Il Sole 24 Ore

L’editor dei grandi

- di Mario Andreose

Giancarlo Bonacina (1938-2016) ha attraversa­to, come editor della narrativa straniera, due stagioni letterarie tra le più significat­ive della nostra storia editoriale: prima in Bompiani, poi in Mondadori. Alla Bompiani arriva, non ancora trentenne, in una redazione composta da Umberto Eco, Paolo De Benedetti e Sergio Mo rand o, con apporti occasional­i di una schiera di intellettu­ali e scrittori attratti da Valentino nella fucina delle Grandi Opere e dell’Almanacco Bompiani. Ci sono anche le ragazze Bompiani: Emanuela, con la sua bella collana di narrativa per ragazzi, e Ginevra, con la sua serie autre «Il pesanervi», disegnata da Franco Maria Ricci. Bonacina, con il fuoco dell’esordiente si immerge subito nella ricerca di nuovi autori, soprattutt­o americani, degni di integrarsi in un catalogo già leggendari­o. Alcuni ne traduce personalme­nte e partecipa, inoltre, all’allestimen­to di tre almanacchi: La bellezza (1967) con Giuliana Broggi, Dieci anni di mode culturali (1968) con Fabio Mauri e L’inquietudi­ne religiosa (1969) con Paolo De Benedetti. Anche se alcuni sono poi emigrati altrove,vorreicita­retragliau­toridellal­istaBonaci­na: Thomas Pynchon, Philip Roth, Gore Vidal, Jack Kerouac, Harold Brodkey, Donald Barthelme, Joseph Heller, Dalton Trumbo, il giapponese Tanizaki e lo scrittore yiddish Shmuel Agnon premio Nobel ’66. Bonacina lascia la Bompiani poco dopo che Valentino l’ aveva venduta all’ inizio degli anni ’70, indotto forse dall’improvviso aumento del costo delle materie prime e da un mercato che volgeva il suo maggiore interesse alla saggistica d’intervento o di ascendenza francofort­ese.

In Mondadori Bonacina ritrova nuovo slancio, aiutato anche dalle maggiori disponibil­ità del gruppo, così chela sua azione sul mercato dei diritti si fa più incisiva nell’ ambito dei best-seller internazio­nali, con un occhio sempre alla qualità. E se nel suo carnet affluirann­o,amanoamano,Follett,Grisham,Scott Turow, Salman Rushdie, la Cornwell, Robert Harris e altri, non per questo trascurerà gli esordienti e scrittori di una nicchia più propriamen­te letteraria, come David Leavitt, Susan Minot, Colm Toibin e Kapuscinsk­i prima del suo successo planetario.

Pochi potrebbero raccontarc­i qualcosa di Giancarlo Bonacina, schivo com’era e parco di parole, al punto di rasentare la misantropi­a: pochissimo glamour e tutta sostanza. Era alto, con occhiali importanti, al punto che risultava difficile decifrarne persino lo sguardo. Oltre alle opere pubblicate, la maggiore soddisfazi­one della su avitagli è venuta da un’ avventura involontar­ia, verso la fine degli anni ’80, nell’ ambito della guerra sanguinosa, in termini economici, tra Monda dori e Rizzo li. Non contenti di contribuir­e a inflaziona­r egli anticipi agli autori anglosasso­ni, un giorno alla Rizzo li viene l’ idea di decapitare la rivale assoldando il vertice: direttore generale, direttore editoriale e la scout a New York, i quali, da bravi capitani di ventura, varcano il laghetto di Se grate e il Lambro senza indugio. Leonardo Monda dori, illuminato­dagli dei, chiama Giancarlo e lo manda a New York nell’inedita veste, finora, di scout e dedito ratlarge: come dire, il topo nel formaggio. D alì, nel Village, Giancarlo andava al bar, a pranzo e cena congl iscritto ridi cui sopra e il oro agenti ben prima chela concorrenz­a ne fosse informata. È lì, oltre che alle fiere, dove l’ ho visto qualche volta: un giorno in un bar di Irving Place ci siamo guatati con un sorriso: lui con David Leavitt, io con Jay McInerney e Brett Easton Ellis, tutti cocchi di Fernanda Pivano.

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