Ai ricercatori non basta soltanto la cattedra
Igiornali nei giorni scorsi hanno dato ampio spazio agli interventi di Cattaneo, Gianotti, Angela sul tema della ricerca in Italia. Quando i media si occupano di ricerca o quando se ne occupa la politica (e le due cose, in genere avvengono insieme) salta all’occhio la scarsa, scarsissima conoscenza dei meccanismi di funzionamento e di finanziamento della ricerca e delle carriere in Italia e negli altri paesi, anche in quelli separati dal nostro da un unico confine. Un esempio? A oltre trent’anni dalla sua istituzione il mondo dell’informazione e molti decisori politici hanno ancora idee confuse su cosa sia il dottorato di ricerca e a cosa serva. Eppure il PhD in Italia compie 32 anni. Nemmeno i sindacati ne sanno molto, tant’è che alternativamente i dottorandi sono considerati “precari della conoscenza” oppure studenti con borsa di studio del terzo livello del Bologna process. Una bella differenza. E questo vale anche per gli imprenditori: pochi hanno compreso che l’innovazione non nasce sotto i cavoli ma richiede l’immissione in azienda di chi ricerca l’ha fatta per davvero.
Se poco si sa del dottorato (che pure assorbe risorse ingenti) ancora meno si capisce della organizzazione del personale di ricerca all’università: la fase pre-professorale all’università è (ri)diventata una giungla. Forse non tutti sanno che nel sistema universitario italiano coesistono oggi ricercatori con il posto fisso (Rti), ricercatori con il posto quasi fisso (ma con la quasi certezza di diventare professori associati, Rtdb), ricercatori a contratto su budget dell’università, su finanziamenti competitivi e su finanziamenti privati (Rtda), assegnisti di ricerca pre-Gelmini e assegnisti post-Gelmini, e tecnici che pubblicano come gli altri perché variamente coinvolti nelle attività di ricerca.
Interessi contrastanti: c’è chi, pur avendo “il posto fisso” vuole – a giusta ragione - fare carriera, e chi, essendo a contratto da molti anni, vuole avere “il posto fisso” e chi avendo una borsa di studio o un assegno ambirebbe a un contratto, e un dottorando a un assegno.
E poi ci sono tutti quelli che aspettano la nuova tornata di abilitazioni scientifiche nazionali (Asn) per le promozioni e tutti quelli che l’abilitazione già ce l’hanno, anche tecnici, e temono l’arrivo di altri competitor. Un disastro. A cinque anni dalla sua entrata in vigore, è più che mai necessario un “assessment laico” delle conseguenze della legge Gelmini: il “ricercatore a tempo determinato di tipo A” è una complicazione inutile, per di più discriminato in base alla fonte del finanziamento, è una figura che andrebbe abolita. Come ponte tra università e imprese non funziona. La durata bloccata degli assegni di ricerca non è sostenibile come non lo è quella degli Rtdb (e infatti siamo già alle proroghe in entrambi i casi). Meglio rimuovere vincoli impossibili da rispettare. Va fatta ripartire la tornata di abilitazioni ma non senza misure di accompagnamento che riducano la pressione negli atenei nelle aree sature incentivando la mobilità interateneo.
Ma attenzione. Le “chiamate da fuori” – sia nazionali sia internazionali - richiedono non solo il posto ma anche lo spazio in particolare nell’ambito scientifico e tecnologico. Uno scienziato ha bisogno di laboratori, di strumentazioni e di studi per il gruppo di ricerca. Chi farà spazio nei nostri affollati dipartimenti a uno che “viene da fuori” sapendo che promuovere un interno costa un quarto e non pone problemi di infrastrutture e di spazi? Bene quindi le nuove cattedre ma che siano accompagnate anche dalle sedie e dai banchi di laboratorio.
Non dimentichiamo che immettere nel sistema studiosi e scienziati che si sono costruiti un C.V. e una posizione grazie alle proprie capacità, in competizione con altri, tanto più se all’estero, avrebbe effetti benefici e di lunga durata perché, una volta insediati, tenderebbero a riprodurre gli schemi che li hanno visti emergere non quelli che li hanno spinti a partire. Sarebbero Ogm di cui il nostro sistema della ricerca e della formazione ha drammaticamente bisogno. Subito.