M Funambolico indagatore
i sarebbe molto piaciuto assistere a una lezione di Lars Gustafsson, docente di storia del pensiero europeo all’università di Austin nel Texas. Mi sarebbe piaciuto sentire lo sviluppo teoretico delle immagini, dei frammenti che la scrittura dei suoi romanzi ci ha lasciato. Sono le due facce di una raffinata medaglia, in cui è inscritta la vita di una personalità complessa e luminosa, quale l’abbiamo conosciuta nelle opere che ha lasciato: strutture narrative di taglio particolare, giocate sul rimando al passato, ma mai alla crepuscolare nostalgia del tempo perduto. Nelle trame delle sue opere narrative, concise, più nella misura del racconto che del romanzo, Gustafsson è stato un ricercatore spesso insoddisfatto, un costruttore di ipotesi da condurre a sistema, ma al momento appena sbozzate dal piano dell’esperienza, in cui il passato è una presenza dialettica, a volte contemporaneo al presente e, più di questo, vivo e sentito. È così in Morte di un apicoltore, racconto che indaga sul senso della vita quando la malattia la intacca e la consegna alla morte. È cosi, in modo più arioso e lieve, temperato dalla maturità, nel romanzo Le bianche braccia della signora Sogerdhal, o ne La vera storia del signor Arenander, il primo libro di Gustafsson ad approdare in Italia, da Bompiani, prima che Iperborea si dedicasse all’opera intera dello svedese. Le categorie del tempo e dello spazio sono state il fulcro della sua scrittura, trasposte in storie che prendono spunto dal vissuto dell’autore: la sua vita è il centro mascherato dei racconti, la geografia della sua vita è il luogo dei racconti, dalla Svezia in cui è nato, e dove è morto poco prima di compiere ottant’anni, al Texas dove ha trascorso vent’anni di docenza. Ed è stata una vita piena quella che riconosciamo nel mondo problematico della sua opera, la vita di un uomo di pensiero e di un pragmatico, lucido nella riflessione, curioso nel profondo e aperto alla competizione: amava la gara, che fosse nel tennis o negli scacchi, o con se stesso nella sfida solitaria dello scrivere, e gareggiava determinato a vincere e quindi a non allentare mai la tensione. È qualcosa che si sente nel passo nervoso della sua scrittura, nella passione per i frammenti che aprono spiragli di comprensione, ma impegnano a riempire i vuoti delle parole perdute, dei gesti dimenticati. Lo ha contraddistinto nell’affronto di temi profondi la misura della leggerezza: Gustafsson si è mosso con agilità funambolica, i suoi romanzi sono una corda sottile tirata su un abisso, se la corda si spezzasse, si cadrebbe nella melassa dei ricordi. E invece, con gli occhi aperti sull’abisso, insieme ai suoi personaggi percorriamo uno spaziotempo dalle categorie singolari, di cui dibattono con linguaggio comune persone comuni come il piastrellista, la parrucchiera Windy o la clandestina, ma anche studiosi dalla sconcertante visuale filosofico-matematica, come il prof. Gibbs de Le
bianche braccia della signora Sorgedahl Una bella sfida fare sì che il peso della riflessione filosofica e scientifica non sbilanci la tessitura della narrazione! È un esercizio che ha stimolato Gustafsson e gli ha aperto le porte ad uno stile coltivato con sapiente energia e ironia. A volte con umorismo, «categoria essenziale della saggezza». Gli occhi azzurri dell’uomo del nord aperti su paesaggi a lui familiari, dentro cui crescono uomini e storie tracciate con passione controllata, con disincanto e acume, hanno acuito lo sguardo dei suoi lettori, lo hanno educato a uno visuale giocata sulla levità e sulla profondità. Ci lascia con un ultimo romanzo, La ricetta del dottor Wasser (edito a breve sempre da Iperborea), quasi a riprendere il discorso temporaneamente interrotto dalla morte. L’agilità gli ha permesso il lungo lancio oltre il tempo.