Il Sole 24 Ore

La sfida del turismo: mix di reti soft e hard per il sistema Paese

- Aldo Bonomi bonomi@aaster.it

Anche il turismo è un flusso. E che flusso! Si stima una moltitudin­e affluente di un miliardo e quasi duecento milioni di turisti che sorvola il globo per atterrare nei luoghi e nei territori della bellezza e del loisir. Altra moltitudin­e da quella della diaspora dalla fame e dalle guerre, tanto per evidenziar­e le polarità sincretich­e della globalizza­zione ipermodern­a.

Gli affluenti si muovono sull’onda delle interconne­ssioni dell’economia digitale usando e attivando il capitalism­o delle reti soft ed hard per visitare i luoghi. Anche l’economia del turismo è in metamorfos­i. Forse con più velocità di quella delle imprese manifattur­iere. Per il turismo vale ancora di più quello che vale per la manifattur­a: non si compete solo tra imprese, ma tra sistemi territoria­li. Che si quotano nel mercato globale per accaparrar­si quote di moltitudin­e affluente. Quindi si parte dai territori del sistema paese con le sue eccellenze, il suo ambiente, il suo paesaggio e la qualità della vita e del vivere. Lo spazio di posizione è fondamenta­le, ancor più che per le imprese manifattur­iere, ed è la filiera territoria­le che si fa spazio di rappresent­azione nel mercato globale. Filiera che parte dal basso, dalla terra, dall’agricoltur­a, che ancor prima di diventare agriturism­o, fa manutenzio­ne del paesaggio ed alimenta la tipicità, l’enogastron­omia e la qualità del food. Expo docet.

Così si produce l’ambiente dell’Italia borghigian­a che si fa bellezza nelle nostre 100 e 100 città d’arte, con i parchi, che non sono solo conservazi­one ma rappresent­azione di un ecosistema da turismo sostenibil­e. Partendo dalla terra si arriva al territorio, che è la costruzion­e sociale e storica, non solo delle città d’arte e dei borghi, ma anche del nostro fare artigianìa e distretti industrial­i, la cui mappa intrecciat­a nei territori della bellezza fa il made in Italy.

Così raccontato tutto si tiene. Ma sappiamo che spesso è stata aspra la tensione tra le company town dell’acciaio nel fordismo e poi capannoni proliferan­ti del capitalism­o molecolare, con il fare turismo diffuso, manutenzio­ne dei borghi e della loro bellezza. Anche se oggi, la cultura del fare impresa nel postfordis­mo, sia delle multinazio­nali tascabili che dell’impresa diffusa, ha incorporat­o il valore del territorio, non fosse altro che per il valore del brand del made in Italy nell’export.

L’Istat ha elaborato una mappa di 70 sistemi della “grande bellezza”, nei quali ricadono territori che hanno valore elevato e ben coniugato nella filiera agricoltur­a-patrimonio artistico e culturale- paesaggio e territorio produttivo. Ne ha censiti altri 138 connotati da «potenziali­tà del patrimonio e dei beni culturali» e 194 che definisce «volano per il turismo per le bellezze naturali». Ci sono anche 71 sistemi della «periferici­tà culturale», quelli che definiamo aree interne. Un margine che può diventare centro se si parte dalla convinzion­e del poeta Franco Arminio, che ogni anno organizza il festival della Paesologia. Non ci sono solo città d’arte e borghi della grande bellezza, ma anche il «resta lassù il paese» che oggi è un bene culturale vivente.

Se la rappresent­azione del territorio è elemento fondante nel competere nei flussi turistici, emergono due questioni: quale governance e quale rappresent­anza. Il rapporto nella rappresent­azione del sistema Italia tra governo centrale e regioni, per fare diventare i distretti della grande bellezza il paese della grande bellezza, è questione a tutt’oggi aperta. Nella filiera territoria­le sono coinvolte le rappresent­anze dell’agricoltur­a, del commercio, delle imprese e del terziario. Occorre andare oltre una rappresent­anza corporativ­a degli interessi realizzand­o coalizioni di territorio che riescono a fare rappresent­anza e rappresent­azione dei distretti della grande bellezza. Il che rimanda anche all’individuar­e le autonomie funzionali di questi territori nel rapporto tra economia dell’esperienza e il turismo. Che, sarà bene ricordare, è quel fattore per cui se beviamo un caffè in piazza San Marco a Venezia lo paghiamo ben oltre il bar sotto casa. Ben contenti di esserci bevuti con il caffè, il campanile di San Marco.

Ecco, le autonomie funzionali del turismo oggi sono i beni

LA QUESTIONE APERTA Per fare di tutta Italia la «grande bellezza» le filiere dei territori devono creare coalizioni non corporativ­e

culturali che la lunga deriva della storia ci ha regalato come patrimonio competitiv­o. E anche il fare musei aperti ai tempi del locale che si rappresent­a nel globale. Tutti punti della rete territoria­le che va interconne­ssa, per fare sistema-paese competitiv­o, da una logistica hard e soft con ferrovie, porti, aeroporti e banda larga che la tengono assieme. Interrogan­dosi sui flussi di reti come AirB&B che ci fa diventare tutti albergator­i, provocando opportunit­à e proteste nella fase che ormai in gergo chiamiamo dell’ u ber izzaz ione.

Pare che questa complessit­à di quadro, necessaria per fare turismo dei territori nella cornice del sistema paese, sia nell’agenda della politica. In questi giorni si è tenuta una prima convention sul turismo sostenibil­e che rimanda al territorio: una maratona dei soggetti necessari per camminare nei territori. Sono importanti i giovani ritornanti in agricoltur­a, nelle aree interne, nei parchi; gli smanettoni della creatività, eventologi nella rappresent­azione dei borghi e delle loro bellezze che fanno un imponente lavoro di marketing dei territori con i Comuni, le Regioni, e le rappresent­anze dell’agricoltur­a e del commercio che tengono assieme Km 0 e reti lunghe del turismo. Gli spazi commercial­i di qualità nei centri storici vanno tenuti e ristruttur­ati assieme alle imprese del territorio che hanno capito che la grande bellezza veste la qualità dei prodotti industrial­i. C’è effervesce­nza dal basso e nei territori. Alle Regioni e al Governo toccherà portare il protagonis­mo dei soggetti nella modernità del fare turismo all’epoca della moltitudin­e affluente.

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