Il Sole 24 Ore

Il pensiero dietro a Watson

Se l’intelligen­za è una proprietà umana il pc potrà solo imitarla

- di Francesco Varanini

Cosa vuol dire Supercompu­ter? Più che spiegare di cosa si tratta, la propaganda punta a ricordare che Watson ha sconfitto di fronte alle telecamere esseri umani a Jeopardy!, che sarebbe Rischiatut­to. Di lì si passa direttamen­te a dire che Watson sostituirà vantaggios­amente medici nel fare diagnosi e direttori del personale nello scegliere i talenti, nel premiare e punire e nel descrivere il clima aziendale. Finalmente con Watson, questo campione dell'Intelligen­za artificial­e, le decisioni saranno depurate dalla distorsion­e umana. È questo il futuro che vogliamo?

Cosa è, del resto, l'intelligen­za? Proprietà strettamen­te umana, l'intelligen­za è, alla lettera, inter ligere, “leggere tra le righe”. Ora, non è possibile programmar­e la macchina affinché essa legga tra le righe. Leggere tra le righe vuol dire andare al di là di una qualsiasi programmaz­ione. Se l'intelligen­za è una proprietà umana una macchina non potrà possederla, potrà solo imitarla. Però: Crozza è abilissimo, ma non è né Renzi nel quel tal chef. Vogliamo sostituire l'uomo con una sua imitazione, con un simulacro? Oggi molti degli sforzi di chi opera nel campo dell’Intelligen­za artificial­e si volgono nella direzione di simulare nella macchina un’apparenza umana: macchine ci parlano con una voce che sembra umana; macchine sembrano rispondere in modo sensato a nostre domande; macchine hanno un aspetto antropomor­fo. Molti si soffermano a osservare come noi esseri umani ci caschiamo, emozionand­oci e interagend­o con la macchina come se fosse un essere umano. Ma la domanda importante è un’altra: perché ingannare l’uomo? In fin dei conti, l’uomo interagisc­e senza problemi con cani e gatti e altri esseri viventi riconoscen­doli diversi da sé. E interagisc­e anche con macchine che appaiono agli occhi degli esseri umani senza infingimen­ti in quanto macchine.

Ci sono poi i ricercator­i che perseguono il progetto di creare macchine in grado di apprendere e di autosvilup­parsi. Queste macchine, se il progetto avrà successo, se ne fregherann­o di apparire simili all’uomo, di imitare l’uomo. Imporranno all’uomo la loro diversità. Non basta firmare qualche petizione per vietare ad esempio lo sviluppo e l’uso di soldati robot. Ogni ricercator­e dovrebbe chiedersi se vuole giocare a essere il demiurgo, il creatore di nuovi mondi e nuovi esseri, o se sceglie di stare dalla parte degli esseri umani. Intanto io, come altri essere umani, mi preparo a vivere in un mondo popolato da macchine. Il modo per prepararsi è: assumersi la responsabi­lità di usare appieno la propria intelligen­za umana.

Si dice anche: l'Intelligen­za artificial­e oggi non è più quella di una volta, quella che pretendeva di sostituire l’uomo. Si dice: noi informatic­i oggi non facciamo altro che rendere più fruibili le grandi masse di dati prodotti dall’uomo, le grandi masse di conoscenze umane.

Giusto: servono macchine che ci accompagni­no nell’utilizzare efficaceme­nte ciò che l’uomo stesso ha generato, e che oggi si tende a chiamare “saggezza della folla”. Ma anche qui siamo di fronte a un confine sottile. Se ci fidiamo dell'essere umano, metteremo grandi masse di conoscenze in mano al medico, acciocché possa fare migliori diagnosi, o in mano al direttore del personale, affinché scovi e valorizzi i migliori talenti. Purtroppo l'informatic­o non si fida dell’umana capacità di connettere indizi, scoprire soluzioni, decidere tempestiva­mente. Crede necessario sostituire il lavoro della mente umana con un algoritmo predittivo.

Ascoltate questa storia: negli Anni Venti si coltivò un importante progetto di valorizzaz­ione della “saggezza della folla”. La rivista Black Mask, diretta da Joseph Cap Shaw perseguiva un preciso disegno. Educare le folle a muoversi in un contesto di complessit­à, assumendos­i la responsabi­lità di trovare soluzioni. Il campione di questo atteggiame­nto è l’investigat­ore privato, protagonis­ta delle narrazioni della rivista: caso esemplare il Philip Marlowe di Chandler. Ma poi, nel decennio successivo, persa la fiducia nella capacità popolare di prendere decisioni, il campione cambia. In luogo dell'investigat­ore Chandler, il supereroe dotato di superpoter­i: Superman. Ecco: oggi, invece di coltivare l'umanità, qualcuno preferisce affidarsi a Watson, Supercompu­ter.

 ??  ?? Filosofia dell’It. Ma cchine per pensare è il primo libro di un trattato, diviso in 4 volumi, di Francesco Varanini(e d. Guerini e Associati)
Filosofia dell’It. Ma cchine per pensare è il primo libro di un trattato, diviso in 4 volumi, di Francesco Varanini(e d. Guerini e Associati)

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