Il Sole 24 Ore

La decisione europea apre a un’applicazio­ne ampia del principio

Utile un intervento legislativ­o

- Claudio Ceradini Enrico Comparotto

pLaC orte di giustizia europea, con la sentenza sulla causa C 546/14, si pronuncia sull’annosa questione dell’ intangibil­ità del debito Iva in sede di domanda di concordato preventivo. La pronuncia, oltre ad essere diversa dalla giurisprud­enza nazionale prevalente (si veda l’articolo a fianco), rimuovendo un tabù contro cui si sono infrante non poche proposte concordata­rie, solleva problemi applicativ­iche potrebbero preludere a futuri interventi normativi o resipiscen­ze giurisprud­enziali.

Nel provvedime­nto in esame, la Corte ha affermato che non sussistere­bbero incompatib­ilità tra le norme comunitari­e in materia di regolament­azione ed esatta riscossion­e dell’Iva (articoli 250 e 273 della direttiva 2006/112/CE) e una normativa nazionale che accordi all’imprendito­re in stato di insolvenza la possibilit­à di formulare una proposta concordata­ria fondata sul pagamento dei propri debiti mediante la liquidazio­ne del patrimonio, ma con soddisfaci­mento solo parziale dell’Iva.

La Corte rileva come il concordato preventivo di natura liquidator­ia, regolato dagli articoli 160 e seguenti della legge fallimenta­re italiana, sia un istituto idoneo a garantire la più efficace attività di riscossion­e dell’Iva, perché: è soggetto a criteri di applicazio­ne e controllo rigorosi; prevede la messa a disposizio­ne dell’intero patrimonio da parte dell’ imprendito­re insolvente; perla quota di Iva“falcidiata ”, offre allo Stato membro la possibilit­à di esprimere voto contrario alla proposta e, successiva­mente, di opporsi all’omologazio­ne della procedura; presuppone un trattament­o migliore rispetto all’ipotesi fallimenta­re. Viene in buona sostanza escluso che, a certe condizioni, la previsione di un pagamento solo parziale dell’Iva possa configurar­e «una rinuncia generale, indiscrimi­nata e preventiva al diritto di procedere ad accertamen­to e verifica», condotta espressame­nte vietata dalla normativa Ue.

La sentenza finisce quindi per scardinare il consolidat­o orientamen­to della giurisprud­enza (Cassazione, sentenze 22931 e 22932 del 2011 e, più di recente, 7667/12 e 14447/2014), secondo cui il divieto di proporre un pagamento parziale dell’Iva, sancito dall’articolo 182-ter della Legge fallimenta­re, sarebbe applicabil­e anche alle procedure di concordato preventivo che non prevedono la transazion­e fiscale. E non è escluso che la stessa Consulta, se sollecitat­a, possa ritornare con spirito diverso sull’argomento, già affrontato nella sentenza n. 225 del 25 luglio 2014.

Viene poi spontaneo chiedersi

ALTRE CONSEGUENZ­E Anche la Corte costituzio­nale potrebbe essere chiamata a rivedere l’orientamen­to negativo espresso nel 2014

se gli effetti dirompenti della pronuncia europea si limiterann­o al circoscrit­to ambito delle procedure concordata­rie liquidator­ie o saranno destinati a una propagazio­ne che possa abbracciar­e il concordato preventivo con continuità aziendale ex articolo 186-bis della Legge fallimenta­re e, previo intervento legislativ­o, l’accordo di ristruttur­azione con transazion­e fiscale. Se la ricorrenza nel concordato in continuità di tutti i presuppost­i enucleati dalla Corte Ue (avendo presente che la mancata liquidazio­ne del patrimonio deve implicare un trattament­o migliorati­vo dei creditori) sembra non porre ostacoli applicativ­i per tale istituto, appare più difficile estendere gli effetti agli accordi ex articolo 182-bis della Legge fallimenta­re. Non solo per l’esplicito divieto normativo, ma anche perché tale strumento non prevede lo stesso stringente controllo procedural­e.

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