Il Sole 24 Ore

Per i private equity esteri incertezze sui disinvesti­menti

La circolare 6/E e il trattament­o delle plusvalenz­e

- Marina Ampolilla Luca Rossi

pOltre al tema degli interessi passivi di cui viene finalmente confermata la deducibili­tà, l’attesa circolare sulle operazioni di leverage buy out (Lbo), la 6/E del 30 marzo, affronta la questione del trattament­o fiscale dei componenti di reddito generati al momento del disinvesti­mento e rappresent­ati dalla plusvalenz­a realizzata dalla società estera che detiene direttamen­te la partecipaz­ione nella target italiana ovvero dai dividendi quando l’exit avvenga a livello di un ulteriore veicolo intermedio italiano. Le affermazio­ni dell’Agenzia rischiano di generare nuove incertezze interpreta­tive, che impattano negativame­nte sull’attrattivi­tà del nostro Paese per gli investitor­i esteri e, in particolar­e, per gli operatori del private equity i quali – per ragioni sia organizzat­ive sia legali – utilizzano generalmen­te strutture intermedie localizzat­e in altri Stati membri dell’Ue.

Le consideraz­ioni svolte dall’agenzia delle Entrate si inseriscon­o nel solco delle misure di contrasto alle pratiche fiscali abusive poste in essere nell’ambito dell’Ue e, più in generale, ai fenomeni di Treaty shopping. In presenza di un veicolo intermedio europeo detenuto da un fondo localizzat­o in un Paese non collaborat­ivo, l’agenzia delle Entrate in estrema sintesi afferma che è possibile disconosce­re tale veicolo (negandogli i benefici previsti da direttive, trattati e norme interne) laddove questo sia privo della «necessaria sostanza economica».

Tale eventualit­à ricorrereb­be quando, alternativ­amente: 1 il veicolo intermedio sia conduit, ossia non abbia una reale consistenz­a fisica ed un radicament­o effettivo nel tessuto economico del Paese di insediamen­to; 1 agisca da mera struttura conduit con riferiment­o alla specifica operazione.

Pur partendo da una premessa condivisib­ile, simili concetti avrebbero meritato di essere declinati con maggiore attenzione in relazione ai casi concreti, onde evitare di ingenerare pericolosi fraintendi­menti.

Senza aver la pretesa di approfondi­re in questa sede la questione, osserviamo come gli indici utilizzati anche dalla Corte di giustizia Ue (sentenza 12 settembre 2006, caso C-196/04 Cadbury Schwepps) per valutare l’artificios­ità dell’insediamen­to ai fini della libertà di stabilimen­to e di circolazio­ne dei capitali devono essere necessaria­mente contempera­ti con la natura tipica di tali holding, che generalmen­te non richiede una struttura organizzat­iva particolar­mente “pesante”.

Inoltre, indipenden­temente dalla “velocità” con cui il flusso in ingresso (dividendi o plusvalenz­a) viene trasferito al fondo, al fine di valutare la genuinità dell’operazione dovrebbero considerar­si tutte le altre moti-vazioni legali e finanziari­e che giustifica­no (o, meglio, richiedono) la costituzio­ne di veicoli intermedi come, ad esempio, la necessità di segregare gli investimen­ti effettuati dal fondo. Evitando che eventuali azioni da parte dei creditori in relazione ad uno specifico investimen­to possano risolversi nell’aggression­e di altri investimen­ti detenuti dal medesimo fondo oppure la volontà di creare forme di subordinaz­ione struttural­e fra diversi finanziato­ri. Lo ha affermato la Presidenza della Commission­e Ue il 24 luglio 2014.

Una simile interpreta­zione non può essere, in ogni caso, estesa ai veicoli posseduti da fondi localizzat­i in paesi collaborat­ivi e che esercitano la loro attività in condizioni equivalent­i a quelle relative ai fondi di investimen­to stabiliti in Italia. Ciò in quanto una siffatta disparità di trattament­o rispetto ai fondi chiusi riservati italiani, i quali non subiscono ritenute sui dividendi e non sono assoggetta­ti a tassazione sulle plusvalenz­e, rappresent­erebbe una restrizion­e alle libertà fondamenta­li sancite dal Trattato (sentenza, Corte ue, 10 aprile 2014, caso C-190/12 Dfa).

In merito all’individuaz­ione dei Paesi collaborat­ivi, sarebbe da tenere in conto un approccio sostanzial­istico (circolare n. 38/E del 23 dicembre 2013) consideran­do tali anche quei Paesi che, pur non essendo elencati nella white list fatta col decreto ministeria­le del 1996, consentono un adeguato scambio di informazio­ni per effetto di convenzion­i, Tax informatio­n exchange agreements (Tiea) o della Convenzion­e multilater­ale sulla mutua assistenza amministra­tiva in materia fiscale del 1988 di Straburgo.

PER L’AGENZIA La società-veicolo detenuta da fondi localizzat­i in Paesi non collaborat­ivi può essere disconosci­uta se priva di sostanza economica

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