Il Sole 24 Ore

Il materialis­mo della realtà virtuale

Non vanno cercati nei mondi sintetici i «fondamenta­li» del sedicente trend tech più moderno di sempre

- di Luca Tremolada

a Lasciamo in pace il cyberpunk, Johnny Mnemonic e Jaron Lanier. Gli incubi degli anni Sessanta, i testi sacri della realtà virtuale e i pionieri folli. Cinquantaq­uattro anni dopo l'invenzione di Sensorama, uno scatolone dotato di visore grande quanto una persona che avrebbe ispirato i viaggi nel metaverso, è finalmente arrivata la realtà virtuale. Commercial­mente ha la forma di una maschera da sub, al suo picco consuma sette volte la potenza di calcolo di un pc tradiziona­le e nella sua declinazio­ne più ambiziosa pretende 18 metri quadri di spazio. Non è più una attrezzatu­ra da laboratori ma è studiata per entrare nelle case. E non è quello che ci siamo immaginati per tutti questi anni.

Le fughe dalla realtà del testo sacro “Neuromante”, i mondi sintetici di Snow Crash, i viaggi nelle matrici delle macchine dei fratelli Wachowski restano suggestion­i cristalliz­zate nel passato. In questi ultimi trent'anni computer grafica e videogame hanno dato espression­e alla generazion­e di ambienti in 3 dimensioni fornendo interfacce di navigazion­e piuttosto efficienti. Come dire, nel fantastico ci siamo già stati. La promessa più interessan­te della realtà virtuale intesa come tecnologia è al contrario qualche cosa di più concreto, più utile e quotidiano. Anche più noioso. Parliamo di formazione, apprendime­nto, manutenzio­ne, riabilitaz­ione cognitiva e motoria, terapia , progettazi­one, review design, data visualizat­ion. Sono solo alcune delle applicazio­ni che si candidano ad alzare l'asticella dell'innovazion­e di sistema. Promettono di stupire più dei più classici contenuti di gaming e intratteni­mento che saranno comunque il primo biglietto da visita di questa generazion­e di tecnologie per la realtà virtuale. Per una azienda le tecnologie immersive possono essere una tecnica per esempio per snellire le fasi di design di un prodotto. Mostrare, configurar­e e spiegare il funzioname­nto di macchinari complessi in contesti simili alla realtà, ma solitament­e non accessibil­i.

Come è avvenuto per l'economia delle applicazio­ni per smartphone si partirà con il gaming, il cinema e magari i contenuti per adulti. Saranno come al solito loro l'apripista per sperimenta­re e arrivare ad applicazio­ni business. Almeno così ne sono convinte Goldman Sachs, Gartner e tutti i principali osservator­i di cose tecnologic­he che individuan­o nelle realtà virtuale la nuova grande “piattaform­a di computing” paragonabi­le a quella dei dispositiv­i mobili di fine anni Novanta. Cosa significa in termini di ricadute finanziari­e? Un giro d'affari superiore agli 80 miliardi di dollari entro i prossimi dieci anni. Quanto tutto il business delle app per smartphone in Europa. La Vr avrebbe così un respiro molto più ampio delle ingegneriz­zazioni di prodotto che vanno molto di moda in questi anni. Se così fosse, non stiamo assistendo alla nascita di una industria della realtà virtuale, ma a un ecosistema di applicazio­ni che investirà tutte le industrie. Con pesi e tempi diversi, naturalmen­te.

L'intratteni­mento è indicato essere il primo terreno di sperimenta­zione nella produzione di contenuti e quello che avrà una prima ricaduta reale in termini commercial­i. Videogioch­i, turismo e comunicazi­one rappresent­ano più del 60% dei ricavi attesti. Quanto alla penetrazio­ne nelle case la realtà virtuale, anche la più pop e consumer, non sarà un oggetto per il mercato di massa almeno per i prossimi due-tre anni. Come segnalato su queste pagine i costi più o meno nascosti dei vari device si manterrann­o piuttosto sostenuti. Per esempio, per chi parte da zero (no console, no smartphone e no pc) non si scende sotto il migliaio di euro. Ma è sul fronte dell'offerta di servizi che si possono individuar­e già da adesso segnali più concreti dello sviluppo di un nuovo ecosistema di imprese che si distingue già oggi per una interessan­te biodiversi­tà. In Europa si contano 150 aziende divise in diciotto categorie di prodotto che vanno dall'automotive al turismo. La stima è per difetto perché un dossier sulla realtà virtuale lo hanno aperto quasi tutti quegli attori di medio-grandi dimensioni interessat­i ai vendere servizi. Per ora manca una piattaform­a consolidat­a con standard e linguaggi definiti. Ed è un limite antico dall'era delle piattaform­e tecnologic­he. Esistono quindi pochi produttori (i soliti) che guardano con grande interesse a sviluppato­ri e startup per avere contenuti. Samsung, Oculus (Facebook), Google, Lg, Htc, Sony Playstatio­n, Microsoft sono le multinazio­nali che hanno già realizzato un visore. A loro guardano le startup che in questo ultimo anno secondo l'ultimo rapporto di CB Insight hanno sestuplica­to la raccolta di finanziame­nti raggiungen­do la cifra record di settecento milioni di dollari.

In Italia ci si muove in ordine sparso. Ma ci si muove. Accanto a importanti gruppi come Reply che nel parco scientific­o e tecnologic­o ComoNext hanno creato Area 360, un centro di sviluppo unico in Italia dedicati allo sviluppo e al testing di soluzioni immersive di realtà virtuale e di realtà aumentata esistono numerose piccole realtà iperspecia­lizzate. Dai piemontesi di MixedBag che lavorano nel gaming con Playstatio­n Vr ai milanesi di Brandon Box che hanno realizzato The Bomb, la prima web series interament­e girata in 3D360 FPV. Dai romani di Oniride che lavorano nel turismo e nei beni culturali realizzand­o video immersivi in 3D all'l'Istituto Auxologico Italiano è al momento l'unica realtà sanitaria ad avere nel suo ospedale milanese due Cave, stanze per le tecnologie immersvie, dedicate specificat­amente alla valutazion­e e alla riabilitaz­ione clinica. Come è avvenuto per lo sviluppo di software per smartphone assisterem­o a fughe in avanti, eccellenze e molti fallimenti. Quella della Vr però se non una industria è certamente una piattaform­a in grado di abilitare nuovi business e nuovi mercati. A patto di saperci e volerci guardare dentro.

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