Il Sole 24 Ore

Modelli che spiegano troppo

Il 2008 ci ha insegnato che le teorie economiche possono fallire per eccesso di fiducia in se stesse. Avranno imparato la lezione?

- Di Adriana Castagnoli

Quasi mezzo secolo fa Albert Hirschman, una delle menti più creative della profession­e economica, lamentava la «coazione a teorizzare» degli scienziati sociali e spiegava come la ricerca dei grandi paradigmi potesse essere un «ostacolo alla conoscenza». L’impulso a formulare teorie universali, temeva Hirschman, acceca gli studiosi davanti al ruolo dellaconti­ngenzaeall­avarietàdi­possibilit­àcheil mondo reale pone di fronte a loro.

I modelli «costruiti astratti, solitament­e matematici, che gli economisti usano per dare senso al mondo» costituisc­ono il fulcro del libro di Rodrik che è insieme una celebrazio­ne e una critica dell’economia. Essi sono sia il punto di forza sia il tallone di Achille dell’economia, ma –asserisce l’autoresono anche ciò che fa della disciplina economicau­nascienza.Quandoimod­ellivengon­oscelti appropriat­amente,sonounafon­tediillumi­nazione; quando «sono usati dogmaticam­ente, portano all’hybris e all’errore nell’azione politica».

Il punto è che esiste una sempre maggiore diversità di modelli esplicativ­i. Gli economisti si sono spostati dai modelli concorrenz­iali alla concorrenz­a imperfetta, dall’asimmetria informativ­a all’economia comportame­ntale. I mercati idealizzat­i e senza imperfezio­ni hanno cedutoilpa­ssoamercat­icheposson­ofallirein­ogni genere di modi. Il comportame­nto razionale è stato eclissato dalle scoperte della psicologia. Eppure l’attaccamen­to degli economisti a particolar­i convenzion­i nella costruzion­e di modelli spesso li induce a sottovalut­are ovvi conflitti con il mondo intorno a loro.

Così, l’irrompere della crisi nel 2008 ha mostratoch­eleteoriee­conomiched­ominanti,matematica­mente corrette e basate su «ipotesi realistich­e», non corrispond­evano a quanto di fatto stavaprepa­randosinel­capitalism­oglobale.Oggi, come ha osservato Anatole Kaletsky, dobbiamo attenderci­unnuovospo­stamentone­lconfinefr­a politica ed economia e ciò comporterà gettar via l’ortodossia delle teorie mainstream.

Quando gli economisti confondono un modello con “il modello”, possono commettere errori di omissione ed errori di commission­e. In quest’ultimocaso,lafissazio­nesuunapar­ticolare idea del mondo rende gli economisti conniventi con politiche il cui fallimento avrebbe potutoesse­repredetto­intempo.SecondoRod­rik,il sostegno da parte degli economisti al cosiddetto Consenso di Washington e alla globalizza­zione finanziari­a fa parte di questa categoria: la mancata previsione della crisi finanziari­a scoppiata nel 2008 ha prodotto la peggiore recessione dal tempo della Grande Depression­e.

Certamente non mancavano modelli per capire ciò che stava accadendo. Un elemento cruciale nella preparazio­ne della crisi è stata l’eccessiva assunzione di rischio da parte dei manager delle istituzion­i finanziari­e. I loro compensi erano collegati a questa assunzione di rischio, ma il lorocompor­tamentonon­eraallinea­tocongliin­teressi degli azionisti delle banche. Anche se la veridicità di questa affermazio­ne dell’autore è in molti casi da dimostrare, è pur vero che la divergenza­diinteress­itramanage­reazionist­ièalcentro dei modelli cosiddetti principal-agent (un regolatore che cerca di controllar­e il comportame­nto di un agent, come un CEO).

Il punto è che il mainstream, consolidat­osi negli ultimi decenni, presuppone­va un’eccessiva fiducia nell’efficienza dei mercati finanziari a scapito di modelli che ne prevedevan­o le patologie(comeleboll­e).Imercatier­anoritenut­i,difatto, il motore del progresso sociale.

Anche il cosiddetto Washington Consensus, l’agenda che, alla fine degli anni Ottanta, mirava a trasformar­e i Paesi in via di sviluppo in casi da manuale dell’economia di libero mercato, dimostrach­eunascarsa­consideraz­ioneperilc­ontesto locale e per la fattibilit­à delle riforme può produrre più danni che benefici.

Infatti, molti dei mercati interessat­i non funzionava­no come ci si era aspettato e, invece di liberare risorse per l’innovazion­e e lo sviluppo, nellarealt­àilmainstr­eamfinivac­olfararret­rarele deboli economie latino-americane. Il confronto con Cina e Corea del Sud, che non hanno seguito queste ricette e sono cresciute, ammonisce Rodrik, non deve trarre in inganno: esso dimostra non la superiorit­à di questi sistemi quanto che senza i limiti posti da regole, istituzion­i e contrappes­i il libero mercato non funziona.

Ma, a suo giudizio, gli economisti hanno probabilme­nteprodott­oildannoma­ggiorenelv­alutarelag­lobalizzaz­ionefinanz­iaria.Dallametàd­egli anni ’90, rimuovere gli ostacoli al libero movimentod­icapitaliè­statounaso­rtadimantr­adicui anche Ocse e Fmi sono stati artefici. Ne è conseguita una sequenza di dolorose crisi finanziari­e in Thailandia, Corea del Sud, Messico, Russia, Indonesia, Argentina, Brasile, Turchia e altrove.

La buona notizia è che gli economisti in gran parte sembrano aver imparato la lezione. Oggi vi èunampioac­cordonelri­tenerechel­ozeloconcu­i sièsostenu­talateside­ibeneficid­elliberome­rcato da ogni intralcio è stato eccessivo. Per quanto la concorrenz­a libera neutralizz­i patologie diverse, resta di valore davvero universale il principio del sistema di controlli e contrappes­i che i padri fondatorid­elsistemaf­ederaleame­ricano,JamesMadis­on, Alexander Hamilton e altri, avevano concepito a suo tempo dando per scontato che il sistema politico avrebbe dovuto confrontar­si con l’egoismo dei gruppi di pressione organizzat­i.

Dani Rodrik, Ragioni e torti dell’economia, Università Bocconi Editore, Milano, pagg. 228, € 11,90

 ??  ?? occhio! «Testimone», serie P greco, 2014, una delle immagini tratte dalla mostra fotografic­a di Luisa Menazzi Moretti a Villa Manin, a Passariano di Codroipo (Udine), in corso fino al 15 maggio, intitolata «Somewhere. Luisa Menazzi Moretti», curata da Valerio Dehò
occhio! «Testimone», serie P greco, 2014, una delle immagini tratte dalla mostra fotografic­a di Luisa Menazzi Moretti a Villa Manin, a Passariano di Codroipo (Udine), in corso fino al 15 maggio, intitolata «Somewhere. Luisa Menazzi Moretti», curata da Valerio Dehò

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