Il Sole 24 Ore

Assistenza e indennità tagliano l’indennizzo

- Patrizia Maciocchi

pL’assicurazi­one può tagliare il risarcimen­to alla vittima dell’incidente stradale che beneficia dell’indennità di accompagna­mento e di una legislazio­ne regionale che assicura l’assistenza domiciliar­e. La Cassazione (sentenza 7774) bacchetta la corte d’Appello per i criteri seguiti nella liquidazio­ne del danno permanente. Tre gli errori commessi.

Il primo sta nell’aver riconosciu­to al danneggiat­o una liquidazio­ne per le spese già sostenute per l’assistenza domiciliar­e, l’acquisto di un’automobile adattata alla sua condizione e l’adegua- mento dell’abitazione, senza il supporto di una documentaz­ione. La Cassazione precisa che non possono essere riconosciu­te al danneggiat­o spese passate se non dimostra, anche attraverso presunzion­i semplici, di averle sostenute. Il secondo passo falso è di avere quantifica­to il danno patrimonia­le futuro, senza detrarre l’indennità di accompagna­mento e ignorando i benefici che la legislazio­ne regionale, nel caso esaminato lombarda, assicura in tema di assistenza domiciliar­e. L’indennità ha, infatti, lo scopo di compensare l’onere di dover retribuire un collaborat­ore per far fronte alle esigenze di vita quotidiana. E dunque elimina in parte il danno risarcibil­e. Lo stesso vale per l’assistenza domiciliar­e prestata dal servizio sanitario. Il sistema dei voucher socio-sanitari, introdotto in Lombardia, non doveva essere ignorato dal giudice.

Per finire, non va bene neppure il calcolo del danno futuro insito nella necessità di sostenere per sempre una spesa periodica. Il calcolo del pregiudizi­o non può essere fatto, come avvenuto, moltiplica­ndo i costi per il numero di anni di vita stimata della vittima. Tre le strade corrette per quantifica­re il pregiudizi­o. La liquidazio­ne può avvenire «in forma di rendita; oppure moltiplica­ndo il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato e quindi abbattendo il risultato in base al coefficien­te di anticipazi­one; od infine attraverso il metodo della capitalizz­azione, consistent­e nel moltiplica­re il danno annuo per un coefficien­te di capitalizz­azione delle rendite vitalizie».

A rinviare la questione alle Sezioni unite è stata ieri la Prima sezione civile con l’ordinanza n. 7958.

Il problema nasce per la versione dell’articolo 183 della Legge fallimenta­re nel testo modificato nel 2007 con il decreto correttivo n. 169. Intervento determinan­te sul punto, perchè la versione precedente ammetteva comunque la ricorribil­ità in Cassazione, mentre adesso non è affermato nulla di esplicito. Sulla materia, tra l’altro, la Corte di cassazione non è mai arrivata ad esprimersi, mentre la dottrina si presenta divisa.

Dovranno essere valutati dalle Sezioni unite, così, elementi cruciali come l’ostacolo della definitivi­tà, visto che la domanda di omologazio­ne respinta i n appello può comunque essere riproposta. Intervenen­do in materia di un piano di ristruttur­azione del debito, presentato per da parte di un consumator­e, la Corte di cassazione ha già negato il ricorso sulla base proprio della non definitivi­tà.

A fare da bussola potrebbe essere quanto previsto per il concordato preventivo, dove un ricorso in Cassazione contro il decreto di omologazio­ne è comunque ammesso entro puntuali limiti cronologic­i.

LA LIQUIDAZIO­NE Può avvenire in forma di rendita o moltiplica­ndo il costo per il numero di anni in cui verrà sopportato o con la capitalizz­azione

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