Partiti, affari e instabilità politica
In un articolo pubblicato su questo giornale pochi giorni fa, Michael Spen ce e David-Brady hanno mostrato come l’instabilità politica costituisca una condizio-ne di freno dell’economia. Per lo-ro, la stabilità politica è una condi-zione necessaria, anche se non suf-ficiente, della crescita economica. Quest’ ultima è naturalmente con-dizionata anche da altri fattori, in-terni ed esterni al paese in questio-ne. Sulla necessità di garantire la stabilità politica, in un paese come il nostro in cui sono disoccupati 4 giovani su 10 di età inferiore ai 25 anni, dovrebbe esserci un vasto consenso. Eppure non è così. In ve-cedi discutere sulla salute del no-stro sistema politico, cisiac capi-glia sulla personalità del premier Renzi oppure sulle idiosincrasie dell’ uno o dell’ altro esponente po-litico riportate sulla stampa. L apo-litica continua ad essere vista dal buco della serratura. Nel frattem-po, la salute delnostro sistemapo-litico continua ad essere cagione-vole ed incerta. Per tre ragioni.
Primo. Il governo Renz inondi-s pone di una vera e propria struttu-ra di supporto partitico. Nessun leader, anche il più carismatico, può governare senza il sostegno leale e la collaborazione competente di una squadra coesa. La democrazia del leader può funzionare conl’ opi-nione pubblica, non con le politiche pubbliche del paese. Vincendo le primarie, Renzi ha conquistato la direzione del Pd, non già il partito nel suo complesso. Anche perché quel partitosi era nel frattempo in-debolito. Il avviato con la riforma del Titolo V della costituzione nel 2001, ha irri-mediabilmente disarticolato i par-titi nazionali in organizzazioni loca-li a disposizione del leader dei vari territori. Contemporaneamente, il retroterra politico di Renzi (quello della sindaca tu radi Firenze) non gli ha consentito di costruire una sua rete alternativa di competenze e supporti. Anche lui si era creato il suo partito regionale che poi ha por-tato a Palazzo Chigi. Se èver oche non si può governare l’Italia e agire in Europa con un partito regionale, è anche vero che non c’è un partito nazionale che possa prendere il po-sto di quest’ ultimo. Il doppio incari-co( di primo ministro e di segretario del partito) è necessario per garan- tire la stabilità del premier (come sanno bene tutti i primi ministri parlamentari ). Tuttavia, vistala de-bolezza delPd,n on è sufficiente per dare stabilità al governo.
Secondo. Il nostro sistem apoli-tico continua anona vere un’ oppo-sizione istituzionale. Naturalmen-te, a partire dal 1996, si è registrata l’attesa alternanza elettorale tra il centro-sinistra e il centro-destra, almeno fino alla crisi finanziaria e politica dell’autunno 2011 che ri-chiese, per essere affrontata, la for-mazione di un governo dei tecnici. Tuttavia, l’alternanza elettorale non si è mai trasformata in un asta-bile dialettica parlamentar etra il governo in carica ed un possibile governo ombra. La ragione è stata dovuta alla natura altamente fram-mentata delle due principali coali-zioni. Con il risultato chela coali-zione che perde vale elezioni, di fat-tosi scioglieva. E la coalizione che vince vale elezioni, cominciava a li-tiga ree a dividersi. I due fenomeni si sono alimentati vicendevolmen-te. L’ assenza di un’ opposizione co-esa ha consentito alla maggioranza di litigare. Contemporaneamente, le divisioni dentro la maggioranza hanno reso meno necessario il ruolo dell’ opposizione. Fattosi è che, in ogni legislatura, l’ apice delle divisionisi è registrato all’ interno della maggioranza( tra Prodi e Berti notti;tra Berlus coni e Bossi; tra Prodi e D’Alema; tra Berlusconi e Fini; ora tra Renzi e Bersani), non già tra maggioranza e opposizione. Se poi, come sta avvenendo in questi giorni, le opposizioni (Forza Italia, Lega Nord e Movimento 5 Stelle) si aggregano tra di loro per votare la sfiducia al governo Renzi, allora c’ è ancora di più per essere preoccupati. Infatti, quelle forze di opposizione non hanno niente in comune, anzi si disprezzano reciprocamente.Ciò che hanno in comune è l’ avversione al governo, non già un progetto di governo alternativo. È statala logica delle opposizioni negative che portò al crollo della Repubblica di Weimar nel 1933. Proprioper evitare il ripetersi di una simile esperienza, la Germania democratica post-belli casi è data strumenti come il voto di sfiducia costruttiva. Quando in una democrazia (come la nostra) le opposizioni si alleano per buttare giù un governo, ma non sarebbero mai d’ accordo tra di loro su un governo alternativo, allora quella democrazia non può essere stabile.
Terzo. Il nostro sistema politico continua ad essere colonizzato da
INTERESSI SOCIALI Italia in drammatico ritardo sulle regole per ordinare i legittimi interessi sociali in un’economia di mercato
interessi corporativi interni allo stato collegati a comitati di affari esterni allo stato. Un’economia di mercato si basa su una moltitudine di interessi. Gli interessi si organizzano per fare sentirele loro esigenze a chi prende le decisioni pubbliche, ovvero al governo e alla sua maggioranza che saranno poi giudicatidai cittadini. Il compito delle autorità pubbliche dovrebbero essere quello di definire le regole del gioco economico e sociale, garantendone poi fairness nella loro applicazione. Tuttavia, se all’interno di quelle autorità pubbliche, come è il nostro caso, vi sono funzionarie politici che pensano piuttosto ai loro vantaggi individuali odi gruppo nell’ approvazione o applicazione di quelle regole, allora è evidente che il sistema rimane intimamente fragile. Infatti basta l’apertura di un’ indagine giudiziaria ola pubblicazione di conversazioni private per portare alle dimissioni di un ministro. In Italia, lobby è diventatauna parolaccia, mentre altrove è la legittima organizzazione di un interesse. Una volta erano i partiti che disciplinavano gli interessi sociali. Oggi, che il loro filtro non c’è più, dovrebbe spettare al parlamento il compito di definire regole semplici e precise per ordinare, e quindi legittimare, la rappresentanza dei gruppi di interesse. Siccome anche in questo campo l’Italia è in drammatico ritardo, il risultato è il rafforzamento del sentimento populista. Un sentimento che a sua volta costituisce una fon tedi costante instabilità.
In conclusione, varrebbe la pena di alzare lo sguardo dalla lunghezza dei pantaloni del premier Renzi alle condizioni strutturali che ancora mancano all’Italia per divenire una stabile democrazia di mercato.