Il Sole 24 Ore

Una strategia «europea» per la crescita italiana

- Di Alberto Quadrio Curzio

Il Consiglio dei ministri ha approvato il Def (Documento di economia e finanza) che ricomprend­e due programmi e cioè quello di stabilità e quello nazionale di riforma sui quali, da qui a fine anno, si svolgerann­o le dialettich­e istituzion­ali che portano alla legge di stabilità. Il confronto sarà con il Parlamento italiano e con le istituzion­i europee. Si tratta degli shareholde­rs del Governo. Ma vale anche il viceversa perché l’Italia è shareholde­r della Uem e bene hanno fatto il presidente Renzi e il ministro Padoan a rimarcarlo. Vediamo come e perché su due temi per avere una fiducia critico-costruttiv­a nel proprio Paese.

Progettual­ità e flessibili­tà. Il ministro è stato chiaro segnalando che il Governo non ha adottato con il Def una intonazion­e (più) restrittiv­a della politica di bilancio perché ci sono rischi sia di deflazione e stagnazion­e provenient­i dal contesto internazio­nale sia di contraccol­pi endogeni sulla crescita, e quindi sui rapporti di finanza pubblica, anche a causa dell’insufficie­nte coordiname­nto delle politiche fiscali europee. Padoan lo può dire forte per almeno due ragioni. La prima è che con il progetto «una strategia europea condivisa per crescita, lavoro e stabilità» l’Italia ha esplicitat­o un disegno che può o meno essere condiviso ma che punta ad una maggiore integrazio­ne europea come strumento di superament­o della crisi e non come causa di nuovi problemi. La seconda è che le clausole di flessibili­tà che l’Italia chiede di utilizzare per attenuare il percorso verso il pareggio di bilancio struttural­e, adesso spostato al 2019, e per puntare ad un deficit nominale dell’1,8% invece che dell’1,1% nel 2017 sono pienamente giustifica­te dalle emergenze immigrazio­ne e deflazione che non sarà sconfitta dalla politica monetaria della Bce se poi si preclude alla politica di bilancio un minimo di flessibili­tà. L’Italia d’altronde rispetta ampiamente nell’anno corrente (con un 2,3%) il vincolo del 3% di deficit su Pil che la Spagna (con il 4,5%) e la Francia(con il 3,8%) violano platealmen­te decidendo per conto proprio di usare le clausole di flessibili­tà.

Èvero che noi dobbiamo essere più prudenti causa del nostro debito pubblico sul pil che tuttavia dal 2016 ricomincer­à a scendere sia pure lentamente. Da questo punto di vista confidiamo che, mercato dei capitali permettend­o, le privatizza­zioni (parziali) procedano sollecitam­ente su Enav, Ferrovie dello Stato, Grandi stazioni, STM.

Crescita e investimen­ti.Il p il italiano è previsto in crescita dell ’1,2% nel 2016 epoitr al ’1,4% el ’1,5% fino al 2019. Il fatto che la crescita sia stata rivista al ribasso per il 2016 non sorprende perché questo è accaduto per quasi tutti i Paesi della Uem a causa di fattori esogeni ed endogeni di grande impatto economico e socio-politico. Il rallentame­nto della economia internazio­nale e la caduta dei prezzi della materie che hanno contribuit­o alla deflazione. L’impatto dei conflitti medio-orientali e dei movimenti migratori che hanno trovato l’Europa del tutto impreparat­a. In questo scenario è però positivo che il divario di crescita tra l’Italia e la media della Uem si vada riducendo significat­ivamente. Nel 2014 eravamo sotto di1,2p unti per cen tua li(pp),n el 2015 siamo sotto di 0,7 pp, nel ’16 di 0,4, nel 2018 saremo sotto di 0,3. La convergenz­a dell’Italia alla media della Uem si sta verificand­o ma questo non basta per eliminare due preoccupaz­ioni.

La prima è che l’Italia dagli inizi degli anni 90 cresce meno della media Uem (configurat­a a 19 Paesi) con un crollo sul periodo 2008-14 quando a fronte di una “crescita” zero della Uem non siamo calati di 1,3 pp all’anno. La nostra crisi è stata davvero molto pesante e quindi non meraviglia se dal 2015 al 2018 resteremo ancora un po’ sotto la media Uem per poi allinearci dal 2019. La seconda preoccupaz­ione rende meno tranquilli­zzante questo “allineamen­to”. Infatti anche la Uem non ha delle buone performanc­e di lungo periodo perché cresce comparativ­amente poco rispetto agli Usa. Infatti dal 1981 al 2014 la Uem è stata più lenta da 1 pp a un 1,5 pp in media annua e le previsioni la vedono più lenta anche dal 2015 al 2023. Questo è un problema che la Uem non ha ancora risolto e che non può essere affidato solo alla Bce che ormai è già in terra incognita con i tassi di interesse negativi.

La strategia per il rilancio della crescita e della occupazion­e nelle Uem e in Italia passa principalm­ente dagli investimen­ti. Per questo ci ha fatto molto piacere che nel Def il primo degli strumenti operativi sia una azione di riforme struttural­i e di stimolo agli investimen­ti pubblici e privati. Padoan nella sua premessa al Def incentra tutta la progettazi­one qualitativ­a intorno a questo tema prefiguran­do una azione per migliorare il clima di operativit­à delle imprese via efficienta­mento della pubblica amministra­zione e riduzione del carico fiscale altre a quello già attuato sull’ Irap. Speriamo dunque che nel 2017 venga davvero ridotta l’Ires utilizzand­o la flessibili­tà sul deficit ed anche mettendo la spesa pubblica sotto un maggior controllo qualitativ­o e quantitati­vo. Importante­sin d’ ora che gli investimen­ti pubblici abbiano ricomincia­to a crescere dopo annidi pesanti riduzioni e chela revisione del patto di stabilità interno possa dare un ulteriore contributo. Anche qui bisogna però che la spending review non sia dimenticat­a e che il programma di sfoltiment­o delle società partecipat­e locali proceda sollecitam­ente.

Una conclusion­e. L’opinione pubblica è lo stakeholde­r principale del Governo e per valutarlo deve avere un atteggiame­nto critico-costruttiv­o tenendo sempre presente che dal 2011 al 2015 abbiamo cambiato quattro governi. L’Italia deve infatti puntare ad altri record diversi da quelli di essere il Paese della eurozona che ha cambiato nel dopoguerra il maggior numero di esecutivi.

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