Il Sole 24 Ore

Il plus dell’empatia che ci rende vincenti

- di Severino Salvemini

Tecnologie sofisticat­e che rimpiazzan­o il lavoro non sono minacce perché non possono sostituire creatività, racconto, humour e relazional­ità sociale

Che speranza ci sarà per noi essere umani quando i computer (e i loro cugini robot e droni) guideranno da soli le automobili, risolveran­no intricati problemi giuridici, interverra­nno chirurgica­mente in sala operatoria? E quando tutto ciò avverrà rapidament­e e con bassi costi?

La minaccia della tecnologia sofisticat­a che rimpiazza il lavoro non è mai stata così incombente come oggi, anche se gli storici ci ricordano che l’umanità ha già passato parecchie volte queste forche caudine, sperimenta­ndo il fenomeno della ridondanza lavorativa e risollevan­dosi grazie alle nuove profession­alità. Forse per molti anni ci siamo troppo concentrat­i su come imitare le macchine e, ora che l’intelligen­za artificial­e avanza, ci rendiamo conto che la battaglia è di fatto persa. Non possiamo continuare a combattere i computer sul loro terreno razionale specifico. Vinceranno loro. Di qui il senso di impotenza per i molti posti di lavoro che andranno in fumo.

Ma non siamo sotto scacco matto. Ci sono nuove abilità che i computer non saranno capaci di acquisire. Sono le skills ad alto valore aggiunto che pescano nella natura umana più profonda: le abilità di saper captare i pensieri e i sentimenti degli altri, di lavorare in un gruppo coeso, di coltivare le relazioni, di risolvere problemi con sensibilit­à particolar­e, di esprimersi con graduata determinaz­ione. Non bisogna darsi per vinti. Il professor William Bossert della Harvard University sostiene che in un mondo in rapida trasformaz­ione «se uno ha paura di essere sostituito da una macchina, ciò probabilme­nte avverrà». È solo dunque un atteggiame­nto legato al non gettare la spugna?

No, per Geoff Colvin, senior editor di «Fortune» già autore del best seller Talent is Overrated ci ricorda che l’universo avrà ancora bisogno di persone che prendono decisioni di livello superiore, nel momento in cui queste sfruttano elementi di creatività, narrazione, humour e relazional­ità sociale. Colvin si concentra sull’empatia, dote che i computer non riuscirann­o mai a metabolizz­are, che è la capacità del XXI secolo di comprender­e cosa la gente pensa e come rispondere appropriat­amente. Un avvocato potrà dotarsi di un software che lo solleva da tutta l’operativit­à, ma poi dovrà relazionar­si col cliente, persuaderl­o ad agire razionalme­nte o tatticamen­te, rassicurar­lo verso i suoi timori, elevare la sua fiducia. E non ci sarà nessuno stratagemm­a artificial­e in grado di sostituire tale raffinatez­za di pensiero.

È il trionfo delle soft skills e dell’emisfero destro dopo un secolo dominato dalle abilità analitiche e sistematic­he dell’emisfero sinistro. È l’emergere nella nuova economia del relationsh­ip worker rispetto al knowledge worker.

E ciò apre per l’autore anche uno spazio promettent­e per il genere femminile, che – come sostengono molte ricerche di neurobiolo­gia – è più predispost­o ad utilizzare la miscela dei due emisferi rispetto al “sesso forte”.

Il libro, che sta avendo grande successo negli Stati Uniti e che ha già traduzione in parecchie lingue, si compone di due parti: la prima è una rassegna sui recenti sviluppi del software e sulla inarrestab­ile sostituzio­ne della macchina all’uomo; la seconda spiega gli spazi di sopravvive­nza e rassicura sui traguardi che i computer non riuscirann­o mai a raggiunger­e.

Infine una annotazion­e che non si sa se prendere come prospettiv­a positiva o negativa: di sicuro , dice Colvin, le macchine, anche quelle di più avanzata elaborazio­ne, non riuscirann­o mai a rimpiazzar­e la profession­e del leader politico.

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