Per i private equity esteri incertezze sui disinvestimenti
La circolare 6/E e il trattamento delle plusvalenze
pOltre al tema degli interessi passivi di cui viene finalmente confermata la deducibilità, l’attesa circolare sulle operazioni di leverage buy out (Lbo), la 6/E del 30 marzo, affronta la questione del trattamento fiscale dei componenti di reddito generati al momento del disinvestimento e rappresentati dalla plusvalenza realizzata dalla società estera che detiene direttamente la partecipazione nella target italiana ovvero dai dividendi quando l’exit avvenga a livello di un ulteriore veicolo intermedio italiano. Le affermazioni dell’Agenzia rischiano di generare nuove incertezze interpretative, che impattano negativamente sull’attrattività del nostro Paese per gli investitori esteri e, in particolare, per gli operatori del private equity i quali – per ragioni sia organizzative sia legali – utilizzano generalmente strutture intermedie localizzate in altri Stati membri dell’Ue.
Le considerazioni svolte dall’agenzia delle Entrate si inseriscono nel solco delle misure di contrasto alle pratiche fiscali abusive poste in essere nell’ambito dell’Ue e, più in generale, ai fenomeni di Treaty shopping. In presenza di un veicolo intermedio europeo detenuto da un fondo localizzato in un Paese non collaborativo, l’agenzia delle Entrate in estrema sintesi afferma che è possibile disconoscere tale veicolo (negandogli i benefici previsti da direttive, trattati e norme interne) laddove questo sia privo della «necessaria sostanza economica».
Tale eventualità ricorrerebbe quando, alternativamente: 1 il veicolo intermedio sia conduit, ossia non abbia una reale consistenza fisica ed un radicamento effettivo nel tessuto economico del Paese di insediamento; 1 agisca da mera struttura conduit con riferimento alla specifica operazione.
Pur partendo da una premessa condivisibile, simili concetti avrebbero meritato di essere declinati con maggiore attenzione in relazione ai casi concreti, onde evitare di ingenerare pericolosi fraintendimenti.
Senza aver la pretesa di approfondire in questa sede la questione, osserviamo come gli indici utilizzati anche dalla Corte di giustizia Ue (sentenza 12 settembre 2006, caso C-196/04 Cadbury Schwepps) per valutare l’artificiosità dell’insediamento ai fini della libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali devono essere necessariamente contemperati con la natura tipica di tali holding, che generalmente non richiede una struttura organizzativa particolarmente “pesante”.
Inoltre, indipendentemente dalla “velocità” con cui il flusso in ingresso (dividendi o plusvalenza) viene trasferito al fondo, al fine di valutare la genuinità dell’operazione dovrebbero considerarsi tutte le altre moti-vazioni legali e finanziarie che giustificano (o, meglio, richiedono) la costituzione di veicoli intermedi come, ad esempio, la necessità di segregare gli investimenti effettuati dal fondo. Evitando che eventuali azioni da parte dei creditori in relazione ad uno specifico investimento possano risolversi nell’aggressione di altri investimenti detenuti dal medesimo fondo oppure la volontà di creare forme di subordinazione strutturale fra diversi finanziatori. Lo ha affermato la Presidenza della Commissione Ue il 24 luglio 2014.
Una simile interpretazione non può essere, in ogni caso, estesa ai veicoli posseduti da fondi localizzati in paesi collaborativi e che esercitano la loro attività in condizioni equivalenti a quelle relative ai fondi di investimento stabiliti in Italia. Ciò in quanto una siffatta disparità di trattamento rispetto ai fondi chiusi riservati italiani, i quali non subiscono ritenute sui dividendi e non sono assoggettati a tassazione sulle plusvalenze, rappresenterebbe una restrizione alle libertà fondamentali sancite dal Trattato (sentenza, Corte ue, 10 aprile 2014, caso C-190/12 Dfa).
In merito all’individuazione dei Paesi collaborativi, sarebbe da tenere in conto un approccio sostanzialistico (circolare n. 38/E del 23 dicembre 2013) considerando tali anche quei Paesi che, pur non essendo elencati nella white list fatta col decreto ministeriale del 1996, consentono un adeguato scambio di informazioni per effetto di convenzioni, Tax information exchange agreements (Tiea) o della Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale del 1988 di Straburgo.
PER L’AGENZIA La società-veicolo detenuta da fondi localizzati in Paesi non collaborativi può essere disconosciuta se priva di sostanza economica