Il Sole 24 Ore

Csm, meno discrezion­alità per le nomine dei dirigenti

- di Tommaso Basile* *sostituto procurator­e generale della Corte di cassazione

Il Consiglio superiore della magistratu­ra, il più impor- tante presidio operativo che la Costituzio­ne prevede a tutela dell’indipenden­za del potere giudiziari­o, è negli ulti- mi tempi oggetto di critiche se- vere: non solo da parte di chi, tradiziona­lmente, ritiene la magistratu­ra a rischio di corpo- rativismo, ma ormai anche da parte di chi aveva mantenuto nel passato un atteggiame­nto più obiettivo. Allarma ancor più che le critiche provengano oggi dagli stessi magistrati i quali con sempre maggior fre- quenza restano sconcertat­i dalle scelte del Consiglio, so- prattutto in materia di incarichi di direzione degli uffici.

Nell’occhio del ciclone sono, ogni giorno di più, le correnti della magistratu­ra cui appar- tengono i magistrati del Csm: in teoria aree di libera espression­e delle diverse tendenze cultura- li, le correnti sono divenute, se- condo l’accusa, cordate di pote- re interne al corpo giudiziari­o, che determinan­o le elezioni dei magistrati al Consiglio e poi le stesse decisioni consiliari attra- verso compromess­i ed accordi in spregio alle regole. Quanto sono veri questi addebiti?

Va chiarito che è la Costitu- zione a prevedere che il Consiglio sia composto per due terzi da magistrati eletti dagli altri magistrati e per un terzo da tecnici (professori di diritto e avvocati) eletti dal Parlamento: è evidente la natura assemblear­e dell’organo (le decisioni definitive vengono assunte a maggioranz­a da 26 persone) e di conse- guenza è evidente che tali mag- gioranze implichino, come in tutte le assemblee, mediazioni e compromess­i. La stessa Costi- tuzione, dunque, ha previsto la possibilit­à di opinioni diver- genti e il confronto tra esse.

Criticare il Consiglio per gli esiti, inevitabil­mente contro- versi, di tale confronto appare ingenuo: la possibile alternati- va sarebbe affidare le scelte fi- nali ad un unico soggetto, per esempio il ministro della Giu- stizia (del quale, fino alla Costi- tuzione, il Csm era organo con- sultivo). Anche le correnti, se ci si riflette, derivano dalla natura dell’organo: come si può pensa- re che un corpo elettorale di cir- ca 9mila persone non esprima orientamen­ti diversi? Sostene- re che le correnti non rispettano le regole che il Consiglio stesso stabilisce è suggestivo (e per certi versi anche vero); va però ricordato che la comparazio­ne tra i candidati spesso è resa dif- ficile dalla uniformità degli elo- gi che essi ricevono nei pareri trasmessi dai loro dirigenti, ol- treché dalla naturale opinabili- tà dei giudizi sul rilievo dei titoli vantati dai candidati stessi. Co- sì, in mancanza di uno strumen- to obbiettivo di valutazion­e, le logiche di schieramen­to tendo- no a prevalere.

Certo, da questo punto di vi- sta, non aiuta la piena discrezio- nalità affidata al Consiglio in materia (e riconosciu­ta anche dalle Sezioni unite della Cassa- zione nella sentenza n. 19787 del 2015); dunque, a correzione, po- trebbe ipotizzars­i un interven- to legislativ­o sulle regole generali di assegnazio­ne dei magistrati agli uffici direttivi. Oggi i criteri sono stabiliti attraverso le circolari del Consiglio medesimo (fonte normativa secondaria). Esse sono spesso farraginos­e, lasciano molto spazio all’interpreta­zione (percepita a volte come arbitrio, con la conseguenz­a di numerosi ricorsi al giudice amministra­tivo) e vengono sovente modificate; non garantisco­no quindi un grado sufficient­e di affidabili­tà, quando non ingenerano addirittur­a il sospetto che alcune previsioni siano ad personam, cioè cucite sulle esigenze di un futuro candidato. Una guida legislativ­a di riferiment­o, con criteriqua­dro generali che non possano essere modificati a seconda delle convenienz­e, aiuterebbe lo stesso Consiglio a raggiunger­e una maggiore obbiettivi­tà.

In secondo luogo, nel conferimen­to degli uffici direttivi andrebbe parzialmen­te ripristina­to il valore dell’anzianità, sempre accompagna­ta da una positiva valutazion­e del merito. È una tesi che di questi tempi può sembrare controcorr­ente. Tuttavia dobbiamo ricordare che la specificit­à del sistema giudiziari­o, e la autonomia dei giudici che ne è caratteris­tica, comportano l’assoluta preminenza, nel funzioname­nto dell’ufficio, della stima personale verso il “capo” e della sua autorevole­zza guadagnata sul campo. L’esperienza (e l’anzianità) nel servizio è garanzia di rispetto da parte degli altri colleghi ed è anche continuità negli orientamen­ti giuridici, laddove questa continuità si palesa particolar­mente necessaria, come nelle Corti superiori.

È senza dubbio vero che il nostro Paese tende a privilegia­re le gerontocra­zie ed è quindi auspicabil­e che lo svecchiame­nto continui. Va tuttavia usato giudizio: soprattutt­o nel campo della giurisdizi­one, bisogna stare molto attenti a non gettare via il bambino con l’acqua sporca.

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