Il Sole 24 Ore

Un equilibrio difficile

- Di Dino Pesole

Il Governo – fa sapere il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan – intende attuare una «politica fiscale rigorosa con misure espansive ». In primo pianola sp end in grevi ew,ac canto agli incassi attesi dalla lotta all’ evasione. Con quali margini effettivi di realizzazi­one tenendo contoch el’ intervento sulla flessibili­tà delle pensioni costerebbe trai 5 e i 7 miliardi?

Stando a quel che è emerso dalle riunioni del Fmi e del G20 a Washington dello scorso fine settimana, e dalle audizioni parlamenta­ri sul Def di Banca d’Italia, Ufficio parlamenta­re di Bilancio e Corte dei conti, il rischio di una nuova revisione al ribasso delle stime di crescita è più che concreto. La buona notizia è che nel 2015, dopo tre anni e mezzo di recessione, siamo tornati a crescere, se pur solo dello 0,8 per cento. La cattiva notizia non è tanto che quest’anno potremo attestarci nei dintorni dell’1%, contro l’1,6% stimato lo scorso autunno, quanto nella velocità della ripresa che ha subìto indubbiame­nte una battuta di arresto. Crescita al rallentato­re, come conferma l’Istat che prevede lo 0,3% nel primo trimestre dell’anno con l’aggiunta che nel secondo trimestre non ci si discosterà da tale andamento fiacco. Per centrare l’1,2% a fine anno, è necessaria un’accelerazi­one dell’attività produttiva nel secondo semestre. Il problema è che, complice il deterioram­ento del ciclo internazio­nale, la deflazione in agguato e la scarsa reattività dell’ economia europea agli stimoli della politica monetaria proiettano sull’anno in corso quella che i tecnici dell’Upb definiscon­o «un’elevata dose di incertezza». Da qui l’invito alla cautela. In un contesto di tal fatta, occorre mettere in atto un sapiente mix di politiche orientate al sostegno della domanda interna, e di massima attenzione agli andamenti di finanza pubblica. In questo senso, l’impegno a ridurre dal 2016 il debito in rapporto al Pil dal 132,7 al 132,4% (per il Fmi al contrario il debito aumenterà) non è solo un’indicazion­e programmat­ica. È la precondizi­one fondamenta­le per non alterare la fiducia degli investitor­i, prevenendo in tal modo il rischio che nuove e poco auspicabil­i tempeste finanziari­e facciano lievitare la spesa per interessi, indicata dal Def in riduzione dal 4,2% del 2015 al 3,5% del 2019. Padoan rilancia sulle privatizza­zioni, che dovrebbero garantire risorse per lo 0,5% del Pil. La scommessa si gioca tra i margini di ulteriore flessibili­tà chiesti a Bruxelles per il 2017, che si traducono in un aumento del deficit dall’1,1 all’1,8%, e i risparmi di spesa. Nella premessa che per oltre 15 miliardi si tratta di risorse già destinate a evitare l’aumento dell’Iva e delle accise (le clausole di salvaguard­ia del 2017), lo spazio di «bilancio addizional­e» - di cui parla il Def - per sostenere la crescita dovrà essere ricavato «mediante un ampliament­o del processo di revisione della spesa, ivi incluse le spese fiscali». Evidenteme­nte si dovrà provare a incrementa­re i tagli realizzati nel 2016 (7,2 miliardi). Se si decidesse di intervenir­e sulla flessibili­tà in uscita per le pensioni, il costo (5-7 miliardi) andrebbe anch’esso coperto con tagli alla spesa. Senz’altro da condivider­e è l’impegno a ridurre la pressione fiscale, ma è del tutto evidente che solo un programma dettagliat­o di risparmi struttural­i alla spesa (che con le procedure di bilancio in arrivo dovrebbe entrare a pieno titolo nel processo decisional­e) potrà garantire piena copertura e sostenibil­ità al taglio delle tasse. Un’opzione percorribi­le nell’anno che (a meno di possibili anticipi) precederà le elezioni?

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