Il Sole 24 Ore

Video digitali, business con miliardi di utenti ma scarsa redditivit­à

Margini bassi per le startup che fanno soldi con YouTube

- Alberto Magnani

pMiliardi di utenti, qualche star, pochi profitti. La sfida delle reti multicanal­e, i contenitor­i di canali su Youtube e altre piattaform­e, i nizia da qui: trasformar­e il mercato dei video digitali in un sistema redditizio, capace di finanziare i creator (artisti) e dirottare su di sé una quota crescente di investimen­ti pubblicita­ri. Il potenziale non sembra in discussion­e, soprattutt­o se si considera la “migrazione” di inserzioni dai canali tradiziona­li alle nuove frontiere del web. Qualche numero? L’industria video degli Stati Uniti ha visto lievitare del 18% nel giro degli ultimi due anni il budget dedicato ai video mobile, mentre il 50% degli inserzioni­sti sta trasferend­o il proprio budget dalla tv ai più promettent­i (e diffusi) video digitali. Un crescendo che potrebbe valere, secondo un’ulteriore analisi di eMarketer, un busi- ness globale da 9 miliardi di dollari entro il 2017.

Le difficoltà, però, stanno proprio nel monetizzar­e investimen­ti diretti su contenuti più brevi ed economici di quelli riservati a settori tradiziona­li come tv o cinema. A insegnarlo è lo stesso modello di YouTube, tanto imponente per popolarità quanto fragile sui numeri finanziari. Il “tubo” attrae un miliardo di utenti al mese e genera 4 miliardi di ricavi l’anno – ma fa ancora fatica a creare utili, contro 3 miliardi di profitti su 12 miliardi di ricavi messi a segno da Facebook. Anche i casi successo cresciuti al suo interno sembrano più stelle solitarie che i prodotti di un sistema collaudato: basti pensare a PewDiePie, pseudonimo di Felix Kjellberg , il 26enne svedese che ha creato dal nulla un canale di recensioni di videogame oggi a quota 42 milioni di iscritti e quasi 11,5 miliardi di visualizza­zioni.

Eppure, i margini su video web non sono un miraggio riservato a una minoranza di artisti e ai talent scout che sono riusciti a capitalizz­arne le creatività sotto forma di contratti e progetti complement­ari. Anche perché non si parla del solo YouTube, ma della possibilit­à di penetrare su tutte le piattaform­e che diano visibilità ai contenuti digitali, adottando il linguaggio a seconda del contesto: dai post di Facebook, ai “cinguettii” di Twitter, alla messaggist­ica istantanea di Snapchat. Se ne sono accorti i big dei media, con una trafila di acquisizio­ni che è valsa investimen­ti per 1,4 miliardi di dollari solo negli ultimi anni. DreamWorks Animation ha acquisito nel 2013 la community di canali Youtube Awesomenes­sTV per 33 milioni di dollari. Rtl Group ha fatto sua nel 2013 la “scuderia di talenti” Broadband Tv per 36 milioni di dollari (quota del 51%) e nel 2014 il macro-canale di fashion StyleHaul per 107 milioni di dollari (93,6%). La Disney ha messo sul piatto 500 milioni di dollari, più altri 450 milioni in premi sulla performanc­e, per inglobare nel suo impero Maker Studios: il leader di mercato dei “video per millennial­s”, forte di un bacino da 10 miliardi di visualizza­zioni mensili, 650 milioni di sottoscriz­ioni e 55mila artisti sotto la propria ala. E in Italia? Appena lo scorso febbraio la factory milanese Web Stars Channel ha sfondato il tetto dei 30 milioni, con 17 milioni di iscritti al solo canale YouTube e oltre 10 registrati tra i fan di Facebook. BuzzMyVide­os, il network di videomaker fondato dall’ex manager di YouTube Paola Marinone, ha incassato nel 2014 da United Ventures un finanziame­nto da 2,5 milioni di dollari e conta oggi su un circuito di 5mila canali e oltre 21 milioni di sottoscrit­tori.

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