L’enigma delle tre corone
ben 137 immagini di tale insegna e delle sue varianti – ad esempio, una corona di spine al posto della terza corona regale oppure la dicitura Manet tertia coelo –, pazientemente individuate e raccolte da Nuccio Ordine: a stampa, in ritratti, monete, arazzi, marche tipografiche e preziose legature di libri. Costituiscono l’inserto iconografico al presente volume, in cui, con ammirevole erudizione e con acume da investigatore di romanzi polizieschi, l’autore ricostruisce la storia politica, religiosa e culturale della Francia nella seconda metà del Cinquecento, della patria di Ronsard, di Rabelais, di Montaigne, di Bodin e della nazione allora frequentata da Giordano Bruno, che a Parigi viene ricevuto dal re, curioso della sua arte della memoria (il Nolano gli dedicherà nel 1582 il De umbris idearum). Per molti aspetti questa insegna sottintende la politica di Enrico e le e mire dello Stato francese nel “grande gioco” che ha tra i partecipanti l’Impero spagnolo, l’Inghilterra di Elisabetta I e la Scozia, insofferente, dopo la decapitazione di Maria Stuarda (nonna di Enrico III), dell’influenza protestante e inglese.
Quali sono le enigmatiche implicazioni contenute nell’impresa di Enrico III in una fase storica in cui i segreti e le ambiguità costituivano una consapevole sfida alla loro decifrazione? Esaminando diverse ipotesi di soluzione, analizzando immagini, poesie, balletti (famoso e denso di indicazioni sulle attese, anche politiche di Enrico, è il fastoso Balet comique de la Royne del 1581) o feste in onore di un re che non disdegnava i piaceri, Ordine esclude o derubrica, in maniera ben argomentata, l’interpretazione più ovvia dell’ultima corona e del motto che prevalentemente la sovrasta (Manet ultima coelo). Non si tratta, infatti, di una corona celeste, che deve essere attribuita a Enrico per la sua fede e i meriti di un re “cristianissimo”, bensì di una corona, dietro ufficiali cortine di fumo, sempre più esplicitamente terrena.
Di una corona celeste si era parlato nel giorno dell’incoronazione di Enrico nella cattedrale di Reims: «Tu hai una doppia corona, e l’ultima di attende in cielo: la tua viva fede proteggerà quelle due e ti darà questa». Una terza corona, dunque, dopo quelle della Francia e della Polonia, analogamente ai diademi cui aspiravano altri sovrani dell’epoca? Si esprime in questa insegna la volontà di emulare il triregno papale e di negare, con ciò, ogni ingerenza della Chiesa di Roma negli affari della monarchia francese? No, ci si riferisce proprio a una speciale corona terrena (come aveva intuito e proposto Bruno, con tipica ’scrittura reticente’ e allegorica, ne Lo spaccio della bestia trionfante e ne Gli eroici furori), spettante a un re che ha a cuore la pace e la giustizia. È, appunto, questa che rimane e che trasmetterà la sua gloria e il suo splendore ai posteri anche dopo la morte di Enrico. Scrive Bruno, con cautela, ne Lo spaccio: «Questo re cristianissimo, santo, religioso e puro, può securarmente dire: Beati i pacifici, beati i quieti, beati li mondi di cuore perché de loro è il regno de’ cieli». È però una corona che allude prevalentemente al rifiuto delle guerre di religione fratricide e che cerca di salvare la nave dello Stato tra le procelle (analogamente allo stemma di Parigi con la sua imbarcazione tra le onde e il motto Fluctuat nec mergitur).
L’insegnamento del Machiavelli dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio o l’influenza di Maria de’ Medici sul proprio dipinto da François Clouet nel 1581. A sinistra una moneta con le tre corone figlio hanno contribuito a separare le credenze religiose di Enrico dalle prerogative dello Stato? Forse quest’ultimo non è ancora compiutamente diventato superiorem non recognoscens, ma è sulla strada per diventarlo e, in ogni caso, la religione sembra assumere sempre di più il carattere di un instrumentum regni, come sarà sostanzialmente per Enrico IV di Navarra, a sua volta ucciso da un seguace dei Gesuiti. Ne Lo spaccio Bruno sostituisce ultima per tertia. Può trattarsi di una svista? O non, piuttosto, di un’allusione al fatto che di corone Enrico potrebbe averne anche altre dopo la terza? Potrebbe egli, come scrivono molti adulatori e poeti suoi contemporanei, mirare a «conquistare daccapo l’Europa / E riuscire vittorioso/ Da Gades fino al Bosforo»? Potrebbe aver manifestato l’ambizione, reperibile nelle insegne di altri monarchi, di non fermarsi Donec totum impleat orbem, dato che anche a lui Unum non sufficit orbem, ossia di non contentarsi della conquista di tutto il mondo, ma di volere persino andare oltre, perché questo non gli basta? Licenza poetica e adulazione, si dirà, ma certamente sintomo enfatizzato di aspirazioni imperiali a rivaleggiare con la Spagna e l’Inghilterra, anch’essa in fase espansionistica.
Sarebbe troppo facile dire, con una battuta, che a Nuccio Ordine è riuscita “l’impresa” di rivelare il complesso intreccio di quanto sta dietro il Manet ultima coelo. Meno ovvio, sostenere, rovesciando un detto di Eraclito («Si scava molta terra per trovare poco oro»), che in questo volume ha alacremente scavato nella congerie materiali eterogenei e dispersi (simbolici, storici, letterari, politici, filosofici) fino a ricavare lo spaccato di un’epoca da un solo elemento, a prima vista insignificante.
Nuccio Ordine, Tre corone per un re. L’impresa di Enrico III e i suoi misteri, Prefazione di Marc Fumaroli, Bompiani, Milano, pagg. 548, € 17