Secessione di vetri viennesi
Una rassegna sull’Isola di San Giorgio dedicata agli architetti del Modernismo austriaco (Hoffmann, Moser, Olbrich, Loos) che si sono occupati di produzione vetraria
La nascita a Vienna, nel 1897, della Vereinigung bildender Kunstler Österreichs ossia della più comunemente conosciuta Secessione viennese, segna emblematicamente, nel sentire comune, la nascita della modernità, ma essa è anche il punto di arrivo, di coagulo, di una serie di cambiamenti e di nuove sensibilità nate a ridosso degli anni novanta dell’Ottocento aventi come finalità la creazione di un nuovo sistema espressivo e formale delle arti e dell’architettura. L’obiettivo di una reale fusione tra le arti, giustificata dall’elaborazione in area mitteleuropea del concetto di opera d’arte totale (Gesamkunstwerk), si legittimava nel totale rifiuto della cultura eclettico-storicista di matrice romantica e nel rovesciamento di un intero patrimonio formale convalidato dalla tradizione, attraverso una ventata decisa e risolutiva di modi, di temi e di linguaggi, i quali, partendo da un naturalismo interpretato alla luce di un nuovo rigore formale, ben presto sfociarono nella pura astrazione geometrica e nella esplicita bidimensionalità, come dimostrano gli affascinanti esemplari dei vetri secessionisti esposti alle «Stanze del vetro» presso la Fondazione Cini di Venezia in occasione della mostra «I vetri degli architetti. Vienna 1900-1937» a cura di Rainald Franz, curatore delle collezioni di vetri e di ceramiche del MAK di Vienna, uno dei più ricchi e affascinanti musei di arti decorative del mondo.
La spinta verso forme sostanzialmente astratte, rigorosamente geometriche, benché ispirate al mondo naturale, specie vegetale, e ridotte ad espressioni lineari risolte nella loro ritmicità, aveva trovato iniziale sostanza nell’esperienza degli Arts & Crafts e, ancora di più, nella scuola di Glasgow, dove questa nuova tendenza espressiva si articolava in un vero e proprio lessico capace di coniugare tradizioni artigianali e forme moderne: modalità che ebbero ben presto una determinante ricaduta sui laboratori artistici austriaci, i quali, emancipandosi dal repertorio biomorfico tipicamente art nouveau, assunsero la formulazione geometrico-lineare e la struttura architettonica delle forme quale riconoscibile carattere stilistico.
Veicoli fondamentali di diffusione dei nuovi linguaggi furono le esposizioni internazionali e le riviste d’architettura e d’arredo, a partire da «The Studio» (1893), che trovò eco immediata in Germania e in Austria, seguita da «Pan» a Berlino (1895), «Jugend» a Monaco (1896) e «Ver Sacrum» a Vienna (1898), nelle quali le diverse arti si intrecciavano in una visione complessiva della creatività contemporanea, fino a giungere al coinvolgimento diretto dei artisti secessionisti nell’organizzazione e nella gestione di laboratori di arti decorative come le Wiener Werkstätte, la cui straordinaria produzione, pur tra gli alti e bassi del mercato internazionale che le portarono alla definitiva chiusura nel 1932, diventò normativa per il gusto europeo, sostenendo con convinzione l’utopia dell’organica relazione tra le arti e il valore dello “stile moderno” come strumento capace di metamorfizzare la banalità della vita quotidiana.
Agli Arts & Crafts inglesi e alla Scuola di Glasgow fu dedicata l’VIII mostra della Secessione (1900), nella quale vennero contestualmente esposti i vetri disegnati da Hoffmann e prodotti dalla ditta Loetz Witwe, proprio con l’esplicita volontà, da un lato, di porre un freno al dilagare della volgarizzazione commerciale dei repertori dello Jugendstil tedesco che anche a Vienna riscuotevano un grande successo di mercato, dall’altro, di codificare un sistema di progettazione degli interni domestici come arte integrata tra architettura, decoro e funzione in sintonia con i materiali prescelti e realizzata da maestranze artigiane dalle alte competenze professionali. Dunque, i progetti di Joseph Hoffmann davano vita ad un sistema integrato delle arti, depurato dalle valenze spiritualistico/puritane tipicamente angloscozzesi e caratterizzato dalla positiva reciprocità tra eleganza e funzionalità, dall’evidente altissimo standard di comfort adatto ad un’avveduta clientela alto borghese. La fondazione nel 1903 delle Wiener Werkstätte da parte dello stesso Hoffmann e del pittore Koloman Moser (che nel 1908 però le abbandonava), con i finanziamenti del banchiere Fritz Warndörfer, apriva la stagione di un’organica relazione tra progetto, alto artigianato artistico e produzione industriale, come quella della J.&L.Lobmeyr, proseguita con successo anche dopo il primo conflitto mondiale come scrive Rainald Franz: «In contrasto con il sottile vetro mussolina, la Lobmeyr sostenne anche la rinascita della pittura a smalto e nuovi metodi di molatura del vetro, mentre Powolny era riuscito a adattare allo stile contemporaneo i vetri veneziani. Furono rivisitate anche le varie possibilità di lavorazione ad altorilievo e molati bicchieri di cristallo dalle forme irregolari con le pareti spesse. Nel padiglione austriaco dell’Esposizione internazionale di Parigi, progettato da Josef Hoffmann nel 1925, per la prima volta il vetro viennese fu separato da quello degli stati nati dopo erano pochi e affidabili, da Sabatelli di Milano a Ceci e Lodi di Modena.
L’occasione per ripercorrere la loro storia ci è data dalla casa d’aste Pandolfini che il prossimo 21 aprile, alle ore 16, esiterà nella sede fiorentina di Palazzo Ramirez-Montalvo (Borgo degli Albizi 26; www.pandolfini.it) un’importante raccolta di cornici antiche appartenute a Roberto Lodi. Sono circa 200 esemplari dal XV al XIX secolo, messi insieme in oltre cinquant’anni di attività dal noto antiquario modenese.
«Il mio incontro con la cornice antica avvenne per una semplice casualità: era la primavera del 1962 ed ebbi il grande privilegio di conoscere Ardengo Soffici, presentatomi da Mino Maccari, altro grande interprete dell’arte del ’900». Così racconta Lodi, un mercante molto stimato nel mondo del collezionismo della cornice di antiquariato e un vero e proprio punto di riferimento per il comparto. la fine dell’impero austro-ungarico. Fu un trionfo per J.&L. Lobmeyr e per i suoi architetti progettisti». Al successo internazionale contribuirono in quell’occasione, oltre ai progetti di Josef Hoffmann e Michael Powolny, quelli di Wally Wieselthier, Viktor Lurje, Oswald Haerdtk ed Ena Rottenberg, i quali, pur con tecniche sperimentali, dimostravano una sostanziale evoluzione della linea viennese nel gusto déco. Se nel 1931 persino il nemico giurato delle arti decorative, Adolf Loos, si cimenta nell’ideazione di un servizio da tavola in vetro per la Lobmeyr (ancora oggi in produzione), nell’Expo parigino del 1937 l’instancabile Hoffmann presentava l’arredo del boudoir per una diva caratterizzato dal trionfo opulento di vetri e specchi su ogni superficie: vero e proprio canto del cigno dell’arte vetraria viennese poco prima dell’annessione dell’Austria alla Germania nazista.
I vetri degli architetti. Vienna 1900-1937,a cura di Rainald Franz, Venezia, Fondazione Cini dal 18 aprile al 31 luglio.
Dai primi anni 60 a oggi non ha mai smesso di studiare e catalogare gli esemplari che andava acquistando, giungendo a pubblicare ben otto cataloghi specifici, oltre al noto e importante Repertorio della cornice europea uscito nel 2003 con la collaborazione dell’amico e collega Amedeo Montanari.
Ora, non avendo trovato un “testimone” cui passare le consegne, chiuderà l’attività, ma lo farà in grande stile con Pandolfini, con un catalogo di vendita inteso quale strumento di consultazione per storicizzare il frutto di tanti anni. I valori dei lotti in asta sono mediamente compresi tra 4mila e 8mila €; si presentano in un ottimo stato di conservazione e ripercorrono un po’ tutta la storia delle cornici italiane: da quelle del 500 manufatte a Firenze a cassetta, dorata a guazzo e laccata a tempera, alle bolognesi e romane del 600 scolpite in foglie d’acanto.