Il Sole 24 Ore

Il fondo Atlante e il segreto del giusto prezzo delle sofferenze

- Fabio Pavesi

C’è un paradosso tutto italiano o meglio un nodo gordiano, che ha gravato sulle banche per anni, e che ora Atlante è chiamato a sciogliere. Il paradosso è che in Europa l’unico mercato, quello delle sofferenze, che non è mai decollato è stato quello italiano, cioè il Paese che più di ogni altro in Europa avrebbe avuto bisogno di un mercato di compravend­ita dei crediti malati per alleggerir­ne il peso nei bilanci. È l’Italia (insieme alla Grecia) il Paese in cui il tasso di crescita delle sofferenze è stato esplosivo e senza soluzioni di continuità fin dal 2010. Un paradosso: laddove ce n’era più bisogno domanda e offerta non si sono mai incontrate. Il motivo se volete è banale. Le banche italiane hanno tutt’oggi in pancia 83 miliardi di sole sofferenze nette. Hanno dal 2010 in poi svalutato fortemente dato che le sofferenze lorde sono a quota 200 miliardi. Le rettifiche di valore sono costate alle banche buona parte di quei 50 miliardi di perdite nette cumulate dal 2011 al 2014. Di più era difficile fare, dato che il sistema si è ricapitali­zzato per circa 40 miliardi. Quel prezzo pagato finora è in quel valore del 45% medio cui vengono valutate oggi le sofferenze nette. Già. Ma chi le poteva comprare e soprattutt­o a che prezzo? Il mercato è stato dominato sul lato della domanda da operatori specializz­ati che prometteva­no ai loro investitor­i ritorni annui del 15%. Fondi avvoltoi? Forse. Però fanno il loro mestiere: più è basso il prezzo di acquisto, più posso conseguire quel ritorno stellare per i miei investitor­i. Del resto prezzo e rendimento sono legati in modo inversamen­te proporzion­ale. Ma le banche non potevano certo permetters­i di vendere a 10, massimo 20 (il prezzo offerto) quegli 83 miliardi di sofferenze in carico a 45. Certo ti liberi per sempre del fardello ma a costo di replicare le perdite del 20112014. Improponib­ile. E così che si è prodotta la paralisi di un mercato mai nato. Ora Atlante proprio per sua natura (sono le stesse banche che insieme diventano soggetto e oggetto del mercato) può bypassare il braccio di ferro tra fondi avvoltoi e istituti di credito: il segreto è proprio nei tassi di rendimento promessi. Si passa da quel 15% di ritorno dei fondi a un 5-6%, il target promesso da Atlante ai suoi sottoscrit­tori. Un circolo chiuso in cui stabilire un rendimento più congruo con il contesto, ha (o meglio dovrebbe avere) l’effetto di un re-pricing del valore delle sofferenze. Un passo avanti, l’unico davvero concreto, che può far a questo punto incontrare da domani domanda e offerta attorno a un prezzo di equilibrio che accontenti tutti. Da 20 a 45 a prezzo pieno? Difficile che si possa arrivare a tanto. In fondo il divario è ampio e anche se tieni i rendimenti a tassi fisiologic­i non si recupera l’intero gap. Ma riportare a 30-35 i prezzi è già molto. È questo il vero atout del Fondo, più che la riforma fallimenta­re. Riportare tempi di pignoramen­to e recupero a livelli europei è l’altro fattore di re-pricing. Ma questo sì è solo scritto sulla carta. L’altro, quello di aver mitigato i ritorni del compratore, è già lì. Pronto all’uso.

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