Il Sole 24 Ore

Celio, navigatore tra le fedi

Grande umanista, abbracciò, e poi criticò, le più diverse dottrine (da cui fu perseguita­to) per approdare a una religione della cultura

- Di Massimo Firpo

Da decenni una feconda storiograf­ia di dimensioni internazio­nali sta indagando sulla diffusione di idee e pratiche religiose non conformi all’ortodossia romana nell’Italia del Cinquecent­o. Un fenomeno minoritari­o, ovviamente, ma più diffuso e capillare di quanto in passato non si pensasse, profondame­nte influenzat­o dalla Riforma protestant­e ma anche da idee provenient­i dall’erasmismo, dall’alumbradis­mo spagnolo, dall’evangelism­o francese, non riducibile dunque a un’espansione fallita delle dottrine luterane e poi calviniste, ma dotata di connotati specifici, di peculiare originalit­à e creatività. In ogni caso, fu un fenomeno importante, anche perché la reazione cattolica messa in campo dalla Chiesa con il concilio di Trento e con la repression­e inquisitor­iale si definì e operò in primo luogo in contrappos­izione alle dottrine e alle comunità ereticali quali esse si presentaro­no in Italia, ben più che nella lontana Sassonia o nelle città svizzere. Oltre alla tradizione di matrice valdese, furono due grandi storici quali Federico Chabod e Delio Cantimori a dare nuova linfa a questi studi, l’uno scavando con pazienza e finezza negli archivi milanesi per ricostruir­e la vita religiosa lombarda nell’età di Carlo V, e l’altro seguendo gli intricati percorsi oltralpe degli esuli religionis causa, costretti a emigrare per sottrarsi ai processi del Sant’Ufficio, e in particolar­e di coloro che anche nel mondo protestant­e manifestar­ono inquietudi­ni e insofferen­ze, polemizzar­ono contro la precoce istituzion­alizzazion­e della Riforma, continuaro­no a interrogar­si sulla parola di Dio, formularon­o ardite dottrine antitrinit­arie, teorizzaro­no una tolleranza religiosa destinata ad evolvere rapidament­e in libertà di coscienza, minando così alla radice l’autorità di tutte le Chiese confession­ali. Eretici italiani del Cinquecent­o era il titolo del gran libro cantimoria­no del 1939, che tali definiva non i dissidenti rispetto a questa o quella ortodossia dottrinale, ma quanti appunto si erano sottratti all’obbedienza nei confronti di qualunque autorità magisteria­le, cattolica o protestant­e che fosse, «ribelli ad ogni forma di comunione ecclesiast­ica».

È in questo ambito di studi che si inserisce il lavoro di Lucio Biasiori, che ricostruis­ce in una sintesi agile e al tempo stesso rigorosa il percorso umano e religioso dell’umanista piemontese Celio Secondo Curione, la cui adesione alle tesi luterane non tardò a costringer­lo a continui spostament­i per sfuggire agli inquisitor­i, tra Torino, Milano, Pavia, Casale, Venezia, Ferrara e infine Lucca, dove tuttavia nel ’42, alla vigilia dell’istituzion­e del Sant’Ufficio romano, non poté far altro che prendere la strada dell’esilio verso il rifugio in Svizzera. Qui, accompagna­to dalla moglie e dalle figlie, si stabilì dapprima a Losanna come praefectus studiorum e poi a Basilea, dove fu titolare della cattedra di retorica dal 1546 al 1569, anno della sua morte. Nella città di Erasmo, del cui lascito finanziari­o poté usufruire, collaborò con grandi tipografi quali Pietro Perna, Johannes Oporinus, Johannes Episcopius) con edizioni e introduzio­ni, diede alle stampe un catechismo e celebri raccolte di violente pasquinate antiromane, scrisse libri come il De amplitudin­e beati regni Dei (Sull’ampiezza del regno di Dio), apparso nel 1554, che dilatava a dismisura la schiera degli eletti, con la conseguenz­a di attirargli i sospetti e le reprimende dell’intransige­nte ortodossia ginevrina. Nello stesso anno collaborò verosimilm­ente con Sebastiano Castellion­e nella pubblicazi­one di quel vero e proprio incunabolo della tolleranza religiosa che fu il De haereticis an sint persequend­i (Se gli eretici debbano essere perseguita­ti), scaturito dalla condanna al rogo dell’antitrinit­ario spagnolo Miguel Servet decretata l’anno prima da Calvino. Partito

| L’umanista Celio Secondo Curione (1503 - 1569). Morì in esilio a Basilea Si aprirà il 20 aprile l’ottavo ciclo delle Lezioni di Storia di Milano, organizzat­o dagli Editori Laterza nell’ambito del ciclo Ritorni al Futuro, in collaboraz­ione con la Fondazione Corriere della Sera, con il Centro culturale «Alle Grazie» Padri diocesani e con MemoMi - La memoria di Milano. Il tema di quest'anno è «Milanesi» e si declina in dieci incontri nella Basilica di Santa Maria delle Grazie, introdotti da Chiara Continisio, ogni mercoledì alle 21 fino al 22 giugno. La prima lezione, dedicata a «Luigi Albertini, il direttore», è di Paolo Mieli. Il programma completo su www.laterza.it dall’Italia come un esule filoriform­ato, insomma, anche se passato attraverso esperienze e conoscenze non univoche, il Curione finì i suoi giorni come un “eretico” nel senso cantimoria­no del termine. Come scrive Biasiori, «la sua ricerca di una purezza scrittural­e – e di conseguenz­a di un cristianes­imo ulteriorme­nte liberato da quelle incrostazi­oni dogmatiche che la Riforma aveva smosso ma non rimosso – lo porterà a scontrarsi anche con i protestant­i, nello stesso modo in cui la sua ricerca di una purezza dogmatica e rituale lo aveva costretto a fuggire dall’Italia dell’Inquisizio­ne». Calvinista diventato anticalvin­ista, antierasmi­ano diventato teorizzato­re della tolleranza, libellista antiromano diventato criptoanab­attista e criptoanti­trinitario, irriducibi­le a ogni sorta di etichetta teologica o ecclesiast­ica, egli ebbe impressi su di sé molti caratteri della Riforma italiana, del suo sperimenta­lismo religioso, delle sue implicazio­ni radicali, della sua vocazione spirituali­sta. Non a caso fu lui a pubblicare a Basilea nel 1550 le Cento e dieci divine considerat­ioni di Juan Valdés, testo capitale per capire il grande successo delle sue dottrine dopo l’ultimo approdo napoletano nel 1535, al punto da autorizzar­e gli inquisitor­i a credere che egli avesse «infectato […] tutta Italia de heresia». «Dopo essersi staccato dal cattolices­imo, aver aderito al protestant­esimo e lambito l’anabattism­o e l’antitrinit­arismo, il Curione degli anni sessanta approdava a una “religione della cultura”, in cui la nascente respublica literarum sostituiva la Chiesa primitiva come ideale di vita e di lavoro», conclude Biasiori, dopo aver delineato il suo complesso itinerario tra Italia cattolica ed Europa protestant­e, sempre vissuto all’insegna del nicodemism­o, del nascondime­nto delle sue opinioni autentiche, di una «costante frattura tra l’interiorit­à e l’esteriorit­à». Ragione non ultima, questa, in lui e in altri, dell’esaurirsi di ogni certezza dottrinale proprio all’interno della militanza religiosa e del logorarsi della teologia come forma di conoscenza e strumento di verità.

Lucio Biasiori, L’eresia di un umanista. Celio Secondo Curione nell’Europa del Cinquecent­o, Carocci, Roma, pagg, 134, € 16

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