Durham, suoni e video al MAXXI
contemporaneo. Da cinquant’anni Durham fa della resistenza culturale a ogni forma di semplificazione il centro della propria vita. E ora ha concepito la mostra del MAXXI in sole quattro opere, completamente immateriali: due audio e due video silenziosi.
Sono opere nate in momenti diversi, ma tutte in Italia, paese che Durham frequenta da decenni e in cui risiede per buona parte dell’anno. Ognuna di esse costituisce un affondo rispetto a una ricerca complessiva, nomadica nella forma ma coerente e potente nel significato, portata avanti da anni.
Pur nella reciproca autonomia, oltre a colloquiare con lo spazio per il quale sono state individuate, le quattro installazioni s’intersecano in mille rimandi.
Per prima incontriamo I Rondoni di Porta Capuana: un frammento sonoro di città registrato insieme a Maria Thereza Alves nel 2013 presso l’antica Porta Capuana di Napoli; un riferimento diretto a Napoli, la sua città di adozione. Vi si confondono il canto dei rondoni, piccoli uccelli migratori che sul far della sera si ritrovano sull’arco di marmo, e il brusio delle strade. La città emerge così come luogo di convivenza, e gli uccelli come i nostri indaffarati, seppur inosservati, coinquilini.
Poco più in là è il video Fleur de pas mal: tassello di una riflessione che l’artista compie da metà degli anni Novanta utilizzando delle pietre nei modi più diversi: come materia, come oggetto ritrovato, come elemento cinematografico, come strumento o arnese. Nel video vediamo in slow motion una pietra irrompere nel campo visivo e, al termine di una breve traiettoria aérea, cadere in un secchio pieno di vernice che, fuoriuscendo, si diffonde tutt’intorno e dipinge l’aria di colore, come fosse un’esplosione o lo schiudersi di un fiore: un gesto semplice, un modesto secchio e un oggetto così poco rispettato come una pietra generano così in un’inaspettata epifania.
Una transizione da uno stato all’altro è anche il fulcro dell’altra opera sonora, installata di fronte alla grande vetrata aggettante sulla città. In questo caso a udirsi è il fragore di centinaia di bicchieri che vengono frantumati dall’artista stesso utilizzando una pietra di ossidiana. Ma, dice Durham, che ama i paradossi, «non si può distruggere la materia, si può eliminare la sua funzionalità, la sua forma. [..] quando parlo di frantumazione di bicchieri da vino, non voglio dire che questi vengano distrutti, bensì che si trasformano grazie ad una bella pietra nera». Si tratta, insomma, di mettere in questione la nozione di scultura, di monumentalità, e più in generale di permanenza, slegandola dalle istanze funzionali e dai meccanismi economici a cui normalmente la associamo per rilevare invece un valore ulteriore delle cose; esercizio, questo, che richiede grande chiarezza di idee.