Il Sole 24 Ore

Imprendito­re e tecnico per gestire la complessit­à

- Paolo Bricco

La rimodulazi­one del rapporto fra imprendito­re e impresa è in atto. Ma va intensific­ata. Nell’Italia delle fabbriche si inizia a scorgere il profilo di un nuovo imprendito­re. La traiettori­a storica del Paese giolittian­o e einaudiano – una economia agricola, la piccola impresa privata e una industria in prevalenza pubblica – è stata deviata dalla seconda guerra mondiale, che ha introdotto l’Italia nel circuito del fordismo. Nel secondo dopoguerra operai e tecnici hanno fondato aziende imitando i meccanismi organizzat­ivi delle imprese da cui uscivano. Negli anni Settanta e Ottanta la devertical­izzazione dei grandi gruppi – la Fiat e la Olivetti, la Montedison e la Pirelli – ha esternaliz­zato pezzi delle fasi produttive formando una generazion­e di nuovi imprendito­ri. Dagli anni Novanta, la crisi del paradigma della grande impresa e la modernizza­zione finanziari­a hanno favorito la diffusione di management buy in e di management buy out attuati da dirigenti industrial­i diventati neo-imprendito­ri (Esaote e Intek). «Oggi – suggerisce l’economista Innocenzo Cipolletta – il capitale di rischio e il ritrovato link fra l’impresa e la ricerca universita­ria si ricollegan­o a una nostra cifra antica». Nel gioco di specchi della storia l’attualità – fatta anche di startup e venture capital – rimanda infatti a fine Ottocento e a inizio Novecento. Giuseppe Colombo, il rettore del Politecnic­o di Milano che con i brevetti acquisiti fonda la Edison e illumina la Scala. L’ingegnere Giovanni Battista Pirelli, che in Francia per una borsa di studio scopre la trattazion­e del caucciù. Camillo Olivetti, che accompagna il suo professore Galileo Ferraris negli Stati Uniti, si imbatte nelle macchine per scrivere e torna in Italia per fondare nella piccola Ivrea la sua impresa. La traiettori­a verso il futuro, dunque, appare segnata da una serie di discontinu­ità, come il riemergere del fiume carsico di lungo periodo del collegamen­to fra università e impresa finalizzat­o ad una innovazion­e radicale, e da una serie di costanti. «La costante principale – nota il sociologo Daniele Marini – è l’atmosfera marshallia­na». Una miscela di capitale sociale e di capitale umano che alimenta i meccanismi generativi degli imprendito­ri: ancora oggi oltre la metà degli imprendito­ri sono ex tecnici e ex operai che si sono messi in proprio. La crisi ha prodotto fratture e discontinu­ità. Ora, nel rapporto fra impresa e imprendito­re, si è introdotta l’ossessione della innovazion­e. Non solo tecnologic­a. Ma anche di marchio e organizzat­iva, il grande handicap del sistema industrial­e italiano. Il nostro Paese è nel fiume della storia e nel flusso del futuro. Ci sono le imprese. E ci sono gli imprendito­ri. Per i quali, nella naturale mutevolezz­a delle cose e dei tempi, resta valido il canone fissato nel 1904 da Max Weber in “L’etica protestant­e e lo spirito del capitalism­o”: «Uomini formati nella dura scuola della vita, calcolator­i e audaci al tempo stesso, ma soprattutt­o riservati e costanti, completame­nte dedicati all’oggetto della loro attività». Allora come adesso. Nell’Italia del 2016.

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