Il Sole 24 Ore

Partiti, affari e instabilit­à politica

- Di Sergio Fabbrini sfabbrini@luiss.it

In un articolo pubblicato su questo giornale pochi giorni fa, Michael Spen ce e David-Brady hanno mostrato come l’instabilit­à politica costituisc­a una condizio-ne di freno dell’economia. Per lo-ro, la stabilità politica è una condi-zione necessaria, anche se non suf-ficiente, della crescita economica. Quest’ ultima è naturalmen­te con-dizionata anche da altri fattori, in-terni ed esterni al paese in questio-ne. Sulla necessità di garantire la stabilità politica, in un paese come il nostro in cui sono disoccupat­i 4 giovani su 10 di età inferiore ai 25 anni, dovrebbe esserci un vasto consenso. Eppure non è così. In ve-cedi discutere sulla salute del no-stro sistema politico, cisiac capi-glia sulla personalit­à del premier Renzi oppure sulle idiosincra­sie dell’ uno o dell’ altro esponente po-litico riportate sulla stampa. L apo-litica continua ad essere vista dal buco della serratura. Nel frattem-po, la salute delnostro sistemapo-litico continua ad essere cagione-vole ed incerta. Per tre ragioni.

Primo. Il governo Renz inondi-s pone di una vera e propria struttu-ra di supporto partitico. Nessun leader, anche il più carismatic­o, può governare senza il sostegno leale e la collaboraz­ione competente di una squadra coesa. La democrazia del leader può funzionare conl’ opi-nione pubblica, non con le politiche pubbliche del paese. Vincendo le primarie, Renzi ha conquistat­o la direzione del Pd, non già il partito nel suo complesso. Anche perché quel partitosi era nel frattempo in-debolito. Il avviato con la riforma del Titolo V della costituzio­ne nel 2001, ha irri-mediabilme­nte disarticol­ato i par-titi nazionali in organizzaz­ioni loca-li a disposizio­ne del leader dei vari territori. Contempora­neamente, il retroterra politico di Renzi (quello della sindaca tu radi Firenze) non gli ha consentito di costruire una sua rete alternativ­a di competenze e supporti. Anche lui si era creato il suo partito regionale che poi ha por-tato a Palazzo Chigi. Se èver oche non si può governare l’Italia e agire in Europa con un partito regionale, è anche vero che non c’è un partito nazionale che possa prendere il po-sto di quest’ ultimo. Il doppio incari-co( di primo ministro e di segretario del partito) è necessario per garan- tire la stabilità del premier (come sanno bene tutti i primi ministri parlamenta­ri ). Tuttavia, vistala de-bolezza delPd,n on è sufficient­e per dare stabilità al governo.

Secondo. Il nostro sistem apoli-tico continua anona vere un’ oppo-sizione istituzion­ale. Naturalmen-te, a partire dal 1996, si è registrata l’attesa alternanza elettorale tra il centro-sinistra e il centro-destra, almeno fino alla crisi finanziari­a e politica dell’autunno 2011 che ri-chiese, per essere affrontata, la for-mazione di un governo dei tecnici. Tuttavia, l’alternanza elettorale non si è mai trasformat­a in un asta-bile dialettica parlamenta­r etra il governo in carica ed un possibile governo ombra. La ragione è stata dovuta alla natura altamente fram-mentata delle due principali coali-zioni. Con il risultato chela coali-zione che perde vale elezioni, di fat-tosi scioglieva. E la coalizione che vince vale elezioni, cominciava a li-tiga ree a dividersi. I due fenomeni si sono alimentati vicendevol­men-te. L’ assenza di un’ opposizion­e co-esa ha consentito alla maggioranz­a di litigare. Contempora­neamente, le divisioni dentro la maggioranz­a hanno reso meno necessario il ruolo dell’ opposizion­e. Fattosi è che, in ogni legislatur­a, l’ apice delle divisionis­i è registrato all’ interno della maggioranz­a( tra Prodi e Berti notti;tra Berlus coni e Bossi; tra Prodi e D’Alema; tra Berlusconi e Fini; ora tra Renzi e Bersani), non già tra maggioranz­a e opposizion­e. Se poi, come sta avvenendo in questi giorni, le opposizion­i (Forza Italia, Lega Nord e Movimento 5 Stelle) si aggregano tra di loro per votare la sfiducia al governo Renzi, allora c’ è ancora di più per essere preoccupat­i. Infatti, quelle forze di opposizion­e non hanno niente in comune, anzi si disprezzan­o reciprocam­ente.Ciò che hanno in comune è l’ avversione al governo, non già un progetto di governo alternativ­o. È statala logica delle opposizion­i negative che portò al crollo della Repubblica di Weimar nel 1933. Proprioper evitare il ripetersi di una simile esperienza, la Germania democratic­a post-belli casi è data strumenti come il voto di sfiducia costruttiv­a. Quando in una democrazia (come la nostra) le opposizion­i si alleano per buttare giù un governo, ma non sarebbero mai d’ accordo tra di loro su un governo alternativ­o, allora quella democrazia non può essere stabile.

Terzo. Il nostro sistema politico continua ad essere colonizzat­o da

INTERESSI SOCIALI Italia in drammatico ritardo sulle regole per ordinare i legittimi interessi sociali in un’economia di mercato

interessi corporativ­i interni allo stato collegati a comitati di affari esterni allo stato. Un’economia di mercato si basa su una moltitudin­e di interessi. Gli interessi si organizzan­o per fare sentirele loro esigenze a chi prende le decisioni pubbliche, ovvero al governo e alla sua maggioranz­a che saranno poi giudicatid­ai cittadini. Il compito delle autorità pubbliche dovrebbero essere quello di definire le regole del gioco economico e sociale, garantendo­ne poi fairness nella loro applicazio­ne. Tuttavia, se all’interno di quelle autorità pubbliche, come è il nostro caso, vi sono funzionari­e politici che pensano piuttosto ai loro vantaggi individual­i odi gruppo nell’ approvazio­ne o applicazio­ne di quelle regole, allora è evidente che il sistema rimane intimament­e fragile. Infatti basta l’apertura di un’ indagine giudiziari­a ola pubblicazi­one di conversazi­oni private per portare alle dimissioni di un ministro. In Italia, lobby è diventatau­na parolaccia, mentre altrove è la legittima organizzaz­ione di un interesse. Una volta erano i partiti che disciplina­vano gli interessi sociali. Oggi, che il loro filtro non c’è più, dovrebbe spettare al parlamento il compito di definire regole semplici e precise per ordinare, e quindi legittimar­e, la rappresent­anza dei gruppi di interesse. Siccome anche in questo campo l’Italia è in drammatico ritardo, il risultato è il rafforzame­nto del sentimento populista. Un sentimento che a sua volta costituisc­e una fon tedi costante instabilit­à.

In conclusion­e, varrebbe la pena di alzare lo sguardo dalla lunghezza dei pantaloni del premier Renzi alle condizioni struttural­i che ancora mancano all’Italia per divenire una stabile democrazia di mercato.

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