Attacco talebano, strage a Kabul
Kamikaze e sparatoria vicino al compound della sicurezza: almeno 30 morti
Messo in ombra dalla guerra civile in Siria e dalla preoccupante crisi in Libia, il tormentato Afghanistan sta vivendo una stagione particolarmente difficile e violenta. L’ultimo attentato kamikaze, il più grave da diversi mesi, si è verificato ieri nel centro di Kabul. A conferma di come la capitale, e non solo le regioni rurali, sia ancora esposta agli attacchi dei talebani.
Il bilancio, ancora provvisorio, è grave: 30 i morti, la maggior parte civili, e 300 i feriti, tra cui diversi in gravi condizioni. Secondo la prime ricostruzioni della polizia, un kamikaze alla guida di un camion bomba si è fatto esplodere in mattinata nel quartiere di Pul-e-Mahmud, un’area ad alta densità urbana dove si trovano case, moschee e scuole a ridosso del grande compound dell’intelligence e della sicurezza nazionale dove si trova anche il ministero della Difesa . Un’area strategica, considerata un obiettivo prioritario dai talebani, che hanno rivendicato l’attentato. Tra le vittime ci sarebbero anche alcuni soldati.
Seguendo un copione collaudato, il primo kamikaze ha aperto la strada al commando. Subito dopo, infatti, altri due attentatori hanno aperto il fuoco contro le forze di sicurezza per poi essere colpiti a morte. Poche ore dopo l’annuncio della fine dell’attacco, i media hanno riportato un’altra esplosione avvertita a Kabul, che non avrebbe però fatto vittime.
L’attacco è avvenuto a poche centinaia di metri dal palazzo presidenziale, dove vive e lavora il presidente Ashraf Ghani, l’uomo su cui la Comunità internazionale puntava per risollevare l’Afghanistan e indirizzarlo, dopo quasi 30 anni di guerra, verso una fase di stabilizzazione. Eletto nel 2014, Ghani fatica tuttavia a raccogliere consensi in molte regioni del Paese. Il ritiro del contingente militare internazionale, completato alla fine del 2014, ha poi reso più vulnerabili le forze di sicurezza afghane, impegnate ora in prima linea nella guerra contro i talebani ma ancora poco addestrate e non ancora all’altezza per assestare un duro colpo agli insorti, particolarmente attivi da due anni nelle regioni nordorientali, un tempo le più stabili.
L’attentato di ieri arriva infatti una settimana dopo l’annuncio da parte dei talebani dell’offensiva di primavera, battezzata “Operazione Omari”, il cui obiettivo è portare avanti attacchi su grande scala contro le forze di sicurezza afghane e quelle straniere. Sul territorio sono rimasti circa 13mila militari della Nato, di cui 9mila americani e circa 750 italiani, con il compito di completare l’addestramento dell’esercito afghano.
Proprio a Kabul, poche ore dopo l’attentato, è atterrato il ministro italiano degli Esteri, Paolo Gentiloni per incontrare il presidente Ghani. «In Afghanistan c’é un’offensiva terroristica da circa una settimana, ma l’attacco di oggi è gravissimo anche perché colpisce le forze di sicurezza afghane», ha dichiarato Gentiloni dopo aver incontrato il presidente afghano. «Ho sentito una grande determinazione nella lotta al terrorismo da parte del presidente Ghani, noi continueremo a collaborare ma il protagonismo in questa battaglia è delle forze di sicurezza afghane», ha sottolineato il ministro italiano che, sul futuro della missione internazionale in Afghanistan, ha voluto precisare: «Verrà deciso nei prossimi mesi, in accordo tra i partner, ma deve essere chiaro che le caratteristiche della nostra presenza sono completamente cambiate da 2-3 anni a questa parte», vale a dire assistenza e training alle forze militari locali .
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, almeno 600 civili sono stati uccisi, e 1.343 feriti nei primi tre mesi dell’anno. Un numero di vittime particolarmente alto rispetto all’anno scorso, che non prelude a nulla di buono.
IL SOSTEGNO ITALIANO Il ministro degli Esteri parla di «grande determinazione nella lotta al terrorismo del presidente Ghani». E assicura «Continueremo a collaborare»