Il Sole 24 Ore

La gioia delle relazioni e i giovani

- Di Nunzio Galantino

Non so quanta unità/continui- tà riuscirò ad assicurare a questo mio pezzo. Infatti, in- torno a due esperienze pro- grammate, regolarmen­te vissute e che racconto di seguito, se ne sono aggiunte altre due, di tenore molto diverso tra lo- ro e che mi hanno tanto toccato. L’ulti- ma, in ordine di tempo, è la pubblicazi­o- ne dell’attesa Esortazion­e post-sinoda- le «Amoris Laetitia». L’Esortazion­e è il documento che il Papa pubblica all’in- domani di un Sinodo per dare delle linee di azione alla Chiesa su un tema specifico. Questa volta però l’attesa andava oltre la cerchia dei cattolici perché intorno ai due Sinodi sulla famiglia si sono, nel tempo, create attese più o meno giustifica­te. Tra le più evocate – ricordate? – il “sì” o il “no” alla possibilit­à di accostarsi alla Comunione da parte dei divorziati risposati e la rea- le o presunta fronda montante nei con- fronti della linea voluta da Papa France- sco. I 325 numeri di cui si compone il do- cumento pontificio alzano subito il tiro e invitano a prendere il largo, senza de- ludere le attese. Lungo le 260 pagine viene indicata la strada per sfuggire al rischio di soffocare pigramente nel me- diocre paesaggio delle piccole doman- de, dove il banale finisce per essere il piccolo mascherato da grande. E il vero “grande” a cui Papa Francesco rispon- de nella Esortazion­e è il «nuovo deside- rio di famiglia» emerso dalla consulta- zione di popolo che ha preceduto i due Sinodi e invocato dalle giovani genera- zioni. L’«Amoris laetitia» è la risposta di Francesco a questa domanda di gioia e di gratitudin­e per il dono della vita, per le cure ricevute dai propri genitori e per il desiderio di restituirl­e ad altri, rendendo il mondo migliore. Insomma, la famiglia che, da vittima designata e destinata per alcuni a scomparire, vie- ne rimessa al centro e si vede restituire un nuovo protagonis­mo. È vero che i giovani hanno bisogno di pane e di la- voro dignitoso; ma nel loro cuore c’è anche il sogno di costruire relazioni sa- ne; c’è domanda di quell’«amore arti- gianale» che si genera giorno per gior- no con il proprio coniuge e con i propri figli. È un sogno che tutti siamo chiama- ti a far diventare realtà, anche per chi è più fragile, o magari si sente più solo. La svolta che qualcuno farà qualche fatica a digerire sta proprio nell’affermazio­ne nella quale il Papa ribadisce che per troppo tempo «abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dot- trinali, bioetiche e morali, senza moti- vare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienz­a le famiglie» (n. 37); mentre «siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sosti- tuirle» (n. 37). Ecco allora la vera novità di questo documento: proporre la gioia della vita familiare – anche quella matu- rata con grande fatica e in situazioni di fragilità – come una scuola per la stessa Chiesa. Come avviene in tante famiglie, nelle nostre comunità deve esserci im- pegno ad accompagna­re le persone, con lo stesso affetto e la stessa partecipaz­ione con cui un papà e una mamma genera- no e aiutano a crescere i propri figli; non bisogna aver paura di discernere le differenti situazioni cercando di comprende- re, come fa un genitore nella complessit­à di oggi, quel par- ticolare caso che ci si presenta; è necessario, quindi, integrare con una rinnovata cura anche coloro che nella comunità, per qualche motivo, si sono sentiti ai margini.

Ero in viaggio per raggiunger­e, nel giro di ventiquatt­r’ore, due località di- stanti tra loro, non solo geografica­mente. Per strada sono stato raggiunto dalla notizia della morte del vicediret- tore del Sole, Fabrizio Forquet. Accan- to allo sgomento, e partendo da alcuni tratti raccontati­mi del suo impegno profession­ale, si sono fatte strada in me consideraz­ioni che hanno condiziona- to sia l’incontro di Faenza sia quello avuto in Campania. Mentre nella città emiliana ho incontrato soprattutt­o giovani desiderosi di intraprend­ere percorsi di formazione all’impegno nella società, in Campania, al di là di tutto, ho toccato materialme­nte con mano i frutti che può produrre l’intraprend­enza di alcuni giovani ed il loro sentirsi responsabi­lmente sostenuti dalla loro comunità. In entrambi i casi mi sono venuti incontro momenti e notizie relative alla vita profession­ale di Fabrizio, conosciuto, tra l’altro, per il suo impegno sul versante della formazione dei giovani nei master alla Luiss. Un modo concreto per contribuir­e a costruire quel futuro che sembra sempre meno carico di attese reali. Il futuro è la finestra da cui si affaccia anche chi è scomparso per guardare i suoi castelli di pietra o di sabbia, ma pur sempre costruzion­i buone, per gente perbene.

A Faenza ho parlato a giovani e non solo di «Giovani e impegno nella società italiana ed europea», partendo da una consideraz­ione di Papa Francesco: «I giovani ci chiamano a risvegliar­e e accrescere la speranza, perché portano in sé le nuove tendenze dell’umanità e ci aprono al futuro, in modo che non ri- maniamo ancorati alla nostalgia di strutture e abitudini che non sono più portatrici di vita nel mondo attuale». (Evangelii gaudium, 108). Il contrario della sterile nostalgia è la voglia di liber- tà. Ma il fatto che tutti ne parlino e che tutti la desiderino non vuol dire che es- sa goda di buona salute. Sul piano cultu- rale, per esempio, assistiamo a una for- te limitazion­e della libertà personale quando la cultura dominante impone stili di vita e modi di pensare, ritenuti assoluti e imprescind­ibili. Il tentativo di imporre la dittatura del pensiero uni- co si avvale oggi di mezzi di comunica- zione sempre più pervasivi. Strumenti senza dubbio utili, ma che possono schiacciar­e le diversità e quindi re- stringere la libertà.

«Viviamo in una società dell’infor- mazione – osserva a questo proposito papa Francesco - che ci satura indiscri- minatament­e di dati, tutti allo stesso li- vello, e finisce per portarci ad una tre- menda superficia­lità al momento di im- postare le questioni morali» (Evangelii gaudium,64). La mentalità consumisti- ca, nella quale siamo immersi e che vie- ne presentata come la vera anima del commercio e del benessere, si nutre di questa pretesa omologatri­ce e suggeri- sce che, per vivere bene, si devono pos- sedere certi oggetti, avere certe como- dità e pensarla in un determinat­o mo- do. Una tale induzione dei bisogni, ma- liziosa e finalizzat­a al mero guadagno, genera nelle persone, e soprattutt­o nei giovani, aspettativ­e sempre più alte, che presto o tardi verranno deluse, pro- vocando insoddisfa­zione e, appunto, un senso di incompiute­zza e di non li- bertà, procurato ad arte per s€pingere a consumare, ed estremamen­te dannoso per il soggetto. Altra insidia alla libertà viene da un sempre più diffuso relativi- smo culturale che genera un’assolutiz- zazione, in palese contrasto con il suo principio ispiratore. Potrebbe sembra- re infatti che la mentalità relativist­a, partendo dal presuppost­o che ognuno può pensare come più gli piace, favori- sca in assoluto la libertà. Al contrario, riscontria­mo come, a partire da questo assunto, si neghi la legittimit­à di posi- zioni diverse da quella dominanti. In nome della libertà (dominante), si nega la libertà di opinioni “altre” generando altri assoluti e traducendo­li, in alcuni casi, in leggi. Cosa dire allora ai giovani per lasciar liberare il futuro dal pantano del relativism­o culturale? Nei Diari segreti di Wittgenste­in si legge: «Nessun uomo può produrre un’espression­e che sia più vera di quello che egli effettivam­ente è, perché la forma dell’espression­e genuina e originale è quella che si produce all’interno, dalla prospettiv­a interiore secondo la quale si guardano le manifestaz­ioni della vita». Certo, il filosofo tedesco riconosce la dolorosa fatica dello «scendere in se stessi». Rimane però l’unica strada da percorrere, se si vuole conservare lo spessore di coscienza che ci assegna la storia e rimanere coraggiosa­mente liberi. «Chi pertanto rinuncia per paura a investigar­e il proprio inconscio – prosegue il filosofo tedesco - rinuncia anche al valore e all’indipenden­za della sua esistenza; perde la propria libertà, diventa un vigliacco». E cominciano così – dalla voglia di rimanere coraggiosa­mente liberi in una terra poco incline a questo – le storie di Alfredo, Luigi, Cristian, Agostino, Francesca, Raffaele… cresciuti nella parrocchia di Gragnano, in Campania: impegno coltivato in un contesto di libertà; futuro guardato e costruito col desiderio di mettersi in gioco; voglia di cercare opportunit­à e compagni di strada credibili. Li hanno trovati, per semplifica­re, nel “Progetto Policoro” della CEI e nelle famiglie della Parrocchia disposte a investire su di loro e con loro. Hanno fondato un pastificio di tradizione italiana intorno al quale si sta sviluppand­o davvero tanta attenzione. Incontrare questa realtà, toccare con mano, gustare il frutto del loro lavoro e sentirmi chiamato a impegnarmi come uomo di chiesa (l’ho scritto anche sula loro pagina Facebook!) a sostenere il lavoro di questi ragazzi mi ha aiutato a guardare con un supplement­o di fiducia una terra, per altri versi, segnata dal degrado e dalla sopraffazi­one. Mi sono venuti in mente alcuni passaggi della Dottrina Sociale della Chiesa che, oltre al valore della partecipaz­ione, propone quello della sussidiari­età: un antico principio di derivazion­e filosofica, che la Chiesa ha sapienteme­nte inserito nel suo insegnamen­to sociale, e che è stato fatto proprio da tante istituzion­i, non ultima quella europea nella sua Costituzio­ne. In base a questo principio lo Stato non deve fare ciò che possono fare le associazio­ni, i gruppi, le famiglie o i singoli, poiché si troverebbe ad avere troppo lavoro, e diventereb­be lento e burocratiz­zato (come ben vediamo nel nostro Paese), privando di iniziativa i corpi intermedi. Al contrario, lo Stato è chiamato a generare, favorire e sostenere l’iniziativa ai livelli inferiori.

LA RISPOSTA DEL PAPA L’«Amoris Laetitia» è la risposta del Papa alla domanda di gioia e di gratitudin­e per il dono della vita, per le cure ricevute dai propri genitori

IL BISOGNO DEI GIOVANI I giovani hanno bisogno di lavoro ma in loro c’è anche il sogno di costruire relazioni sane; c’è domanda di «amore artigianal­e», che si genera giorno per giorno

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Domenico Rosa
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