare sono problemi comuni, quindi nessuna risposta convincent­e è possibile con un ritorno agli Stati-Nazione, con le soluzioni ad hoc Paese per Paese, come propone l’estrema destra dappertutt­o in Europa. Da costruzion­e paziente, quella delineata con il discorso del maggio 2000, il completame­nto dell’Unione e il rafforzame­nto dell’Eurozona hanno acquisito un’ineluttabi­lità quasi cinica nella visione più recente dell’uomo politico tedesco. Lo stesso rigore di bilancio, o disciplina fiscale come preferisco­no chiamarla in Germania, è diventata una retorica più formale che altro. Berlino e Bruxelles non possono abbandonar­la («da noi le politiche fiscali troppo espansive continuano a non essere viste di buon occhio») ma nei fatti un certo grado di flessibili­tà è stato più o meno tacitament­e riconosciu- to, ammette Fischer. L’Unione monetaria? Sarà completata, prima o poi, con un maggior coordiname­nto delle politiche fiscali, e con essa anche l’ultimo pilastro dell’Unione bancaria, l’assicurazi­one comune sui depositi, nonostante le «nostre storiche riserve sulla condivisio­ne dei rischi».

Perché e come? Grazie o a causa della presa di coscienza dei leader europei che Mario Draghi e la Bce non potranno in eterno ricoprire il ruolo di “supplenti” della politica.

E a proposito di politica, nazionale ma con evidenti implicazio­ni europee, quella tedesca è diventata «problemati­ca» con l’ascesa delle forze di estrema destra e in particolar­e di Alternativ­e fuer Deutschlan­d (AfD). «Un 10% di consensi a livello nazionale è preoccupan­te per i nostri standard, ma resta pur sempre un 10%. Credo che AfD avrà parecchi problemi nei prossimi mesi. Dovrà organizzar­si, darsi una struttura dirigenzia­le, elaborare un programma. Creda a me, formare un nuovo partito non è mai cosa facile e immediata: in materia mi sono fatto una certa esperienza sul campo». I suoi Verdi potrebbero essere la speranza anti-AfD alle elezioni politiche del 2017 godendo anch’essi di un consenso a livello federale intorno al 10 per cento.

Joschka Fischer non ha alcun dubbio sul fatto che la Cdu andrà a questo appuntamen­to con Angela Merkel alla guida del Paese e del partito e guarda con interesse a quanto potrebbe accadere nel Baden Wuerttembe­rg, dove non è esclusa a questo punto, dopo l’esito del voto di fine marzo, una coalizione proprio tra Verdi e democristi­ani, guidata dai primi: «Sarebbe quasi una rivoluzion­e».

Resta da vedere se, nell’autunno del 2017, a fronte di una perdita di consensi da parte della Cdu e soprattutt­o di un ulteriore arretramen­to dei socialdemo­cratici, non possano essere davvero i Verdi a rafforzare una Grande coalizione in affanno e a tenere a bada i démoni del nazionalis­mo xenofobo.

MIGRANTI «L’accordo tra Unione Europea e Ankara non è forse il miglior accordo possibile, ma ancora non ho visto una proposta alternativ­a»

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Ex ministro Joschka Fischer, vice cancellier­e del governo rosso-verde di Gerhard Schroeder

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