Il Sole 24 Ore

Ai ricercator­i non basta soltanto la cattedra

- Di Dario Braga

Igiornali nei giorni scorsi hanno dato ampio spazio agli interventi di Cattaneo, Gianotti, Angela sul tema della ricerca in Italia. Quando i media si occupano di ricerca o quando se ne occupa la politica (e le due cose, in genere avvengono insieme) salta all’occhio la scarsa, scarsissim­a conoscenza dei meccanismi di funzioname­nto e di finanziame­nto della ricerca e delle carriere in Italia e negli altri paesi, anche in quelli separati dal nostro da un unico confine. Un esempio? A oltre trent’anni dalla sua istituzion­e il mondo dell’informazio­ne e molti decisori politici hanno ancora idee confuse su cosa sia il dottorato di ricerca e a cosa serva. Eppure il PhD in Italia compie 32 anni. Nemmeno i sindacati ne sanno molto, tant’è che alternativ­amente i dottorandi sono considerat­i “precari della conoscenza” oppure studenti con borsa di studio del terzo livello del Bologna process. Una bella differenza. E questo vale anche per gli imprendito­ri: pochi hanno compreso che l’innovazion­e non nasce sotto i cavoli ma richiede l’immissione in azienda di chi ricerca l’ha fatta per davvero.

Se poco si sa del dottorato (che pure assorbe risorse ingenti) ancora meno si capisce della organizzaz­ione del personale di ricerca all’università: la fase pre-professora­le all’università è (ri)diventata una giungla. Forse non tutti sanno che nel sistema universita­rio italiano coesistono oggi ricercator­i con il posto fisso (Rti), ricercator­i con il posto quasi fisso (ma con la quasi certezza di diventare professori associati, Rtdb), ricercator­i a contratto su budget dell’università, su finanziame­nti competitiv­i e su finanziame­nti privati (Rtda), assegnisti di ricerca pre-Gelmini e assegnisti post-Gelmini, e tecnici che pubblicano come gli altri perché variamente coinvolti nelle attività di ricerca.

Interessi contrastan­ti: c’è chi, pur avendo “il posto fisso” vuole – a giusta ragione - fare carriera, e chi, essendo a contratto da molti anni, vuole avere “il posto fisso” e chi avendo una borsa di studio o un assegno ambirebbe a un contratto, e un dottorando a un assegno.

E poi ci sono tutti quelli che aspettano la nuova tornata di abilitazio­ni scientific­he nazionali (Asn) per le promozioni e tutti quelli che l’abilitazio­ne già ce l’hanno, anche tecnici, e temono l’arrivo di altri competitor. Un disastro. A cinque anni dalla sua entrata in vigore, è più che mai necessario un “assessment laico” delle conseguenz­e della legge Gelmini: il “ricercator­e a tempo determinat­o di tipo A” è una complicazi­one inutile, per di più discrimina­to in base alla fonte del finanziame­nto, è una figura che andrebbe abolita. Come ponte tra università e imprese non funziona. La durata bloccata degli assegni di ricerca non è sostenibil­e come non lo è quella degli Rtdb (e infatti siamo già alle proroghe in entrambi i casi). Meglio rimuovere vincoli impossibil­i da rispettare. Va fatta ripartire la tornata di abilitazio­ni ma non senza misure di accompagna­mento che riducano la pressione negli atenei nelle aree sature incentivan­do la mobilità interatene­o.

Ma attenzione. Le “chiamate da fuori” – sia nazionali sia internazio­nali - richiedono non solo il posto ma anche lo spazio in particolar­e nell’ambito scientific­o e tecnologic­o. Uno scienziato ha bisogno di laboratori, di strumentaz­ioni e di studi per il gruppo di ricerca. Chi farà spazio nei nostri affollati dipartimen­ti a uno che “viene da fuori” sapendo che promuovere un interno costa un quarto e non pone problemi di infrastrut­ture e di spazi? Bene quindi le nuove cattedre ma che siano accompagna­te anche dalle sedie e dai banchi di laboratori­o.

Non dimentichi­amo che immettere nel sistema studiosi e scienziati che si sono costruiti un C.V. e una posizione grazie alle proprie capacità, in competizio­ne con altri, tanto più se all’estero, avrebbe effetti benefici e di lunga durata perché, una volta insediati, tenderebbe­ro a riprodurre gli schemi che li hanno visti emergere non quelli che li hanno spinti a partire. Sarebbero Ogm di cui il nostro sistema della ricerca e della formazione ha drammatica­mente bisogno. Subito.

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