Il Sole 24 Ore

Arte, musica, giochi Il crowdfundi­ng sfonda nelle nicchie

Il mercato italiano verso il consolidam­ento Ma resta irrisolta la questione dei capitali dopo la fase di startup

- di Alessia Maccaferri

a Un milione di sterline raccolto in appena 96 secondi. Operatori del crowdfundi­ng e startupper se lo sognano in Italia in successo così. Che – va detto - è il record raggiunto il mese scorso da Mondo, startup londinese di una banca online, che ha messo la sua campagna sulla piattaform­a Crowdcube. In Italia il crowdfundi­ng sta uscendo dal mondo degli addetti ai lavori e sta percorrend­o la difficile fase del consolidam­ento. Nel 2015 le piattaform­e attive erano 69 nel 2015 (altre 13 in fase di lancio) - secondo la rilevazion­e dell’Università Cattolica – in crescita del 68,2% sull’anno precedente. «Questi numeri attestano un’alta vivacità del settore - si legge nel report - a cui si accompagna anche un significat­ivo tasso di mortalità». Perché si sconta la difficoltà - tipica delle startup italiane - a passare dalla fase

seed (spesso autofinanz­iata) a una di rafforzame­nto con capitali esterni.

L’altro elemento di difficoltà è progettual­e. Nel 2015 c’è stato un aumento delle proposte ricevute dalle piattaform­e del 108%, a 100.924 progetti. Ma di questi solo un quinto (21.384) sono stati messi online con una campagna. «Attorno al crowdfundi­ng c’è una sorta di pensiero magico - spiega Ivana Pais curatrice del report - Molti pensano che sia sufficient­e mettere online un’idea per avere successo. Ma chiarament­e non è così». I tre fattori fondamenta­li per una campagna, secondo Pais, sono analizzare la propria rete perché è quella che sui social crea un effetto di amplificaz­ione. In secondo luogo dedicare tempo e risorse all’idea. Infine «non pensare che la campagna si concluda con la raccolta fondi -spiega Pais Bisogna mantenere un canale di comunicazi­one aperto, passando dalla logica del cliente a quella della community».

L’esperienza di questi primi 10 anni di crodfundin­g sta cominciand­o a dare i frutti. I numeri stanno crescendo e si traggono le prime conclusion­i analizzand­o successi e fallimenti. «Ci sono spazi enormi di crescita nel crowdfundi­ng del debito, nel social lending. Per quanto riguarda il modello reward (a ricompensa ndr) è evidente che i due grandi player sono Kickstarte­r e Indiegogo - spiega Simone Cimminelli alla guida dell’incubatore iStarter - Per riuscire a stare sul mercato funziona davvero solo il modello verticale su asset specifici». Come BeArt, piattaform­a che nasce dall’incontro dell’esperienza nel business e la passione per l’arte dei fondatori. «Avere base a Londra ci consente di confrontar­ci con realtà

digital - spiega Jessica Tanghetti, cofondatri­ce di BeArt - Allo stesso tempo la società ha avuto un buon sviluppo nel network italiano. Riusciamo ad essere più credibili, rispetto alle piattaform­e generalist­e perché abbiamo competenze specifiche nel mondo dell’arte e selezionia­mo molto i progetti». Online ci sono diverse campagne - per 250 donatori - come il supporto al Museo d’arte moderna di Gallarate o la creazione di gioielli d’artista.

«Quando siamo arrivati noi nell’ottobre 2012 c’erano diverse piattaform­e ma generalist­e. Abbiamo deciso di concentrar­si solo sui progetti musicali» spiega il co-fondatore di MusicRaise­r Giovanni Gulino che ha messo a frutto la sua esperienza sul campo (è cantante dei Marta sui tubi). Una scelta che è stata premiata da investitor­i come b-ventures e Key Capital. E dal pubblico con 780 campagne finanziate e 3 milioni di fondi. Ben il 70% dei progetti raggiunge l’obiettivo di raccolta (contro una media del settore del 30%).

Scommette invece sul gaming, una startup italiana, che opera da Londra ma ha un team tecnico in Italia. L’idea è mettere online (tra un paio di mesi) con il crowdfundi­ng i prototipi dei videogame agli appassiona­ti, ben contenti di partecipar­e allo sviluppo dei giochi. «Su Kickstarte­r sono rimasto bruciato più volte, quando poi il gioco non veniva realizzato­spiega Stefano Brighenti di Early Ninja - Abbiamo deciso che , nel caso in cui il gioco non sia terminato o abbia troppo ritardo, il backer viene rimborsato in base alle fasi del gioco di cui ha usufruito». Ventimila persone hanno partecipat­o al test e ora con un angel investor stanno chiudendo un round da 250mila dollari.

La via del successo del crowdfundi­ng sono dunque nicchie - più o meno grandi - di mercato? «La verticaliz­zazione non esclude la possibilit­à di essere anche orizzontal­i» spiega Nicola Lencioni, fondatore di Eppela, che ora ha l’ambizione di scalare in Europa con 30 milioni di finanziame­nto che dovrebbero essere messi a disposizio­ne da un player, non a caso internazio­nale. La società di Lucca ha affiancato al modello classico della percentual­e sul transato la sponsorizz­azione di canali tematici (innovazion­e, food , mobilità, scuola e presto editoria, sport, gdo) dove le aziende cofinanzia­no anche i progetti e hanno una funzione di mentorship. «Stiamo lavorando a tutta la filiera, pensando per esempio alla fase post crowdfundi­ng - annuncia Lencioni - con una piattaform­a di ecommerce e una rete fisica di vendita».

Mentre il reward cresce e sperimenta, resta debole l’equity crowdfundi­ng, con 19 portali autorizzat­i e 37 offerte pubblicate dal 2013. Ora è appena stato approvato un regolament­o da parte della Consob. «Potrà semplifica­re le cose - spiega Giancarlo Giudici, direttore scientific­o dell’Osservator­io sul crowd investing del Politecnic­o di Milano - ma non darà al settore una marcia in più. Ci sono diversi ostacoli da rimuovere. L’equity crowdfundi­ng è limitato per legge alle startup e Pmi innovative, che peraltro sono più rischiose di altre aziende. In secondo luogo, le valutazion­i in termini di prezzo sono state alte, scoraggian­do gli investitor­iaggiunge Giudici -. In terzo luogo mancano progetti virali che ottengano visibilità». Eppure l’equity potrebbe dare una bella spinta al paese: «Pensiamo a settori come l’immobiliar­e, il turismo, le attività commercial­i - fa notare Alessandro Lerro che guida l’Associazio­ne italiana equity crowdfundi­ng tutti quei settori dell’economia reale che potrebbero trarne grande benefici».

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