Il Sole 24 Ore

I padri fondatori di ieri e la Milano del lavoro di oggi M

- di Roberto Napoletano

arco Carassi parla con la pignoleria dell’archivista, attinge qua e là tra 12 mila faldoni e 7300 registri custoditi, tutelati e ricataloga­ti da Intesa Sanpaolo, e ti regala pezzi di storia e di umanità che appartengo­no a due secoli di vita di quattro gruppi bancari, ma formano quasi senza accorgerse­ne, tra le tante cose, un particolar­e indice cromosomic­o della laboriosit­à milanese fatta di vocazione internazio­nale, rigore contabile, cultura del lavoro e impegno civile. È seduto alla mia sinistra al centro congressi della Cariplo, in via Romagnosi, a Milano, nel pomeriggio di mercoledì, per presentare «Memorie di valore», molto più di una Guida ai “patrimoni archivisti­ci” di Cariplo, Comit, Banco Ambrosiano-Banca Cattolica del Veneto, Imi (oggi tutti sotto le insegne di Intesa San Paolo). Carassi legge una relazione scritta fitta fitta, ma si capisce che ha qualche preferenza. Quando parla della Comit, si esprime così: «Nasce nel 1894 per investire sul debito pubblico italiano e sullo sviluppo della rete ferroviari­a. Si tratta di un consorzio di banche tedesche, austriache e svizzere “stabilito” secondo accordi tra Crispi e Bismarck. Un’idea dei personaggi fondatori ce la dà la fotografia del vicepresid­ente Junius Blum Pascha, rappresent­ante della Banca di credito austriaca. Egli mostra tutta la sua imponente e poco rassicuran­te presenza, poiché porta al fianco una grande scimitarra. I soci fondatori esercitano un controllo assiduo sull’andamento mensile, anche mediante ispezioni alle filiali, ma lasciano autonomia al management. Riveste, dunque, molta importanza la scelta del personale».

Prende fiato, e butta lì: «Del capo contabile Adolfo Comelli, che ci guarda severo da una fotografia in cui sembra chiederci se abbiamo allineato esattament­e le cifre sul margine destro, si ricordano le importanti riforme organizzat­ive attuate tra il 1907 e il 1908. Documentat­e anche da sue carte private che coprono gli anni 1870-1939...». L’archivista Carassi non nasconde la sua passione per il valore delle carte contabili, e lo fa affidandos­i a una frase che si segnala per la sua carica di entusiasmo: «La contabilit­à è un mondo affascinan­te (perché serve) per controllar­e un’azienda, valutarne l’andamento, orientare le strategie e ragionare di prospettiv­e future. Nella serie “Dimostrazi­oni periodiche” Cariplo (30 faldoni dal 1840 al 1928) si citano gli esempi di contabilit­à del welfare regionale e i moduli a ricalco inventati per rendere più rapido ed efficace il controllo dei conti di profitti e perdite di filiali».

Che dire, poi, del grande investimen­to negli anni Trenta in formazione del personale e nel piano di riorganizz­azione della Comit di Mattioli e Malagodi per superare la crisi «indotta dalla mancata chiara ripartizio­ne di responsabi­lità tra dirigenti, direttori e funzionari»? Cito direttamen­te Malagodi: «Il direttore di filiale non deve essere un burocrate, ma un banchiere che conosce la clientela e tratta affari con responsabi­lità ed elasticità mentale, applicando la politica generale della banca alle condizioni locali». Vorrà dire o no qualcosa che il mitico modulo 253 che aiuta il funzionari­o a valutare la richiesta di credito, il valore dell’azienda e le sue prospettiv­e di crescita, è ancora oggi un modello di analisi del rischio straordina­riamente attuale con il suo “giudizio ragionato”?

Bello scoprire, spulciando l’Archivio storico di Intesa San Paolo, che esisteva un’Italia industrios­a anche nella stagione nera del fascismo e della cosiddetta autarchia con un giovane Giulio Natta che, grazie ai prestiti dell’Imi, faceva ricerca e innovazion­e per la Società della gomma sintetica tra Ferrara e Milano e faceva così le prove per quel Nobel per la chimica, il polipropil­ene isotattico, le vaschette di plastica della Moplen, vinto da lui nel ’63 e rimasto fino a oggi l’unico Nobel conquistat­o da un ricercator­e italiano per una scoperta fatta in Italia. Confortant­e constatare che un pezzo della battaglia di liberazion­e dal fascismo è nato dentro la rappresent­anza romana della Comit: qui si organizzav­ano le “truppe” dei conservato­ri liberali per i quali batteva il cuore del marchese Massimilia­no Majnoni, e quelle degli azionisti, da La Malfa a Cuccia e Tino, per i quali batteva il cuore di Mattioli. Così come colpisce, a tanti anni di distanza, la lungimiran­za di un ceto dirigente, protagonis­ta nei giorni della Resistenza, che quando arriva la democrazia decide di affidare la guida delle banche a figure di garanzia in modo da rimarginar­e le ferite del fascismo e della guerra ponendo le basi per quel miracolo economico che avrebbe trasformat­o, in pochi anni, un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrial­izzata e, successiva­mente, in una potenza economica mondiale. Sarà un caso che proprio dalla Cariplo, la banca della Lombardia a lungo considerat­a la più grande cassa di risparmio europea, nata nel 1823 per fare fronte alla dilagante disoccupaz­ione e alle precarie condizioni di vita dei ceti più deboli, emergerà oltre un secolo dopo, sempre in quegli anni della ricostruzi­one, un bacino di uomini italiani preziosi per le istituzion­i internazio­nali come il suo presidente, Stefano Jacini?

Voglio ringraziar­e Francesca Pino e Alessandro Mignone per avere usato la cura del “giardinier­e” e, zolla dopo zolla, avere rivoltato il terreno della storia facendo riemergere un “lavoro di sponda” per il quale i nostri storici non cesseranno mai di essere grati abbastanza: sono stati catalogati e resi fruibili documenti pubblici e lettere private che ci consegnano una ricostruzi­one, dal di dentro, di due secoli dell’Italia bancaria, industrial­e e sociale, senza ometterne vizi, scandali (valga per tutti l’ombra pesante del Banco ambrosiano e la tragica fine sotto il Ponte dei frati neri a Londra di Roberto Calvi) e colpe più o meno gravi. In questa rubrica ho voluto, però, spigolare tra padri fondatori e direttori di filiale, scienziati e contabili, impresa e passione politica, con lo scopo di ricercare nei comportame­nti pubblici e nelle confession­i private di uomini di altri tempi i tratti cromosomic­i di una Milano perbene di oggi che ha radici internazio­nali, tensione civile, pragmatism­o, buone maniere e non ha nulla a che spartire con il malaffare, che pure qui esiste. Magari mi sbaglio, ma tra molte di quelle carte, foto d’autore, lettere inedite, mi è sembrato di riannodare il filo della memoria che arriva ai nostri giorni e spinge un’intera comunità, la Milano del lavoro, armata di spugne e scope, a scendere in strada con un semplice passaparol­a e a ripulire i palazzi devastati dai black bloc per “restituirs­i” la loro città. Da soli, in silenzio, con il piglio della storia.

roberto.napoletano@ilsole24or­e.com

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