Csm, meno discrezionalità per le nomine dei dirigenti
Il Consiglio superiore della magistratura, il più impor- tante presidio operativo che la Costituzione prevede a tutela dell’indipendenza del potere giudiziario, è negli ulti- mi tempi oggetto di critiche se- vere: non solo da parte di chi, tradizionalmente, ritiene la magistratura a rischio di corpo- rativismo, ma ormai anche da parte di chi aveva mantenuto nel passato un atteggiamento più obiettivo. Allarma ancor più che le critiche provengano oggi dagli stessi magistrati i quali con sempre maggior fre- quenza restano sconcertati dalle scelte del Consiglio, so- prattutto in materia di incarichi di direzione degli uffici.
Nell’occhio del ciclone sono, ogni giorno di più, le correnti della magistratura cui appar- tengono i magistrati del Csm: in teoria aree di libera espressione delle diverse tendenze cultura- li, le correnti sono divenute, se- condo l’accusa, cordate di pote- re interne al corpo giudiziario, che determinano le elezioni dei magistrati al Consiglio e poi le stesse decisioni consiliari attra- verso compromessi ed accordi in spregio alle regole. Quanto sono veri questi addebiti?
Va chiarito che è la Costitu- zione a prevedere che il Consiglio sia composto per due terzi da magistrati eletti dagli altri magistrati e per un terzo da tecnici (professori di diritto e avvocati) eletti dal Parlamento: è evidente la natura assembleare dell’organo (le decisioni definitive vengono assunte a maggioranza da 26 persone) e di conse- guenza è evidente che tali mag- gioranze implichino, come in tutte le assemblee, mediazioni e compromessi. La stessa Costi- tuzione, dunque, ha previsto la possibilità di opinioni diver- genti e il confronto tra esse.
Criticare il Consiglio per gli esiti, inevitabilmente contro- versi, di tale confronto appare ingenuo: la possibile alternati- va sarebbe affidare le scelte fi- nali ad un unico soggetto, per esempio il ministro della Giu- stizia (del quale, fino alla Costi- tuzione, il Csm era organo con- sultivo). Anche le correnti, se ci si riflette, derivano dalla natura dell’organo: come si può pensa- re che un corpo elettorale di cir- ca 9mila persone non esprima orientamenti diversi? Sostene- re che le correnti non rispettano le regole che il Consiglio stesso stabilisce è suggestivo (e per certi versi anche vero); va però ricordato che la comparazione tra i candidati spesso è resa dif- ficile dalla uniformità degli elo- gi che essi ricevono nei pareri trasmessi dai loro dirigenti, ol- treché dalla naturale opinabili- tà dei giudizi sul rilievo dei titoli vantati dai candidati stessi. Co- sì, in mancanza di uno strumen- to obbiettivo di valutazione, le logiche di schieramento tendo- no a prevalere.
Certo, da questo punto di vi- sta, non aiuta la piena discrezio- nalità affidata al Consiglio in materia (e riconosciuta anche dalle Sezioni unite della Cassa- zione nella sentenza n. 19787 del 2015); dunque, a correzione, po- trebbe ipotizzarsi un interven- to legislativo sulle regole generali di assegnazione dei magistrati agli uffici direttivi. Oggi i criteri sono stabiliti attraverso le circolari del Consiglio medesimo (fonte normativa secondaria). Esse sono spesso farraginose, lasciano molto spazio all’interpretazione (percepita a volte come arbitrio, con la conseguenza di numerosi ricorsi al giudice amministrativo) e vengono sovente modificate; non garantiscono quindi un grado sufficiente di affidabilità, quando non ingenerano addirittura il sospetto che alcune previsioni siano ad personam, cioè cucite sulle esigenze di un futuro candidato. Una guida legislativa di riferimento, con criteriquadro generali che non possano essere modificati a seconda delle convenienze, aiuterebbe lo stesso Consiglio a raggiungere una maggiore obbiettività.
In secondo luogo, nel conferimento degli uffici direttivi andrebbe parzialmente ripristinato il valore dell’anzianità, sempre accompagnata da una positiva valutazione del merito. È una tesi che di questi tempi può sembrare controcorrente. Tuttavia dobbiamo ricordare che la specificità del sistema giudiziario, e la autonomia dei giudici che ne è caratteristica, comportano l’assoluta preminenza, nel funzionamento dell’ufficio, della stima personale verso il “capo” e della sua autorevolezza guadagnata sul campo. L’esperienza (e l’anzianità) nel servizio è garanzia di rispetto da parte degli altri colleghi ed è anche continuità negli orientamenti giuridici, laddove questa continuità si palesa particolarmente necessaria, come nelle Corti superiori.
È senza dubbio vero che il nostro Paese tende a privilegiare le gerontocrazie ed è quindi auspicabile che lo svecchiamento continui. Va tuttavia usato giudizio: soprattutto nel campo della giurisdizione, bisogna stare molto attenti a non gettare via il bambino con l’acqua sporca.