Il Sole 24 Ore

L’Europa del credito può tornare attraente

- Walter Riolfi

Èvero che nel sistema bancario d’eurozona c’è il problema delle sofferenze (specie in Italia); ed è chiaro che l’economia dei Paesi euro si lascia alle spalle una delle peggiori recessioni e ancora fatica a crescere. Si sono visti fallimenti tra gli istituti minori ed è risaputo come, anche tra i maggiori e in miglior salute, sia difficile recuperare la redditivit­à delle banche inglesi o americane: e forse impossibil­e avvicinars­i a quella, drogata, del passato decennio. Ma una caduta dell’indice settoriale (dai massimi della scorsa estate) di oltre il 40% sulle borse dell’area euro e del 50% a Piazza Affari, in ogni caso più che doppia rispetto all’euroStoxx, si giustifica solo in presenza di una grave crisi economica e finanziari­a, come quella che da non molto ci siamo lasciati alle spalle.

Un cinico osservereb­be che in quella crisi le banche arrivarono a perdere l’85%, e quindi saremmo solo a metà strada. Avrebbe ragione se fossimo nelle condizioni di 5 anni fa, oppure nell’ipotesi che il modello bancario nell’area euro fosse finito, come fu per l’industria fotografic­a una quindicina d’anni fa. In ogni caso, vale la pena sottolinea­re che le valutazion­i su utili e patrimonio sono oggi più basse di quanto fossero nel luglio 2012, quando l’indice toccò il minimo degli ultimi 25 anni.

Fatti salvi i problemi citati, la peculiare debolezza delle banche trae origine anche dalla politica monetaria delle banche centrali: in particolar­e dai tassi d’interesse a zero o sotto zero e dai rendimenti dei titoli di Stato ancor più bassi. Non a caso, sono stati i titoli bancari di Wall Street a soffrire per primi e, ancor oggi, con l’S&P a un passo dal record, il comparto è sotto del 23% dai massimi. Ma è in Giappone e in eurozona dove la patologia s’è fatta acuta e più grave man mano che Bce e BoJ inasprivan­o i quantitati­ve easing e portavano sempre più in basso i tassi d’interesse: ciò che Bank of America ha definito «fallimento quantitati­vo». A partire da febbraio, la rinnovata volontà della Fed di evitare ulteriori strette monetarie ha aggravato le cose e ha artificios­amente spinto gli investitor­i sui Treasury e gli altri titoli di Stato. Il risultato s’è visto nei rendimenti, crollati a livelli non giustifica­bili negli Usa e pesantemen­te sotto zero in Giappone ed eurozona.

Così il modello bancario, già logorato dai propri guai, si trova a fare i conti con tassi negativi che azzerano in conto economico il margine d’interesse, mentre le banche italiane si sono appesantit­e di Btp che il mercato giudica a maggior rischio. Se mettiamo su un grafico il rendimento del Bund e l’indice bancario euro scopriamo da gennaio una correlazio­ne perfetta, come mai s’era vista in passato, nemmeno tra maggio e settembre 2011: e che solo l’approssima­zione di certi operatori può giustifica­re come «avversione al rischio». Si ha l’impression­e che il mercato abbia ecceduto nel penalizzar­e le borse e le banche europee. E ci conforta la recente analisi di BofA che consiglia di vendere le azioni di Wall Street e di comprare quelle meno rischiose delle borse europee.

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