Produzione bloccata, Cig per i 330 addetti al centro oli di Viggiano
Sospesi i contratti con i fornitori L’Eni avvierà subito un piano di riallocazione
L’inchiesta sul petrolio in Basilicata manda in cassa integrazione 330 dipendenti del Centro oli Eni di Viggiano, spento e sotto sequestro dal 31 marzo, e mette a rischio le aziende fornitrici del polo petrolifero, alle quali sono stati sospesi i contratti.
«Ci sono 400 persone da domani in cassa integrazione», ha anticipato ieri pomeriggio il presidente del Consiglio Matteo Renzi durante un dibattito al Senato.
Ciò accade perché la Procura di Potenza ha ritenuto che le acque minerarie estratte dai giacimenti insieme con il petrolio sono un rifiuto pericoloso, e quindi il loro smaltimento a parere dei magistrati è illecito. E perché i fumi prodotti dagli impianti parrebbero pericolosi. L’Eni ha portato al Tribunale di riesame studi e ricerche scientifiche di parere contrario, le acque riniettate nel giacimento in cui hanno dormito per milioni d’anni non sono rifiuti, i rifiuti portati agli impianti di smaltimento non sono per nulla pericolosi, le emissioni in aria sono in regola. Ma venerdì scorso il Riesame aveva confermato il sequestro e l’Eni aveva avviato la procedura di fermata degli impianti.
Il Centro oli raccoglie il greggio estratto dal sottosuolo della Val d’Agri, ne toglie l’acqua e lo zolfo, poi via oleodotto manda il greggio a diventare benzina e gasolio nella raffineria di Taranto.
A impianti fermi, è smessa dai giacimenti l’estrazione di 80mila-100mila barili quotidiani di petrolio made in Italy. Ieri le lettere di sospensione contrattuale e degli ordini di lavoro coni fornitori. Per circa 330 dei 354 dipendenti la compagnia ha avviato le procedure di “riallocazione”. La richiesta della cassa integrazione per un periodo che dovrebbe essere compreso fra i4ei6 mesi. Rimarrebbero nel polo industriale solamente gli addetti alla sicurezza,
«L’azienda ha informato le organizzazioni sindacali — avverte l’Eni — che avvierà nell’immediato un piano di riallocazione delle risorse nell’ambito delle proprie attività».
La compagnia di San Donato Milanese ha confermato che chiederà un “incidente probatorio” e che ricorrerà contro il sequestro alla Corte di cassazione.
I tempi per la decisione dei magistrati si annunciano così lunghi da creare conseguenze di rilievo sulla produzione italiana di Agri rappresenta circa i tre quarti del petrolio nazionale.
La raffineria di Taranto pare esclusa, per ora, dalla fermata degli impianti. Sequestrato il Centro oli, per tre settimane ha raffinato il greggio lucano che era stoccato nei colossali serbatoio a cilindro, poi continuerà a lavorare il petrolio che arriverà dall’estero facendo approdare ogni settimana un paio di maxipetroliere di taglia Suezmax o Aframax. L’import però aumenta i costi di 4-5 dollari al barile.