Infrastrutture e riforme, chiavi per il tavolo Ue
Non vi è solo il ricorso alle «circostanze eccezionali», tra cui il marcato rallentamento della congiuntura internazionale e il crollo dell’inflazione, nel menù che il Governo si appresta a presentare a Bruxelles. Con il varo del Def e del Programma nazionale di riforma si chiarisce meglio il percorso in direzione della flessibilità europea. Per ottenere uno “sconto” sul deficit del 2017, che i documenti programmatici appena approvati dal Consiglio dei ministri fissano allo 0,7% del Pil (dall’1,1 all’1,8%) si punta su due altri elementi, di pari rilevanza. Il primo riguarda la spesa per investimenti, che dopo gli anni della lunga crisi in cui questa fondamentale componente del bilancio è stata sacrificata sull’altare del rigore, dovrebbe riprendere vigore. Il capitolo del Pnr dedicato alla “Strategia di riforma dell’Italia” sottolinea che nel 2015 gli investimenti fissi lordi sono cresciuti dello 0,8% in termini reali. L’obiettivo è di passare da un rapporto investimenti/Pil del 16,5% a un valore che risalga gradualmente attorno al 20 per cento. Si tornerebbe in tal modo ai livelli pre-crisi. Strategia che va a incrociarsi con la realizzazione dei progetti inclusi nel Piano Juncker. Stando agli ultimi dati relativi al Fondo europeo per gli investimenti strategici, ammontano a 29 le iniziative tra accordi di finanziamento e progetti infrastrutturali, per 1,7 miliardi. In totale, considerando la leva finanziaria, potrebbero attivarsi investimenti per 12 miliardi.
In contemporanea dovrebbe riaprirsi la partita delle riforme strutturali, anche in questo caso con riferimento agli effetti di medio periodo sulla crescita potenziale. Non si invoca dunque nuovamente il ricorso alleclausole riforme/ investimenti chieste per il 2016, su cui peraltro è ancora atteso il responso della Commissione U e. I più recenti orientamenti del Comitato economico e finanziario, di cui l’ Eco fin ha preso atto, fissano a un massi modello 0,75% del P il l’ effetto cumulato delle due clausole. E al momento la Comunicazione sulla flessibilità del 13 gennaio non contemplala possibilità che si possa fruirne per più anni. Ecco perché la trattativa politica si sposta ora direttamente sull’ effettiva possibilità di realizzar egli effetti macroeconomici delle riforme strutturali indicati nel Def. C on annessa l’ annosa questione dei criteri di calcolo del cosiddetto outputgap. L’ elenco delle riforme comprende la pubblica amministrazione, la competitività, il mercato del lavoro, la giustizia, l’ istruzione, al pari della politica fiscale, della revisione della spesa e della finanza perla crescita. Nel totale, l' impatto cumulato perle diverse aree di intervento evidenzia un incremento del P il pari al 2,2% nel 2020, del 3,4% nel 2025 ed ell ’8,2% nellungo periodo.
Un atriplice direzione di marcia in direzione della flessibilità e della crescita, dunque( tutta da definire da qui ai prossimi mesi) che si basa sulla precondizione di una finanza pubblica sotto controllo, di un debito incostante riduzione e del permanere dell’ Italia all’ interno del “braccio preventivo” del Patto di stabilità, se pur in un percorso che vede nuovamente slittare di unanno, al 2019 ,il raggiungimento del pareggio di bilancio, mentre le re gol eU e prevedono di ridurre il deficit strutturale dello 0,5% l’ anno fino al conseguimento dell’ obiettivo dimediotermine.