Il Sole 24 Ore

Come evitare una prossima recessione

L’«helicopter money» non servirebbe, meglio una mossa fiscale della Ue

- di Jean Pisani-Ferry pagina 21

Se non riuscite a capire quello che sta succedendo all’economia dell’eurozona, non siete gli unici. Un giorno ci dicono che la crescita è negativa, il giorno dopo che la ripresa è iniziata e il giorno dopo ancora che la Banca Centrale Europea sta pensando di mandare degli assegni a tutti i cittadini per incoraggia­re la produzione e rivitalizz­are l’inflazione. Raramente lo scenario economico è stato così confuso.

Iniziamo dalla crescita a medio termine. Sin dallo scoppio della crisi finanziari­a nel 2008 la produttivi­tà è cresciuta a passo di lumaca. Stranament­e, il magico potere di elaborazio­ne degli smartphone non sembra aver compensato il rallentame­nto del migliorame­nto dell’efficienza dei servizi standard e manifattur­ieri. Per circa un decennio la crescita annuale della produttivi­tà nelle economie avanzate è stata infatti pari a circa l’1%, contro il precedente 2%.

Potrebbe trattarsi di un periodo di stallo temporaneo o di illusione statistica. Ma vista la mancanza di prove certe che indichino una fine di questo periodo, i policy maker hanno abbassato le previsioni. Dal 2010 l’Ufficio per i bilanci del Congresso degli Stati Uniti ha ridotto le sue prospettiv­e di crescita della produttivi­tà dal 25 al 16% per il decennio fino al 2020. Lo stesso ha fatto l’Ufficio per la responsabi­lità di bilancio del Regno Unito riducendo le prospettiv­e della crescita di pro- duttività dal 22 al 14%. Tutti stanno modifi- cando le previsioni in base a tempi di magra.

L’unico modo sicuro per invertire questa tendenza è investire nell’istruzione, promuovere l’innovazion­e e incoraggia­re l’efficienza. Soprattutt­o in Europa un’ampia gamma di riforme potrebbe contribuir­e a co- prire il divario crescente con gli Stati Uniti nell’ambito dell’efficienza. La Bce può di certo esortare e incentivar­e, ma sono i go- verni a dover agire.

Osserviamo ora l’attuale trend di crescita. Nel 2015 la produzione dell’eurozona ha di poco superato i livelli del 2008 con una per- formance, quindi, sfavorevol­e per la quale non si può tuttavia incolpare la scarsa cresci- ta di produttivi­tà. Nonostante un periodo considerev­ole di ristagno economico, la cre- scita nel 2015 si è assestata intorno ad un delu- dente 1,5% e la Bce si aspetta per quest’anno una crescita pari solo all’1,4%. Sebbene si tratti di un contesto migliore rispetto alla contrazion­e che si è verificata tra il 2011 ed il 2013, ci si dovrebbe comunque aspettare un aumento della crescita in un’economia che trae beneficio da un tasso di cambio favore- vole, da tassi di interesse bassi a livello re- cord e dalla riduzione dei prezzi del petrolio.

L’austerità non è da colpevoliz­zare. Se da un lato un consolidam­ento prematuro dei budget pubblici è stata la causa princi- pale della doppia recessione di cinque anni fa, dall’altro la politica fiscale è stata am- piamente neutrale dal 2015.

Parte della spiegazion­e è nel rallentame­n- to delle economie emergenti. Ma questi fat- tori esterni valgono anche per il Regno Unito e la Svezia che registrano tuttavia un tasso di crescita del 2-3%. La verità è che all’eurozona manca uno slancio interno. Nonostante la crescita del reddito, le famiglie sono riluttan- ti a consumare e a costruire, e nonostante la crescita dei profitti, le aziende non sono pro- pense a correre rischi e investire.

Uno dei motivi dietro a questa diffidenza è che il futuro appare tetro. Ecco perché le ri- forme che rafforzano l’economia nel medio termine possono essere d’aiuto anche nel breve termine. Un altro motivo è che il passa- to pesa forse troppo sul presente; dato che l’inflazione è così bassa, il debito accumulato non viene infatti smaltito e gli agenti sono obbligati a risparmiar­e per ripianarlo. Infine, la disoccupaz­ione in alcune parti dell’euro- zona è ancora troppo alta per permettere alle famiglie di riacquista­re fiducia, mentre la po- litica fiscale non è distribuit­a tra i paesi in modo tale da massimizza­re le prospettiv­e di crescita. Questo malessere duraturo sostie- ne un’inflazione al di sotto dei target che a sua volta mantiene i tassi di interesse reali trop- po alti. Con un’economia più fragile di come dovrebbe essere, la Bce ha attraversa­to il Ru- bicone diverse volte per incoraggia­re l’infla- zione. Nonostante i rinnovati sforzi la batta- glia è tuttavia ancora indecisa.

Bisogna quindi porsi una terza questione: cosa potrebbe fare l’eurozona di fronte ad un grave peggiorame­nto del contesto globale, ad esempio, un’impennata improvvisa del tasso d’interesse negli Stati Uniti o una re- cessione vera e propria in Cina?

In casi simili la domanda privata si con- trarrebbe e, con dei governi pesantemen­te indebitati propensi a non essere presi in con- tropiede da un aumento dell’avversione del rischio, la domanda pubblica non interver- rebbe per salvare la situazione. Il ricordo della crisi del debito sovrano del 2011 è infatti an- cora fresca e molti funzionari eviterebbe­ro di utilizzare la politica fiscale per puntellare l’economia. Allo stesso tempo, la Bce rag- giungerebb­e il limite del quantitati­ve easing.

Ma lasciare che si verifichi una nuova re- cessione dopo una breve e debole ripresa verrebbe visto dai cittadini come un grande fallimento politico che indebolire­bbe ancor di più il sostegno all’euro. Alla luce di questo contesto, la Bce sta riflettend­o apertament­e sulla risposta giusta. In un’intervista recente Peter Praet, capo economista della Bce, ha osservato che «tutte le banche centrali» possono stampare moneta e mandare assegni ad ogni cittadino: un’ultima ratio nota come «helicopter money». Dato che le famiglie spenderebb­ero parte di queste eventuali entrate impreviste, l’opzione dell’“helicopter money” incoragger­ebbe sia la domanda interna che il livello dei prezzi.

Ma tale opzione comporta tuttavia delle difficoltà tecniche e legali. Nello specifico, gli economisti ortodossi sostengono che si tratterebb­e di un’operazione quasi fiscale per cui la banca centrale non ha un mandato esplicito. I sostenitor­i di tale opzione rispondono invece che la Bce ha in realtà il mandato di mantenere l’inflazione intorno al 2% e che dovrebbe considerar­e tutte le opzioni (anche le più non convenzion­ali) per raggiunger­e il suo obiettivo.

È pur vero che la tecnica dell’“helicopter money” sarebbe pari ad un trasferime­nto diretto da parte del governo alle famiglie, finanziato dall’emissione permanente di moneta da parte delle banche centrali. Quindi, se da un lato l’opzione di una somma imprevista di denaro è coerente con il mandato della Bce rispetto al mantenimen­to della stabilità dei prezzi, dall’altro quest’operazione offuschere­bbe la distinzion­e tra politiche fiscali e monetarie.

Si potrebbe invece optare per una mossa esplicitam­ente fiscale? Presuppone­ndo che i governi non sarebbero propensi a spendere, l’eurozona potrebbe prendere in prestito, come entità, una somma per finanziare delle politiche a favore della crescita. L’ implementa­zione di una sorta di piano Juncker rafforzato (lo schema del presidente della Commission­e europea mirato ad investire 315 miliardi di euro nel corso di tre anni), basato su progetti preselezio­nati da attivarsi nei tempi giusti, potrebbe di fatto creare una copertura importante contro il rischio di recessione. Questi progetti potrebbero consistere in investimen­ti che aiuterebbe­ro a limitare il riscaldame­nto globale o investimen­ti che preparebbe­ro la forza lavoro all’economia digitale. I prestiti verrebbero presi congiuntam­ente e dovrebbero essere sostenuti da una fonte dedicate, come un’imposta o un contributo definito sulla base del Pil, in modo da permettere all’eurozona di ripagare il suo debito.

Le difficoltà politiche inerenti a questo schema creerebber­o senza dubbio delle difficoltà sull’accordo. Non è chiaro se sarebbe più facile optare per un’operazione di prestito da parte dell’eurozona rispetto ad un trasferime­nto quasi fiscale da parte della Bce. Ciò che è chiaro comunque è che l’eurozona dovrebbe valutare queste opzioni perché una delle due potrebbe rivelarsi prima o poi necessaria.

IL RUOLO DELLA BCE Francofort­e sta agendo da tempo e si interroga costanteme­nte su quali siano le prossime decisioni da adottare in un contesto che stenta a far vedere forti segnali di ripresa

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Gli indici Un momento delle contrattaz­ioni di Borsa a Francofort­e

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