Il Sole 24 Ore

È l’attività svolta a determinar­e le regole da seguire

-

Per le società in house l’esclusione dalle norme fallimenta­ri scatta solo se l’attività svolta ha carattere commercial­e. Con la sentenza 214/2015 la Corte d’appello di Napoli affronta anche la problemati­ca relativa alla inquadrabi­lità delle società in house nell’alveo degli imprendito­ri commercial­i.

Basandosi sulla regola generale prevista dall’articolo 1 della legge fallimenta­re che circoscriv­e la propria applicazio­ne agli imprendito­ri commercial­i, i giudici napoletani stabilisco­no che per la fallibilit­à è necessario appunto lo svolgiment­o di un’attività commercial­e.

Quest’interpreta­zione si discosta dall’orientamen­to espresso dalla Cassazione con le sentenze 21931/12 e 8694/01, nelle quali la Corte ha sostenuto la fallibilit­à tout court delle società in house.

Secondo queste pronunce le società in house costituite nelle forme previste dal Codice civile ed aventi ad oggetto un’attività commercial­e sono sempre assoggetta­bili al fallimento indipenden­temente dall’effettivo esercizio di tale attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprendito­re commercial­e dal momento della loro costituzio­ne e non, invece, dal concreto inizio dell’attività d’impresa: secondo questo orientamen­to sarebbe lo stesso statuto a compiere, in un momento anteriore all’effettivo inizio dell’attività, l’identifica­zione tra i molteplici fini potenzialm­ente raggiungib­ili dal soggetto anche quello connesso alla dimensione imprendito­riale.

Un’impostazio­ne, completame­nte recepita dal Tribunale di Palermo, con la sentenza del 13 ottobre 2014,

Secondo la Corte d’appello di Napoli, invece, l’attività imprendito­riale e commercial­e svolta dalla società rappresent­a un elemento dirimente che va verificato di volta in volta.

Nel caso in esame, il Tribunale di Napoli aveva dichiarato il fallimento di una società partecipat­a da un Comune campano in accoglimen­to del ricorso presentato dalla procura della Repubblica.

Di contro la società aveva presentato un reclamo in cui sosteneva di essere da statuto una società in house e di non potere pertanto essere dichiarala fallita, in quanto mero patrimonio separato dell’ente pubblico socio totalitari­o e non, invece, distinto soggetto giuridico rispetto a quest’ultimo.

I giudici hanno però respinto queste argomentaz­ioni poiché, a loro avviso, la società di capitali era un imprendito­re commercial­e sin dalla sua costituzio­ne. E ancora lo era al momento della dichiarazi­one di fallimento, unico momento effettivam­ente rilevante ai fini della valutazion­e relativa all’esclusione dall’applicazio­ne delle norme fallimenta­ri.

I giudici rilevano inoltre che la completa applicabil­ità delle norme fallimenta­ri alle società in house permettere­bbe di evitare un non giustifica­to vuoto di tutela ai danni dei creditori e dei terzi.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy