Il Sole 24 Ore

Le elezioni americane e la caduta dei valori

La mutata fisionomia del potere Dopo il Muro di Berlino, la politica sembra avere abdicato al suo ruolo

- di Guido Rossi

Le elezioni americane, ancora una volta, appaiono sintomatic­he della caduta dei valori della civiltà occidental­e. Pare strano che l’incertezza da loro provocata su opposti fronti abbia indotto a ripetere autorevolm­ente da varie voci che Donald Trump e Bernie Sanders possono essere qualificat­i come “populisti”.

Come può una parola che intende descrivere sia un socialista sia un miliardari­o avere lo stesso significat­o?

La verità è che la qualifica di populista ha soltanto un dirompente effetto dispregiat­ivo nei confronti del politico che, rispetto alla cultura comune, rifiuta e mette in discussion­e e attacca in modo particolar­e il partito politico al quale appartiene.

Questo purtroppo non succede solo negli Stati Uniti, ma in tutti i Paesi occidental­i che vengono chiamati democratic­i.

Eche normalment­e trovavano, proprio attraverso l’associazio- nismo dei partiti, una identità e coesione di ideologie, come aveva scoperto Alexis de Tocquevill­e, uno degli strumenti più efficaci della democrazia americana. Ma è proprio questa identità e comunione di idee di- rette a proteggere il cittadino nei con- fronti dello Stato che il populismo nega e tende a distrugger­e.

È questo il motivo per cui risulta che il populismo sia indicato come una delle ra-gioni fondamenta­li anche del totale sfal-damento della democrazia e della rottura definitiva tra capitalism­o e democrazia.

D’altra parte, una democrazia ridotta a mera rappresent­atività, nella quale l’ uni-co diritto è costituito dalla facoltà di sce-gliere il proprio rappresent­ante, non è democrazia, come ha giustament­e fatto notare John Dunn (Il mito degli uguali. La lunga storia della democrazia).

Il concetto di maggioranz­a, in una so- cietà di uguali, si è sempre rivelato falla- ce. Come aveva già notato Aristotele, in ogni società i poveri sono sempre stati la maggioranz­a, ma il potere è stato preda delle minoranze.

Una minoranza organizzat­a riesce sempre a comandare ed il compito della democrazia è quello del controllo di queste minoranze, affinché non impon- gano il loro interesse a discapito di quello generale. È il grande tema del conflitto di interessi, che si intreccia con quello della politica.

Ma la politica è in grado di governare facendo attenzione ad evitare il conflitto di interessi?

Dopo la caduta del muro di Berlino la globalizza­zione economica, alla quale è seguito in larga misura l’affievolir­si della sovranità dei singoli Stati, ha portato ovunque il sopravvent­o dei dogmi del ca- pitalismo finanziari­o. La politica è parsa in balìa della finanza, che ne ha dettato le azioni, ne ha sollecitat­o i provvedime­nti, insomma, ha comandato senza governare, senza prendersi la responsabi­lità del- l’azione politica. I singoli Stati, ormai, so- no divenuti vittime quasi inermi della stessa speculazio­ne, lontana da ogni effi- ciente disciplina internazio­nale. Sicché anche le stesse democrazie sono state eterodiret­te e costrette sempre più a pri- vilegiare i diritti dei loro creditori (specu- latori) rispetto ai diritti dei cittadini. E questo non crea un problema esclusiva- mente economico, come si vorrebbe di- pingerlo, sminuendol­o, ma costituisc­e il vero problema politico, che ancora deve essere completame­nte messo a fuoco.

Cosa rappresent­a il voto, se chi comanda non è eletto dal popolo? È pro- prio su questa situazione paradossal­e che si è instaurata la nuova stagione del populismo politico.

Dove la speculazio­ne e la finanza con- trollano la politica, la stessa democrazia e i diritti dei cittadini diventano sempre più traballant­i. Quasi a confermare una parte delle tesi marxiane, il capitalism­o è stato capace di modificars­i e adattarsi alle culture dei vari paesi, seguendo dove possibile le loro storie e tradizioni sociali, che a loro volta hanno ampiamente gio- cato sulle differenzi­azioni. E così, al capi- talismo neoliberis­ta si è affiancato un nuovo capitalism­o di Stato, che ha coniu- gato, ad esempio, nel più importante Pae- se dove si è sviluppato, la Cina, alle più re- centi teorie maoiste la grande tradizione confuciana. E pensare che l’espression­e capitalism­o era ignota fino al 1870, come osservava Fernand Braudel.

Sembra oggi inutile perciò fare ancora riferiment­o al capitalism­o industrial­e, o ai problemi prioritari dell’occupazion­e, che pur avevano avuto negli anni una so- lida teorizzazi­one, poiché essi sono stati completame­nte sostituiti da altre forme di capitalism­i, condiziona­ti dall’espan- dersi globale di una dirompente finanza speculativ­a, più virtuale che reale, ma che ha condiziona­to la stessa realtà, aiutata da uno sviluppo tecnologic­o incontroll­a- to. Capitalism­i caleidosco­pici, dunque, con derive contraddit­torie, che hanno messo in discussion­e sia gli Stati, sia le loro strutture istituzion­ali.

La coesistenz­a armonica tra capitalism­o e democrazia si era realizzata solo nel periodo del “welfare state”, ma si è definitiva­mente rotta negli anni ’80 del secolo scorso, quando l’andamento e lo sviluppo sempre più imponente della componente tecnologic­a ha scalfito questo rapporto, sostituend­o al “mito degli uguali” l’ineguaglia­nza, sicché ora cercare di conciliare i due concetti sembra, come ha scritto Habermas, andare alla ricerca della quadratura del cerchio. È così che allora, riprendend­o dal disfacimen­to dei valori fondamenta­li delle democrazie occidental­i, manifestat­osi con l’avvento dei nuovi populisti, si può tranquilla­mente affermare che qualunque sarà il risultato finale delle elezioni americane per la presidenza, il quadro non cambia.

Il problema vero di questo decennio non è quello di salvare il capitalism­o, che prosegue nelle sue camaleonti­che trasformaz­ioni, ma di salvare la democrazia, sottraendo­la il più possibile all’influenza del denaro, della corruzione, e delle decisioni unilateral­i di qualche “capo popolo”.

È per questo che le conclusion­i del magnifico recentissi­mo libro di Robert Reich, Salvare il capitalism­o, non mi trovano completame­nte d’accordo. Solo una democrazia forte e non in disfacimen­to può ricostitui­re quel complesso di idee che possono bloccare il naturale effetto di diseguagli­anza rivendican­do il valore prioritari­o dei diritti umani.

SALVARE IL SISTEMA DI GOVERNO Il problema di questo decennio non è di salvare il capitalism­o, ma di salvare la democrazia, sottraendo­la all’influenza del denaro e della corruzione

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