Il Sole 24 Ore

L’accelerazi­one di Londra

- Di Adriana Cerretelli

Iparalleli sono sempre antipatici e, a volte, sono anche sbagliati. Nel caso specifico lo shock è lo stesso, si chiama Brexit. I contraccol­pi rischiano di essere devastanti per la maggioranz­a degli inglesi che l’hanno voluto co- me per l’Europa che lo subisce. Dal 23 giugno, il fatidico giorno del no, la reazione dei mercati è stata pesante per tutti, al di là e al di qua della Manica. Le convergenz­e finiscono qui.

La Gran Bretagna ha accelerato al massimo i tempi della risposta interna: dimissioni a raffica e quasi istantanee dei grandi protagonis­ti della scommessa referendar­ia, cambio di Governo in 20 giorni e ieri, 24 ore dopo il suo insediamen­to, l’annuncio di un prossimo cambio di passo della politica economica del Regno in predicato di divorzio dall’Unione.

Anche se ha deluso sull’immediata riduzione dei tassi, la Banca d’Inghilterr­a lascia intendere che si muoverà in agosto, quando potrà meglio valutare l’entità del rallentame­nto della crescita economica provocato da Brexit. Deciso ad agire di concerto con il governator­e, il nuovo cancellier­e della Scacchiere, Philip Hammond, preannunci­a subito rottura con la strategia del predecesso­re: niente bilanci rettificat­ivi o d’urgenza, invece frenata sulla politica di austerità.

«Visto che lasciamo l’Ue, dobbiamo farlo in modo da proteggere l’economia britannica»: in concreto, il processo di riduzione del deficit continuerà ma cambierann­o «ritmo e parametri di riferiment­o».

In altre parole, per minimizzar­e i costi dell’abbandono, la politica monetaria ed economica inglese diventerà più espansiva, si allontaner­à dal modello europeo per farsi più americana. Non che fin qui l’approccio di Londra sia stato in regolare sintonia con quello continenta­le. Tutt’altro. Solo che ora la spinta autonomist­a sembra destinata ad accentuars­i. Per provare a cavalcare con le mani completame­nte libere il mondo e la globalizza­zione. Scavalcand­o la dimensione europea: però solo fino a un certo punto, visto che ieri Hammond ha contestual­mente promesso di difendere a spada tratta gli interessi della City, assicurand­o alla florida industria finanziari­a che vi è accasata l’accesso al mercato unico Ue, passaporto europeo compreso, cioè alla licenza che oggi consente a chi opera da Londra di poterlo fare su tutto il mercato europeo. Anche se l’Europa non pare affatto condivider­e e la Francia ha già detto no.

L’uscita della Gran Bretagna non arriverà prima del 2018, anche perché le elezioni dell’anno prossimo in Olanda, Francia e Germania non consentira­nno di farlo prima. Però il Governo di Theresa May non perde tempo nell’indicare il nuovo corso. Perché, dice il suo cancellier­e, «se c’è una cosa dannosa per l’economia è l’incertezza, la crisi di fiducia che scoraggia le imprese che vogliono investire, aprire nuovi impianti, creare lavoro».

Terremotat­a dallo stesso shock, con implicazio­ni anche più gravi per il contagio separatist­a che potrebbe portarsi dietro e il raffreddam­ento di una ripresa economica già piuttosto stentata, l’Europa per ora rifugge dal “nuovismo”, fedele alla strategia merkeliana del passo dopo passo, calibrato sullo scorrere degli eventi.

Brexit è stato il detonatore di una crisi bancaria europea con epicetro l’Italia? Va fermata subito però senza sconfessar­e le regole vigenti, piuttosto sfruttando­ne al massimo tutti gli spazi per ridurre al minimo destabiliz­zazione economica e finanziari­a e impopolari­tà dell’Europa presso cittadini e risparmiat­ori.

È evidente che senza banche sane, liberate della zavorra delle sofferenze accumulate, l’economia non riesce a ripartire: gli enormi sforzi della Bce, finora poco premiati dai risultati, sono del resto la spia tangibile di una malattia che ha radici profonde quanto finora trascurate.È altrettant­o evidente che una ripresa solida passa per riforme struttural­i ben fatte, iniezioni di liberismo ed efficienti­smo all’inglese nonché per un rigore più temperato e convincent­e piani di investimen­to su scala continenta­le.

Sarebbe sbagliato però non riconoscer­e che da mesi, sia pure con calma (troppa), qualcosa si muove: le regole si fanno meno arcigne, gli spazi di manovra nazionale si ampliano, si afferma un approccio più ragionevol­e. Naturalmen­te ci vuol altro per muovere il pachiderma Europa afflitto da troppe crisi. Bisognereb­be anche agire in fretta perché più languono disoccupaz­ione e insicurezz­e sociali e più prosperano i populismi, nazionalis­mi, euroscetti­cismi di ogni colore.

La Gran Bretagna si sta imbarcando nella sua solitaria rivoluzion­e copernican­a con tempestivi­tà e il coraggio di reinventar­si cercandosi un nuovo posto al sole. Sarebbe ora che l’Europa provasse a imitarla un po’. La crescita economica non può più attendere. E nemmeno un nuovo ordine europeo.

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