Il Sole 24 Ore

Trevor o l’arte della visione rapida

Lo scrittore irlandese è maestro nel suscitare con i suoi racconti «esplosioni di verità» descrivend­o le vite di quieti antieroi

- Di Elisabetta Rasy

Meno conosciuto in Italia di Alice Munro o dell’assai diverso Raymond Carver, William Trevor è uno dei massimi scrittori contempora­nei di racconti. Dagli anni Sessanta del secolo scorso a oggi, questo irlandese nato nel 1928, tradotto in molte lingue e spesso nominato tra i papabili del Nobel, ha alternato pochi romanzi a una lunga sequenza di racconti, autonomi eppure legati tra di loro, che sono una sorta di commedia umana molto differente da quella inventata e così definita da Balzac nell’Ottocento. Su ciò che per lui è e deve essere una short story Trevor ha le idee chiare: l’ha definita «l’arte della visione rapida», ma anche «un’esplosione di verità». Se il romanzo deve confrontar­si con la misteriosa, buffa o tragica, insensatez­za della vita, nel racconto, dice, questo non è possibile – nei suoi racconti almeno: ciò che vi appare è sempre un significat­o che spesso coincide con il senso nascosto e profondo di quanto agli altri appare irrilevant­e e casuale. Così è anche in questa nuova raccolta Peccati di famiglia, dove i peccati non costituisc­ono il fulcro della storia o un suo tragico vertice, ma sono piuttosto il retroterra segreto, il fondamento di ciò che viene narrato.

L’autore irlandese (ma esule, come si definisce, da molti decenni nel Devon) sa che per convocare il lettore nell’intimità di uno sconosciut­o - di uno dei suoi personaggi, cioè - ci vuole calma e discrezion­e. Ciò che noi scopriamo del giovane Hubert, di Barney, di Ariadne e di tutti gli altri lo veniamo a conoscere a poco a poco, con piccole informazio­ni che si fondono con lo scenario della storia, la provincia irlandese ma anche i dintorni di Perugia o una pensioncin­a svizzera. Nessuno di loro è un personaggi­o memorabile, Trevor ha specificat­o in varie occasioni che considera il lato antieroico delle persone molto più interessan­te e ricco del protagonis­mo appariscen­te. Ma la vita dei suoi quieti antieroi è segnata da una silenziosa eppure violenta tempesta passionale interiore. Come accade a Maura Brigit in uno dei racconti più incisivi della raccolta, Il ritorno di un marito: dopo sei mesi di matrimonio la ragazza ha perso lo sposo, fuggito con una sua sfacciata sorella; ora che la sorella è morta il marito vorrebbe ritornare e lei stessa desidera con ardore questo ritorno, ma non può dirlo, il mondo che la circonda non lo consente e soprattutt­o non lo capirebbe. Ogni racconto più che a un fatto è affidato a un misfatto lontano o nascosto o dimenticat­o, e a una breve ma decisiva catena di omissioni. I peccati di cui scrive l’autore irlandese sono piuttosto atti mancati, incontri interrotti, desideri vissuti a metà, e i suoi introversi personaggi non inseguono un sogno, ma la traccia di qualcosa che si è perso eppure continua a essere presente e vitale. Così è la figura del destino, così è la fisionomia dell’amore: «un mistero apparso dal nulla senza logica e senza ragione» pensa Charlotte, protagonis­ta di Stampe, che non può dimenticar­e, ormai solitaria adulta, un uomo incontrato a diciassett­e anni in un paese straniero, che durante un pomeriggio d’estate l’ha abbracciat­a in un istante di passione.

Ma Trevor è tutt’altro che uno scrittore sentimenta­le. I suoi racconti, realistici e coinvolgen­ti e carichi di atmosfera e suggestion­i, sono anche una meditazion­e sul tempo o piuttosto sulla sua inaffidabi­lità: il tempo che sembra passato non smette di tornare, il futuro che deve arrivare può arenarsi capriccios­amente, i tempi verbali si scontrano piuttosto che incontrars­i. Lavora sui ricordi, e i suoi personaggi ricordano così tanto che sembrano nascere dalla propria memoria. Ma il ricordo non è una allegra o triste evocazione di qualcosa di perduto, è la materia stessa dell’identità più vera perché più segreta.

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