Sposalizi senza vizi
Un tema affrontato da santi, teologi e mistiche: da Paolo a Tertulliano, da Ildegarde di Bingen a Gertrude di Helfta
«Saggio è considerato colui che alla domanda quando un uomo debba sposarsi rispose: Un uomo giovane non ancora, un uomo maturo assolutamente mai». Questa battuta ironica dei Saggi di Bacone si allinea alla sterminata letteratura sarcastica e persino minatoria elaborata nei secoli attorno a una realtà che rimane pur sempre uno dei nodi germinali del tessuto sociale. Una esperienza umana che il cristianesimo ha sacralizzato introducendo la presenza del Dio amore tanto da vedere nelle nozze non solo uno dei simboli teologici capitali ma anche, nel cattolicesimo e nell’ortodossia, un vero e proprio sacramento, cioè una consacrazione con un suggello efficace divino.
A questo tema è stata, quindi, dedicata un’enorme bibliografia teologica fin dalle origini del cristianesimo: lo stesso san Paolo a più riprese affronta – sia pure non in maniera sistematica ma sporadica – la questione matrimoniale, in particolare nel cap. 5 della Lettera agli Efesini e nel cap. 7 della Prima Lettera ai Corinzi. A quest’ultimo passo rimanda una delle figure più alte della letteratura cristiana del II-III secolo, il cartaginese Tertulliano, un convertito che sfoderò la spada di ghiaccio della sua straordinaria intelligenza per scavare in profondità e per difendere il messaggio cristiano. Un ardore che alla fine lo fece deviare verso le frontiere estreme della stessa fede ecclesiale, facendolo piombare in territori remoti esterni, cioè, fuor di metafora, nel radicalismo di un’eresia di stampo apocalittico, rigorista e integralista, il cosiddetto montanismo, dal nome di un “profeta” della Frigia che si dichiarava incarnazione e portavoce dello Spirito Santo.
Prima di questa deriva, ma già col fremito del difensore severo della morale cristiana, Tertulliano aveva composto un trattato lapidariamente intitolato Ad uxorem, cioè dedicato all’amata moglie, una sorta di testamento spirituale destinato ad essere un ricordo postumo del suo amore, più forte della morte, nei confronti di colei che egli desiderava gli sopravvivesse dopo la sua scomparsa. Abbiamo la possibilità di seguire queste pagine teologico-personali, col testo latino a fronte, attraverso l’edizione curata da Attilio Carpin in una collana intitolata «I talenti» che vede il succedersi di testi patristici meno noti. Basandosi – talora con adattamenti liberi – sul citato testo paolino indirizzato ai Corinti, l’autore sostanzialmente proclama tre tesi riguardanti la realtà matrimoniale.
La prima respinge la possibilità di nuove nozze da parte delle vedove, offrendo una serie di riflessioni teologico-spirituali sul valore spirituale della continenza da vivere in forma di donazione. Naturalmente alla radice di questa concezione c'è un’esaltazione delle nozze viste come un segno umano e religioso centrale nel progetto divino: «Adamo è stato l’unico marito di Eva ed Eva l’unica sua moglie: un'unica moglie, un’unica costola». Consequenziale è la seconda tesi: il ripudio, considerato legittimo in caso di adulterio, non concede però la possibilità di un ulteriore matrimonio. Il divorzio, perciò, non ammette seconde nozze ma solo la continenza, un tema quest’ultimo caro a Tertulliano nello spirito paolino della consacrazione a Dio e al prossimo, oltre che segno escatologico perché, come aveva detto Gesù, nell’eternità «non si prenderà né moglie né marito, ma si sarà come angeli nel cielo» (Matteo 22,30).
Infine, lo scrittore cartaginese sostiene l’illiceità dei matrimoni misti, cioè delle nozze con partner pagani che, invece, la Chiesa ammetteva. Qui si intuiscono i primi sintomi del successivo radicalismo tertullianeo: queste unioni sono ai suoi occhi un pericolo per la fede e conducono a una contaminazione del corpo, sono cioè un rischio religioso e morale. La concezione generale matrimoniale – che l’autore approfondirà in altre due opere dal titolo emblematico, il De exhortatione castitatis e il De monogamia, saggi composti quando Tertulliano veleggiava già nei lidi montanisti, a cui si deve aggiungere un perduto ma altrettanto lampante nel titolo stesso Ad amicum philosophum de angustiis nuptiarum – risulta quindi piuttosto restrittiva. Eppure questo non impedisce un finale appassionato che esalta il fascino dell’amore nuziale forse con l’autoritratto della sua «coppia felice» che «condivide un'unica speranza, un unico desiderio, un unico genere di vita... senza alcuna separazione dello spirito e della carne».
Alla voce maschile di Tertulliano vogliamo accostare uno straordinario coro di voci femminili che svelano in modo ben più positivo e gioioso la loro verginità. Esse, però, adottano il linguaggio amoroso, anche corporeo, trasformandolo secondo i canoni di una grammatica teologica perfetta. Si tratta di 23 scrittrici mistiche europee vissute nei secoli XII-XIII che vengono convocate, in un’antologia, con tutta la loro originalità, la freschezza e la libertà del loro approccio alla trascendenza ma anche alla storia. Tra esse brillano personalità di prima grandezza come la poliedrica Ildegarde di Bingen (1098-1179), teologa, poetessa, scienziata, musicista e pittrice, pur essendo priva di formazione scolastica, dato che l’accademia ufficiale chiudeva alle donne i battenti delle aule. Oppure c’è Hadewijch di Anversa, la cui biografia collocata agli inizi del XIII secolo è evanescente, ma che sa modulare la poesia cortese amorosa sul registro spirituale per celebrare la minne, l’Amore (si ricordino i Minnesänger dei trobadori) totale mistico ove s’intrecciano eros e anima.
Pensiamo ancora a Gertrude di Helfta (1256-1301/2), copista e cantante del coro monastico, che raccorda la sua opera letteraria a un evento preciso: era la sera del 27 gennaio 1281 e nel dormitorio aveva visto davanti a sé un giovane bellissimo le cui mani lasciavano intravedere «gli splendidi gioielli di quelle ferite attraverso le quali sono stati annullati i debiti di tutti». Ma anche figure meno note come “l’usignolo di Dio”, così soprannominata a causa della sua bellissima voce, Matilde di Hackeborn (1241-1299), un’aristocratica autrice di pagine emozionanti ove ancora una volta si smentisce lo stereotipo secondo il quale la mistica è un’esperienza intima fluida e alienante che fa decollare dalla polvere della terra verso le stelle opalescenti del mistero. Confessa infatti Matilde: «Una volta il Signore mi disse: Cercami con i tuoi cinque sensi, come fa un ospite che, aspettando l’arrivo di un amico molto caro, guarda dalle porte e dalle finestre per vedere se l’amico aspettato infine non arrivi». Si è tentati di continuare a lungo descrivendo questa sorta di galleria di ritratti ove, però, le donne scendono dalle icone e si presentano col loro fascino, la loro genialità, l’originalità del loro timbro di voce e del loro sguardo.
Coloro che hanno curato questa antologia – che si annuncia come la prima e che è collegata alla Fondazione Ezio Franceschini voluta da quell’indimenticabile maestro che fu Claudio Leonardi – riescono coi loro apparati storico-critici ed ermeneuticoletterari a condurre il lettore moderno in un orizzonte inatteso, incastonando nel testo le voci delle protagoniste e svelandone tutte le sfumature di verità e di bellezza. Un testo ove il rigore analitico non gela l’ardore di quelle anime che si aprono a un Dio spesso sofferente che cerca riposo, dolcezza e amore nel cuore femminile. Come scrive il prefatore Francesco Santi, «il Dio sofferente e pellegrino, il Dio straniero e sconosciuto, ha bisogno di una compagna e la cerca nella persona del credente».
Tertulliano, Alla sposa, a cura di Attilio Carpin, Edizioni San Clemente – Studio Domenicano, Bologna, pagg. 275, € 28.
Alessandra Bartolomei Romagnoli, Antonella Degl’Innocenti e Francesco Santi (a cura di), Scrittrici mistiche europee. Secoli XII-XIII, vol. I, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, Firenze, pagg. 584, s.i.p.