L’Europa del credito può tornare attraente
Èvero che nel sistema bancario d’eurozona c’è il problema delle sofferenze (specie in Italia); ed è chiaro che l’economia dei Paesi euro si lascia alle spalle una delle peggiori recessioni e ancora fatica a crescere. Si sono visti fallimenti tra gli istituti minori ed è risaputo come, anche tra i maggiori e in miglior salute, sia difficile recuperare la redditività delle banche inglesi o americane: e forse impossibile avvicinarsi a quella, drogata, del passato decennio. Ma una caduta dell’indice settoriale (dai massimi della scorsa estate) di oltre il 40% sulle borse dell’area euro e del 50% a Piazza Affari, in ogni caso più che doppia rispetto all’euroStoxx, si giustifica solo in presenza di una grave crisi economica e finanziaria, come quella che da non molto ci siamo lasciati alle spalle.
Un cinico osserverebbe che in quella crisi le banche arrivarono a perdere l’85%, e quindi saremmo solo a metà strada. Avrebbe ragione se fossimo nelle condizioni di 5 anni fa, oppure nell’ipotesi che il modello bancario nell’area euro fosse finito, come fu per l’industria fotografica una quindicina d’anni fa. In ogni caso, vale la pena sottolineare che le valutazioni su utili e patrimonio sono oggi più basse di quanto fossero nel luglio 2012, quando l’indice toccò il minimo degli ultimi 25 anni.
Fatti salvi i problemi citati, la peculiare debolezza delle banche trae origine anche dalla politica monetaria delle banche centrali: in particolare dai tassi d’interesse a zero o sotto zero e dai rendimenti dei titoli di Stato ancor più bassi. Non a caso, sono stati i titoli bancari di Wall Street a soffrire per primi e, ancor oggi, con l’S&P a un passo dal record, il comparto è sotto del 23% dai massimi. Ma è in Giappone e in eurozona dove la patologia s’è fatta acuta e più grave man mano che Bce e BoJ inasprivano i quantitative easing e portavano sempre più in basso i tassi d’interesse: ciò che Bank of America ha definito «fallimento quantitativo». A partire da febbraio, la rinnovata volontà della Fed di evitare ulteriori strette monetarie ha aggravato le cose e ha artificiosamente spinto gli investitori sui Treasury e gli altri titoli di Stato. Il risultato s’è visto nei rendimenti, crollati a livelli non giustificabili negli Usa e pesantemente sotto zero in Giappone ed eurozona.
Così il modello bancario, già logorato dai propri guai, si trova a fare i conti con tassi negativi che azzerano in conto economico il margine d’interesse, mentre le banche italiane si sono appesantite di Btp che il mercato giudica a maggior rischio. Se mettiamo su un grafico il rendimento del Bund e l’indice bancario euro scopriamo da gennaio una correlazione perfetta, come mai s’era vista in passato, nemmeno tra maggio e settembre 2011: e che solo l’approssimazione di certi operatori può giustificare come «avversione al rischio». Si ha l’impressione che il mercato abbia ecceduto nel penalizzare le borse e le banche europee. E ci conforta la recente analisi di BofA che consiglia di vendere le azioni di Wall Street e di comprare quelle meno rischiose delle borse europee.