La natura umana in versi
«Comporre un libro è quasi sempre un atto di consolazione» dichiarava alcuni anni fa Cesare Viviani nella raccolta di «riflessioni di etica e di poetica» Il mondo non è uno spettacolo (1998): «insomma conforto davanti al vuoto spaventoso dell’universo». La nuova raccolta di poesie Osare dire riafferma sia il senso di smarrimentoesistenzialesiailgestodiunascrittura coraggiosa e terapeutica.
Le poesie di Osare dire, precisa Viviani in appendice,sonostatescrittetrailluglio2012eilsettembre 2014; quelle delle due raccolte precedenti, Credere all’invisibile (2009) e Infinita fine (2012), furono rispettivamente composte dal luglio 2002 all’agosto 2007 e dall’ottobre 2008 all’agosto 2011. Sono dati cronologici del diario in poesia che Viviani sta tenendo e pubblicando con costanza da qualche decennio. Una poesia pertanto profondamente radicata nella realtà del tempo, personale e collettivo. Quello che colpisce di Osare dire è l’insistenza della prima voce plurale, assai più frequente della prima persona singolare. Il pronome dominante è «noi» non «io»,findalprincipiodellibro:«Quandoilcielosi tinge di nero, / a buio, / gli affaticati che ottengono / un giusto riposo a casa / non siamo noi, / affannati a smontare / e a rimontare il vero». E con la stessa modalità e intonazione proseguono i versi seguenti: «Verranno mica a cercare la veritàdanoi,/quellilì,anchesehannopagato?/Prepariamoci. / Perché nessuno di noi ha la verità». E ancora: «Cominciamo a recitare una preghiera»; «Andammo vicini a forza di ali al fuoco»; «Ma se tutti ci mettessimo a cantare»; «Non ne possiamo più»; e così, con regolarità, lungo tutto il corso del libro e fino alla fine, siglata da un emblematico e perentorio verso conclusivo: «noi restiamo qui».
Quando dice «io» Viviani lo comprende quindi in un «noi», in una prospettiva comune che mi sembra il connotato più significativo di questa raccolta. Sentimento personale che partecipa all’assillo universale, che non esclude la persona ma la coinvolge nell’umanità che vive e si consuma in questo mondo. Con il disincanto e la decisione di chi è consapevole dei tentativi e dei fallimenti della storia, in poesie nude che celanoeinsiememettonoinevidenzaletantericonoscenze letterarie, come in questo passaggio che rinvia al Candido di Voltaire («Il praticello va coltivato, ma senza speranza, / va amato, ma senza illusioni») e in quest’altro che accomuna una tradizione verticale che sale in estrema sintesi dai vangeli a Leopardi, Ungaretti e Luzi («Sappiamo che non è grande / la differenza di tempo di immersione / tra battezzare e annegare»). Viviani compie un’opera di indagine e di descrizione puntuale della «natura umana», senza pregiudizi né illusioni, con un linguaggio piano, asciutto, di misurato e caustico realismo. «Tutti a promettere paradisi, paradisi, / i venditori come i maestri / di vita e dello spirito, / poi resta un premio di consolazione, / quando c’è, / ma è questa la natura umana - / la stessa cosa di quandosiprepara/contantacura/lasediaelettrica o il colpo di grazia privato, / domestico, in famiglia ,/ ma è questa la natura umana .» Non ci sono sostanziali differenze tra chi «fa piccole furberie» e il« vicino» che« insegna filosofia/ all’ università e scrive libri », nel male come nel bene entrambi sono fatti« di carne» e in ciò risiede la loro essenziale identità. È questa concretezza umana che osserva e rappresenta Viviani, alla quale egli indirizzai propri versi perché continui a «esserci» con dignità e non diserti il proprio compito di testimone critico.
Le poesie di Osare dire sono quanto mai riflessive, anche nel senso proprio di poesie in cui ognuno può specchiarsi, sia nei tentativi di possibile riscatto sia nell’auspicabile comprensione e assunzione delle sconfitte. Bisogna prendere atto della peculiarità della «natura umana». Una natura che si confronta col presente e nel contempo tiene conto della lunga storia che l’ha precedutaeaccompagnata,chesirinnovainmaniera ancora tragica nell’attualità. Occorre abbracciare l’arco intero della nostra storia, appunto “nostra” e non solo “personale”, nella quale tutti siamo implicati e di cui siamo espressione. Come risalta in questa poesia sui morti, che appare come una rivisitazione capovolta e infernale dei sepolcri foscoliani: «Davvero furono miliardi (non è / un’iperbole) le morti nei secoli. / E chi può dire che sono tutte uguali? / Ma no, ci sono quellen.c.,nonclassificabili,/equelleclassificabili: e tra queste / le migliori sono un dolce passaggio / dalle carezze dei cari alle braccia / della Madonna. Invece tra le n. c. / le peggiori sono quelle dei torturati / per il piacere dei vincitori».
Gli uomini non hanno certezze rasserenanti né motivi di vanto; non per questo essi possono abbandonare il proprio posto, modestamente e fermamente coscienti di essere «solo operai / di questo grande padrone che è la vita». Per questa ragione,appunto,davantiatutto,al«VuotoDivino» come al disinganno umano, Viviani ribadisce con chiarezza e con forza «noi restiamo qui».
Cesare Viviani, Osare dire, Einaudi, Torino, pagg. 116, € 11