Maria Antiqua e colorata
Riapre al pubblico la chiesa altomedievale costruita nel Foro e ammantata d’affreschi sopravvissuti alle lotte iconoclaste
Un’autentica meraviglia. Un gioiello medievale nel cuore della Roma antica. Questo è Santa Maria Antiqua, la prima chiesa costruita ex novo nel pagano Foro romano. Stupisce chiunque l’ammiri, coi suoi affreschi splendenti e unici, perché sole testimonianze dei tempi delle lotte iconoclaste costantinopolitane, quando tante immagini andarono distrutte. Storicamente, dunque, la chiesa è un autentico miracolo. E dopo che negli ultimi anni i dipinti hanno goduto di un importante e lungo restauro, il miracolo è ancora più splendente a vedersi, e interessante per chi l’ha studiato. La storica dell’arte bizantina Maria Andaloro e la sua équipe, vi hanno speso una decina d’anni di studi, e ora il frutto del loro lavoro è condensato nei video e nelle installazioni di luce realizzati per la mostra che celebra la riapertura della chiesa al pubblico. Così anche se già di recente diverse persone hanno potuto ammirare la chiesa grazie a visite guidate, mai come ora si riesce a capire l’affannoso sovrapporsi di dipinti per tre secoli, dal VI al IX d.C. Specie nella famosa “parete palinsesto” dove la luce evidenzia uno dopo l’altro i sette strati di dipinti sovrapposti, a partire da una ieratica Madonna in trono tipicamente bizantina, per culminare con un’annunciazione intensamente naturalista e delicatamente raffinata. E poi nelle cappelle, dove il video mapping completa i dipinti e ne spiega per intero le storie, e ricostruisce persino i decori in marmo di quando quei muri erano parte del padiglione d’ingresso del palazzo imperiale.
Perché in origine l’edificio fu costruito dall’imperatore Diocleziano, e l’idea era già di Caligola: dilatare con le murature il colle Palatino nel suo l’angolo nord-occidentale, invadendo col palazzo imperiale parte del Foro. Diocleziano costruì infatti grandi aule di accoglienza, veramente imponenti, e poi una scenografica rampa coperta che saliva fino al colle, con tanto di posti di controllo e di guardia. La rampa è percorribile dal pubblico già dall’ottobre scorso, ma ora che si è aperto il collegamento con la chiesa, meglio
| La chiesa di Santa Maria Antiqua con cicli di dipinti sovrapposti dal VI al IX d.C. si comprende l’imponenza del complesso tutto. E si capisce anche perché nei secoli bui si costruì il primo tempio cristiano proprio lì: perché era di fatto parte del palazzo imperiale, un luogo ancora presidiato e in prossimità del fiume. Aveva poi mura possenti: si pensi che l’abside della chiesa è stata ricavata scavando all’interno degli spessi muri di Diocleziano. Si capisce anche perché tutti i papi vollero lasciarvi un proprio segno, e perché divenne persino cappella palatina al tempo del greco Giovanni VII che, con mossa politicamente audace, nel 705 d.C. trasferì la dimora papale sul colle degli imperatori. Giovanni volle insomma associare la propria immagine al potere temporale di cui il Palatino è simbolo, facendo così un grosso passo in vista della futura costituzione dello Stato della Chiesa.
E proprio per chiarire l’importanza del gesto di questo papa, tra i pochi ma significativi oggetti ora in mostra a Santa Maria Antiqua, capaci di immergere il visitatore nel clima culturale di quei secoli, ci sono i mosaici superstiti dell’oratorio fatto erigere da Giovanni a San Pietro. Ci sono poi i ritratti di regine dei secoli bui, che non si sa bene se erano bizantine o gote perché a quel tempo i due schieramenti si combattevano ma culturalmente si confondevano. C’è un ritratto di Sant’Agata da collezione privata che molto probabilmente fu staccato dalle pareti della chiesa. Infine c’è lei, l’icona della Madonna a cui la chiesa è dedicata, tornata finalmente “a casa” dopo oltre 1200 anni.
Perché nell’anno 847 un violento terremoto sconvolse la città di Roma, e dall’alto del Palatino le strutture “posticce” caddero giù seppellendo la chiesa. Tra le macerie si trovò l’icona della Madonna miracolosamente intatta, e per lei nel Foro si costruì la chiesa di Santa Maria Nova (oggi Santa Francesca Romana). Della chiesa “Antiqua” svanì il ricordo al punto che sopra di lei nel Seicento se ne costruì un’altra, Santa Maria Liberatrice. E molto si è ipotizzato nei secoli sull’ubicazione di quella chiesa “Antiqua”, fino a che nel 1900 l’archeologo Giacomo Boni non decise di seguire l’indizio di un testo e un acquerello settecenteschi: narravano come scavando nel giardino del convento per trovare marmi antichi da riutilizzare (ebbene sì, non si faceva solo nel Medioevo ma anche allora) era emersa una parete con pitture. E c’erano pitture antiche anche nella cripta della chiesa.
Boni non ci pensò due volte e demolì chiesa, convento, tutto. Poi scavò e trovò gli edifici più antichi. Fu un azzardo, certo, e fu premiato. Tuttavia quella era una zona troppo defilata del Foro perché venisse valorizzata. E tutt’intorno egli lasciò tante pietre antiche in mostra in bell’ordine: capitelli, frammenti di colonne e trabeazioni, in una sorta di deposito. Sono i marmi che si vedono anche oggi allontanandosi dalla chiesa, e che vedeva il fotografo Rodolfo Fiorenza nel 2011 quando si recava a fotografare le pitture di Santa Maria Antiqua. Oggi lui non c’è più, ma per lui parlano le foto che fece di quei marmi. Gli ricordavano i giochi d’infanzia tra le pietre antiche, gli risvegliavano una consuetudine bella e forte con l’antico. Per questo ignorava i grandi monumenti e si concentrava sui frammenti. Le sue sono foto violente, in bianco e nero dai contrasti fortissimi. Le pietre paiono ancora più dure, e duro il lavoro di chi le ha plasmate. Entrambi hanno resistito ai secoli. Sono magicamente vitali.
Santa Maria Antiqua tra Roma e Bisanzio, a cura di Maria Andaloro, Giulia Bordi e Giuseppe Morganti, Roma, Foro romano fino all’11 settembre. Catalogo Electa