L’accelerazione di Londra
Iparalleli sono sempre antipatici e, a volte, sono anche sbagliati. Nel caso specifico lo shock è lo stesso, si chiama Brexit. I contraccolpi rischiano di essere devastanti per la maggioranza degli inglesi che l’hanno voluto co- me per l’Europa che lo subisce. Dal 23 giugno, il fatidico giorno del no, la reazione dei mercati è stata pesante per tutti, al di là e al di qua della Manica. Le convergenze finiscono qui.
La Gran Bretagna ha accelerato al massimo i tempi della risposta interna: dimissioni a raffica e quasi istantanee dei grandi protagonisti della scommessa referendaria, cambio di Governo in 20 giorni e ieri, 24 ore dopo il suo insediamento, l’annuncio di un prossimo cambio di passo della politica economica del Regno in predicato di divorzio dall’Unione.
Anche se ha deluso sull’immediata riduzione dei tassi, la Banca d’Inghilterra lascia intendere che si muoverà in agosto, quando potrà meglio valutare l’entità del rallentamento della crescita economica provocato da Brexit. Deciso ad agire di concerto con il governatore, il nuovo cancelliere della Scacchiere, Philip Hammond, preannuncia subito rottura con la strategia del predecessore: niente bilanci rettificativi o d’urgenza, invece frenata sulla politica di austerità.
«Visto che lasciamo l’Ue, dobbiamo farlo in modo da proteggere l’economia britannica»: in concreto, il processo di riduzione del deficit continuerà ma cambieranno «ritmo e parametri di riferimento».
In altre parole, per minimizzare i costi dell’abbandono, la politica monetaria ed economica inglese diventerà più espansiva, si allontanerà dal modello europeo per farsi più americana. Non che fin qui l’approccio di Londra sia stato in regolare sintonia con quello continentale. Tutt’altro. Solo che ora la spinta autonomista sembra destinata ad accentuarsi. Per provare a cavalcare con le mani completamente libere il mondo e la globalizzazione. Scavalcando la dimensione europea: però solo fino a un certo punto, visto che ieri Hammond ha contestualmente promesso di difendere a spada tratta gli interessi della City, assicurando alla florida industria finanziaria che vi è accasata l’accesso al mercato unico Ue, passaporto europeo compreso, cioè alla licenza che oggi consente a chi opera da Londra di poterlo fare su tutto il mercato europeo. Anche se l’Europa non pare affatto condividere e la Francia ha già detto no.
L’uscita della Gran Bretagna non arriverà prima del 2018, anche perché le elezioni dell’anno prossimo in Olanda, Francia e Germania non consentiranno di farlo prima. Però il Governo di Theresa May non perde tempo nell’indicare il nuovo corso. Perché, dice il suo cancelliere, «se c’è una cosa dannosa per l’economia è l’incertezza, la crisi di fiducia che scoraggia le imprese che vogliono investire, aprire nuovi impianti, creare lavoro».
Terremotata dallo stesso shock, con implicazioni anche più gravi per il contagio separatista che potrebbe portarsi dietro e il raffreddamento di una ripresa economica già piuttosto stentata, l’Europa per ora rifugge dal “nuovismo”, fedele alla strategia merkeliana del passo dopo passo, calibrato sullo scorrere degli eventi.
Brexit è stato il detonatore di una crisi bancaria europea con epicetro l’Italia? Va fermata subito però senza sconfessare le regole vigenti, piuttosto sfruttandone al massimo tutti gli spazi per ridurre al minimo destabilizzazione economica e finanziaria e impopolarità dell’Europa presso cittadini e risparmiatori.
È evidente che senza banche sane, liberate della zavorra delle sofferenze accumulate, l’economia non riesce a ripartire: gli enormi sforzi della Bce, finora poco premiati dai risultati, sono del resto la spia tangibile di una malattia che ha radici profonde quanto finora trascurate.È altrettanto evidente che una ripresa solida passa per riforme strutturali ben fatte, iniezioni di liberismo ed efficientismo all’inglese nonché per un rigore più temperato e convincente piani di investimento su scala continentale.
Sarebbe sbagliato però non riconoscere che da mesi, sia pure con calma (troppa), qualcosa si muove: le regole si fanno meno arcigne, gli spazi di manovra nazionale si ampliano, si afferma un approccio più ragionevole. Naturalmente ci vuol altro per muovere il pachiderma Europa afflitto da troppe crisi. Bisognerebbe anche agire in fretta perché più languono disoccupazione e insicurezze sociali e più prosperano i populismi, nazionalismi, euroscetticismi di ogni colore.
La Gran Bretagna si sta imbarcando nella sua solitaria rivoluzione copernicana con tempestività e il coraggio di reinventarsi cercandosi un nuovo posto al sole. Sarebbe ora che l’Europa provasse a imitarla un po’. La crescita economica non può più attendere. E nemmeno un nuovo ordine europeo.