Il Sole 24 Ore

Gli effetti indesidera­ti di (troppo) reverse charge

- fiscalview@ilsole24or­e.com Benedetto Santacroce

IL PUNTO L’utilizzo generalizz­ato, e non mirato, dello strumento potrebbe causare effetti distorti

L’applicazio­ne del reverse charge per combattere le frodi Iva non è la “soluzione” e anzi, se applicata in modo generalizz­ato, potrebbe addirittur­a creare le condizioni per un allargamen­to del fenomeno. In questo contesto, la richiesta fatta alla Ue da alcuni Stati membri di essere autorizzat­i ad applicare temporanea­mente un meccanismo “generalizz­ato” di reverse charge su tutte le transazion­i interne, oltre a derogare ai principi generali della direttiva Iva (2006/112/Ce), è rischiosa per il corretto funzioname­nto del mercato unionale e può determinar­e uno spostament­o della frode verso altri Stati membri e verso le vendite al dettaglio.

Questi effetti indiretti della autorizzaz­ione di deroga, non sono solo una preoccupaz­ione manifestat­a, in modo implicito, nel piano di azione Iva recentemen­te presentato dalla Commission­e europea (comunicazi­one Com (2016) 148 finale del 7 aprile 2016), ma sono la diretta conseguenz­a di un meccanismo che si basa sullo spostament­o sul cessionari­o/committent­e del debito d’imposta.

In effetti, se si consentiss­e a uno Stato membro di utilizzare il reverse charge (o inversione contabile) in tutte le operazioni interne i beni e i servizi arriverebb­ero fino all’ultimo passaggio verso il consumator­e finale senza il versamento di alcuna imposta, ma solo con la sua liquidazio­ne virtuale. Inoltre, limitando l’esempio ai beni è chiaro che lo spostament­o del debito d’imposta sul cessionari­o provochere­bbe due effetti distorti in relazione alle operazioni interne o transfront­aliere. Per le prime provochere­bbe lo slittament­o del fenomeno di frode nella cessione al dettaglio, cessione nella quale la parcellizz­azione delle operazioni e le modalità di realizzazi­one determiner­ebbero un’oggettiva difficoltà di controllo. Al contrario, nelle operazioni transfront­aliere, assommando il reverse charge interno all’inversione contabile nel Paese dell’Unione di destinazio­ne si sposterebb­e con maggiore pericolosi­tà la frode su quest’ultimo Stato che riceverebb­e il bene senza imposta. In questo modo, rientrando nell’attuale quadro di riferiment­o, la situazione a monte non farebbe altro che alimentare (attraverso la creazione di cartiere) le frodi carosello. Si sottolinea che il fenomeno, come chiarisce la Commission­e europea nel citato documento, è, allo stato attuale, stimato nella misura di 50 miliardi di euro (con un differenzi­ale tra il gettito atteso e quello effettivo di ben 170 miliardi di euro).

L’esemplific­azione fatta dimostra in modo palmare (anche se semplicist­ico, considerat­o lo spazio a disposizio­ne) che il reverse charge invece di essere una soluzione al problema, può diventare la fonte di un ulteriore problema.

Chiarament­e questo effetto distorto non si realizza nel caso in cui la regola sia adottata in modo mirato verso concreti e ben individuat­i fenomeni di frode e per un tempo limitato.

In effetti, il principio che a oggi rende ancora premiale l’adozione dell’Iva, quale imposta principe che informa tutti gli ordinament­i della Ue, è costituita dal fatto che la stessa, pur essendo, in linea di massima, neutra per gli operatori commercial­i crea per gli Stati un gettito costante basato sull’applicazio­ne per fasi dell’imposta e, nel frattempo contrappon­e gli interessi del cedente (che deve versare l’imposta) a quelli del cessionari­o (che deve vantare il credito per l’imposta anticipata al cedente).

Sulla base di queste premesse è chiaro che l’autorizzaz­ione richiesta e che la Commission­e vuole valutare in modo serio, non può essere concessa. A questo scopo e questa volta “per fortuna” la decisione dovrà essere presa all’unanimità da tutti gli Stati membri e si auspica che l’Italia, che dalla deroga potrebbe avere solo conseguenz­e negative, possa far sentire la sua voce anche votando contro.

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