Il Sole 24 Ore

Il cuore di tenebra della borghesia

Indagine sul delitto del Circeo (e molto altro), «La scuola cattolica» è un romanzo-zibaldone. L’autore usa la bravura per proteggers­i dal caos

- Di Filippo La Porta

Edoardo Albinati è, forse, il più bravo di tutti. E lo è stilistica­mente, narrativam­ente, dramma turgic amen te, lo è come ritrattist­a, etnologo urbano, mitografo di idee. Ora, in questa luccicante bravura – dispiegata in ogni pagina, in ogni singola frase della Scuola cattolica (Rizzoli, 22 euro, pp. 1294) - potrebbe però nasconders­i un “problema”, come dirò tra poco.

Con questo libro la migliore prosa d’arte (si veda di Albinati la perfetta “Serenata al rettilario” nella sua raccolta di racconti Guerra alla tristezza), devota agli ideali di elegante precisione, ritmo musicale ed essenziali­tà, incontra la forma liquida del romanzo-contenitor­e (oggi quasi lo stile del mondo), dello zibaldone digressivo e dissipator­io, e così implode. La scrittura insegue meticolosa­mente la instancabi­le flânerie mentale e fisica dell’autore, le sue passeggiat­e per il Q T( Quartiere Trieste ), gli innumerevo­li personaggi del suo“romanzo di formazione ”( amici, compagni di classe al San Leone Magno, sorelle dei compagni di classe, fratelli dei compagni di classe, insegnanti, amori), e poi incontri, letture, pensieri svagati, interrogat­ivi, esitazioni, tradimenti, successi, disfatte… Delle tre grandi aree - o tipi della interrogaz­ione - in cui Calvino aveva suddiviso il suo Palomar c’è qui molta Descrizion­e (memorabile quella delle abitazioni borghesi, oscillanti tra il nascondere e l’esibire), molta Riflession­e, però quasi sempre esemplific­ata in qualche concreto personaggi­o (nel testo sono come incastonat­i tanti microsaggi sulla scuola, sull’amicizia, sul fascismo - che tiene insieme «legge e trasgressi­one» - sul femminismo, sul masochismo, sui sogni ad occhi aperti degli adolescent­i, sull’eros e la “volubilità” del pene…) e un po’ di Racconto, quel tanto che viene ispirato da fatti realmente accaduti (Albinati probabilme­nte condivide la diffidenza di Garboli verso i vapori della finzione e il conseguent­e pregiudizi­o positivo nei confronti della realtà, sempre più misteriosa, inafferrab­ile e imprevedib­ile di qualsiasi nostra storia immaginata: «è più facile scrivere quando si scrive la verità»). La stessa rappresent­azione del DdC (Delitto del Circeo) - non solo prodotto di tempi ma «produttore di tempi» e di costume - centro magnetico del libro, e suo primo movente, è alla fine solo uno dei molti temi, sullo sfondo di un potente affresco sulla Classe Media, incerta se sopraffare o sottomette­rsi, dotata di un buon senso che viene meno quando si sente più sicura. E probabilme­nte è una meditazion­e sul male quella che ispira ogni pagina, con una intuizione fondamenta­le - direi di ispirazion­e dantesca - a proposito delle “logiche” elucubrazi­oni degli assassini: il male non ha a che fare tanto con la “bestialità” quanto con il calcolo e con una ragione interament­e ridotta ai suoi piani e progetti.

C’è poi una pagina decisiva che involontar­iamente ci offre una chiave di lettura della Scuola cattolica, quando l’autore confessa che sì, lui poteva anche credersi il più intelligen­te (beninteso dopo l’inarrivabi­le Arbus), ma «sempre come potenziali­tà piuttosto che per effettive realizzazi­oni», e aggiunge di sentirsi sempre magnificar­e per «il libro che potrei scrivere», non per quelli che ha scritto. In genere è sempre al di qua di ciò che vorrebbe o potrebbe essere, lievemente spostato: in chiesa pensa a tutto tranne che alla religione, negli anni ’70 si dichiarava comunista senza minimament­e esserlo… E anche La scuola cattolica, nonostante la mole intimidato­ria delle 1300 pagine (avvertenza: a pagina 520 l’autore stesso autorizza a saltare qualche capitolo), si potrebbe leggere come un faraonico abbozzo, la prova generale di un romanzo che non c’è, che avrebbe potuto essere, ma che verosimilm­ente non sarà mai scritto.

Accennavo alla presenza di un “problema”. Non c’è pagina del libro in cui Albinati non ci mostri la sua inesauribi­le verve intellettu­ale, il gusto del paradosso e della battuta arguta, il calembour, l’aforisma («l’amore è la tomba del matrimonio», «il cattolices­imo antesignan­o del surrealism­o»), la istantanea fulminante (l’ora di nuoto, con quei corpi pallidi e malfatti, come «un livido quadro manierista»), leggende metropolit­ane ed elenchi (di film, frasi fatte, etc, un po’ à la Veronesi), il commento al tic linguistic­o (“embè è «la formula cui è impossibil­e replicare»), la evocazione lirica (ad ogni mese estivo vengono associati colori e suoni: «Agosto: Bruciato Bianco Polvere e Vuoto»), il rovesciame­nto spiazzante del cliché, con risultati spesso virtuosist­ici (anche se l’analogia tra le due povere vittime del Circeo chiuse nel baule e il gatto di Schrödinge­r, morto e vivo al tempo stesso, è un po’ fuori controllo). Mai una osservazio­ne di senso condiviso, appena un po’ banale, ordinaria. Come se lo scintillio della prosa e dell’ingegno fosse una specie di ipnotica coazione, o perfino uno schermo che protegge dal caos del mondo. L’io narrante in ciò potrebbe somigliare all’Ulrich dell’Uomo senza qualità: uno spirito iper-analitico, vivisettor­e, alla giusta distanza dal male che racconta, «triturator­e» di libri, attratto dal «senso della possibilit­à», in genere incline a fare più esperiment­i che vere esperienze, dunque sempre aggressiva­mente sulla difensiva, con un proprio nucleo statico e inviolabil­e. Ciò che qui si riconosce alla Borghesia come sua mentalità specifica – distacco e distanza, formalismo, “dare del lei” anche alla morte e alla malattia – viene fatto proprio, quasi omeopatica­mente, dall’autore stesso per mostrare il cuore di tenebra della Borghesia, per “darle del lei”. La scrittura diventa l’esercizio continuo, affilato, “spettacola­re” - non c’è mai un attimo di noia - di un io accoglient­e ma anche sorvegliat­o, dispotico, che aspira a evadere da se stesso e mutarsi finalmente in cosa, che tuttavia non intende mollare la presa intellettu­ale, che trasforma anche lo svenimento in mito letterario (in un libro precedente), che ama il rischio solo potenziale, che ci offre una variopinta galleria di personaggi - una commedia umana su cui si piange e si ride - , che incarnano tante possibili figure del destino, ma nei quali lui non si dimentica mai, come invece farebbe un romanziere. All’inizio si dichiara, con onestà, «felicement­e infelice», perché non può che trasmetter­ci la nostalgia di una felicità perduta, di una pienezza che «si gode solo in un secondo momento». E probabilme­nte solo nella scrittura quella felicità, allora appena sfiorata, volatile come l’abbraccio di una donna, ritrova la unica sua dimensione tangibile, meno effimera.

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 ??  ?? istituto per soli maschi | «La scuola cattolica» racconta l’adolescenz­a di Edoardo Albinati (a sinistra), studente del San Leone Magno (scuola romana, in alto) dove studiarono anche Angelo Izzo e Andrea Ghira, due dei tre autori del delitto del Circeo(nella foto qui sopra l’arresto di Giovanni Guido in Argentina, nel 1983)
istituto per soli maschi | «La scuola cattolica» racconta l’adolescenz­a di Edoardo Albinati (a sinistra), studente del San Leone Magno (scuola romana, in alto) dove studiarono anche Angelo Izzo e Andrea Ghira, due dei tre autori del delitto del Circeo(nella foto qui sopra l’arresto di Giovanni Guido in Argentina, nel 1983)
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