I profughi dimenticati
gotica che inquieta, eccentrico e bizzarro come pochi, aveva il dono di creare sempre un sottile disagio nelle cose della vita e nelle cose dei suoi libri. Lettore onnivoro, erudito e collezionista di stranezze, spettatore seriale di cinema e serie tv, memoria formidabile, autore di nonsense che rivaleggiano con quelli di Lear: un memorabile articolo su queste pagine del suo più profondo conoscitore italiano, Matteo Codignola (e promotore e traduttore, presso Adelphi, delle poche opere disponibili in italiano), ne confermava l’irraggiungibile complessità, a partire, per esempio, da quella bambola nera che torna insistentemente (come altri suoi “personaggi”: strani esseri animali a metà strada tra pinguini, maiali e ippopotami, dame vittoriane, eleganti gentiluomini, bambini vestiti da marinaretto...) nella sua opera.
Steven Heller, che è un benemerito della cultura visiva dei nostri tempi, non fa che aggiungere “mistero” e fascino all’inclassificabile Gorey in questo suo eccellente e indispensabile libro: una revisione delle copertine da lui disegnate (Edward Gorey His Book Cover Art & Design, Pomegranate Press, pagg. 140, $ 40,00). Si tratta di più di cento copertine che il trentenne Gorey, fresco di laurea ad Harvard, inizia a fare per Doubleday, per la sigla Anchor e poi per altri editori. Sono classici (da James a Eliot, da Mauriac a Kafka a Gogol), che, come è proprio dei grandi artisti, prendono loro un che di goreyano. E sono copertine di una bellezza, di una libertà, di una felicità atipiche. Gorey è già lui. Il lettering è sempre eseguito a mano, le campiture sono estese: bellissimi colori pastello che non tramortiscono l’immagine ma nemmeno la esaltano. Un’atmosfera sempre sospesa aleggia in queste copertine: ed è esattamente la prefigurazione di quello che, come autore di libri in proprio (più di cento, molti sotto pseudonimo, anagramma del suo nome), dal 1953, Gorey non farà altro che testimoniare. Ecco: se c’è una cifra nel lavoro di Gorey è proprio questa. I suoi disegni, i libri, le sue filastrocche, i suoi pupazzi, tutto, insomma, in lui, “allude”. A che cosa e con che livello di precisione, beh, sta al lettore scoprirlo. Di volta in volta, a seconda della sua indole, della sua sensibilità. I classici, infatti, fuzionano proprio così: de te fabula narratur!