Una strategia «europea» per la crescita italiana
Il Consiglio dei ministri ha approvato il Def (Documento di economia e finanza) che ricomprende due programmi e cioè quello di stabilità e quello nazionale di riforma sui quali, da qui a fine anno, si svolgeranno le dialettiche istituzionali che portano alla legge di stabilità. Il confronto sarà con il Parlamento italiano e con le istituzioni europee. Si tratta degli shareholders del Governo. Ma vale anche il viceversa perché l’Italia è shareholder della Uem e bene hanno fatto il presidente Renzi e il ministro Padoan a rimarcarlo. Vediamo come e perché su due temi per avere una fiducia critico-costruttiva nel proprio Paese.
Progettualità e flessibilità. Il ministro è stato chiaro segnalando che il Governo non ha adottato con il Def una intonazione (più) restrittiva della politica di bilancio perché ci sono rischi sia di deflazione e stagnazione provenienti dal contesto internazionale sia di contraccolpi endogeni sulla crescita, e quindi sui rapporti di finanza pubblica, anche a causa dell’insufficiente coordinamento delle politiche fiscali europee. Padoan lo può dire forte per almeno due ragioni. La prima è che con il progetto «una strategia europea condivisa per crescita, lavoro e stabilità» l’Italia ha esplicitato un disegno che può o meno essere condiviso ma che punta ad una maggiore integrazione europea come strumento di superamento della crisi e non come causa di nuovi problemi. La seconda è che le clausole di flessibilità che l’Italia chiede di utilizzare per attenuare il percorso verso il pareggio di bilancio strutturale, adesso spostato al 2019, e per puntare ad un deficit nominale dell’1,8% invece che dell’1,1% nel 2017 sono pienamente giustificate dalle emergenze immigrazione e deflazione che non sarà sconfitta dalla politica monetaria della Bce se poi si preclude alla politica di bilancio un minimo di flessibilità. L’Italia d’altronde rispetta ampiamente nell’anno corrente (con un 2,3%) il vincolo del 3% di deficit su Pil che la Spagna (con il 4,5%) e la Francia(con il 3,8%) violano platealmente decidendo per conto proprio di usare le clausole di flessibilità.
Èvero che noi dobbiamo essere più prudenti causa del nostro debito pubblico sul pil che tuttavia dal 2016 ricomincerà a scendere sia pure lentamente. Da questo punto di vista confidiamo che, mercato dei capitali permettendo, le privatizzazioni (parziali) procedano sollecitamente su Enav, Ferrovie dello Stato, Grandi stazioni, STM.
Crescita e investimenti.Il p il italiano è previsto in crescita dell ’1,2% nel 2016 epoitr al ’1,4% el ’1,5% fino al 2019. Il fatto che la crescita sia stata rivista al ribasso per il 2016 non sorprende perché questo è accaduto per quasi tutti i Paesi della Uem a causa di fattori esogeni ed endogeni di grande impatto economico e socio-politico. Il rallentamento della economia internazionale e la caduta dei prezzi della materie che hanno contribuito alla deflazione. L’impatto dei conflitti medio-orientali e dei movimenti migratori che hanno trovato l’Europa del tutto impreparata. In questo scenario è però positivo che il divario di crescita tra l’Italia e la media della Uem si vada riducendo significativamente. Nel 2014 eravamo sotto di1,2p unti per cen tua li(pp),n el 2015 siamo sotto di 0,7 pp, nel ’16 di 0,4, nel 2018 saremo sotto di 0,3. La convergenza dell’Italia alla media della Uem si sta verificando ma questo non basta per eliminare due preoccupazioni.
La prima è che l’Italia dagli inizi degli anni 90 cresce meno della media Uem (configurata a 19 Paesi) con un crollo sul periodo 2008-14 quando a fronte di una “crescita” zero della Uem non siamo calati di 1,3 pp all’anno. La nostra crisi è stata davvero molto pesante e quindi non meraviglia se dal 2015 al 2018 resteremo ancora un po’ sotto la media Uem per poi allinearci dal 2019. La seconda preoccupazione rende meno tranquillizzante questo “allineamento”. Infatti anche la Uem non ha delle buone performance di lungo periodo perché cresce comparativamente poco rispetto agli Usa. Infatti dal 1981 al 2014 la Uem è stata più lenta da 1 pp a un 1,5 pp in media annua e le previsioni la vedono più lenta anche dal 2015 al 2023. Questo è un problema che la Uem non ha ancora risolto e che non può essere affidato solo alla Bce che ormai è già in terra incognita con i tassi di interesse negativi.
La strategia per il rilancio della crescita e della occupazione nelle Uem e in Italia passa principalmente dagli investimenti. Per questo ci ha fatto molto piacere che nel Def il primo degli strumenti operativi sia una azione di riforme strutturali e di stimolo agli investimenti pubblici e privati. Padoan nella sua premessa al Def incentra tutta la progettazione qualitativa intorno a questo tema prefigurando una azione per migliorare il clima di operatività delle imprese via efficientamento della pubblica amministrazione e riduzione del carico fiscale altre a quello già attuato sull’ Irap. Speriamo dunque che nel 2017 venga davvero ridotta l’Ires utilizzando la flessibilità sul deficit ed anche mettendo la spesa pubblica sotto un maggior controllo qualitativo e quantitativo. Importantesin d’ ora che gli investimenti pubblici abbiano ricominciato a crescere dopo annidi pesanti riduzioni e chela revisione del patto di stabilità interno possa dare un ulteriore contributo. Anche qui bisogna però che la spending review non sia dimenticata e che il programma di sfoltimento delle società partecipate locali proceda sollecitamente.
Una conclusione. L’opinione pubblica è lo stakeholder principale del Governo e per valutarlo deve avere un atteggiamento critico-costruttivo tenendo sempre presente che dal 2011 al 2015 abbiamo cambiato quattro governi. L’Italia deve infatti puntare ad altri record diversi da quelli di essere il Paese della eurozona che ha cambiato nel dopoguerra il maggior numero di esecutivi.