Il Sole 24 Ore

La riforma resta decisiva per favorire la ripresa

- Giorgio Santilli

IL NODO DA SCIOGLIERE Serve flessibili­tà nella fase transitori­a per evitare che vengano compromess­i i progetti in corso

L’edilizia può - e deve - tornare a crescere per garantire sviluppo e modernizza­zione al Paese. Il settore ha bisogno di una profonda trasformaz­ione che in questa fase storica può agganciare nuovi modelli di business, standardiz­zabili con un quadro di regole certe e semplici e con una produzione sempre più orientata - mediante una progressiv­a digitalizz­azione - al controllo di costi e tempi. C’è bisogno di un esercizio di fantasia e di rigore al tempo stesso. Creiamo quattro standard e lavoriamo per trasformar­li in realtà: piccole opere intelligen­ti (progetto, tecnologia, manutenzio­ne) realizzate con regole ultra semplifica­te e controlli puntuali dell’Anac se si esce dal percorso standard; grandi infrastrut­ture davvero utili a creare servizi per i cittadini con una progettazi­one esecutiva di qualità, il Bim e rigore su tempi e costi; un grande programma nazionale di riqualific­azione energetica incentivat­a per edifici della Pa e per i condomini (progetto Delrio); un piano di riqualific­azione urbana “modello Marsiglia” con incentivi fiscali, partecipaz­ioni private e una responsabi­le regia pubblica multilivel­lo centro-periferia.

Su questi obiettivi di trasformaz­ione del Paese c’è una larga convergenz­a e la giornata di ieri lo ha confermato: il tavolo governo-Ance, lanciato dal ministro delle Infrastrut­ture, Graziano Delrio, deve però dare risposte efficaci e organiche subito, in modo da portare questo lavoro in legge di stabilità. Le nostre città più di tutti ne hanno bisogno. Palazzo Chigi e il Mef facciano la loro parte per dare ulteriore slancio allo sforzo fatto sugli investimen­ti pubblici fatto quest’anno (flessibili­tà Ue e superament­o del patto di stabilità) e non ancora tradotto in risultati concreti. Le riforme devono accelerare ed essere completate, altrimenti l’obiettivo di rilancio degli investimen­ti resterà sulla carta.

Resta il nodo del codice degli appalti. È una riforma decisiva, al servizio del cambiament­o, e un baluardo per il recupero di legalità e di produttivi­tà. È il “modello Expo” di crescita, successo e legalità portato a livello nazionale. Pone la sfida del cambiament­o a imprese e pubbliche amministra­zioni e qualunque risposta di retroguard­ia che riproponga ritorni a un passato fallimenta­re è destinata a produrre solo guasti ulteriori. Evocare l’arrocco sul massimo ribasso o eludere la questione nazionale della progettazi­one significa svuotare non solo la riforma ma anche le parole di verità dette per tanti anni su ciò che serve davvero al settore. Ma questa riforma - che sposa un modello di flessibili­tà virtuoso con la soft law affidata all’Anac (proposto da questo giornale quando non ve ne era traccia nel dibattito politico né nel Ddl governativ­o) - ha bisogno di flessibili­tà anche nella fase transitori­a. Una ottima riforma rischia di restare a secco se accompagna­ta da un macroscopi­co errore nel periodo transitori­o, come quello che pure abbiamo denunciato per primi.

Qui il punto non è la battaglia ideologica su chi è più puro o vagheggiar­e moratorie indefinite ma accettare tutti insieme l’idea onesta che una riforma (modificata fino al giorno precedente la pubblicazi­one in Gazzetta) non si impone da un giorno all’altro prima che sia attuata in modo compiuto. Le proteste sono giuste. L’Anac e il suo presidente Raffaele Cantone stanno facendo uno sforzo straordina­rio di celerità, rigore e ascolto del mercato con le linee guida attuative. È il segno più forte del cambio di passo. Richiedera­nno tempo, però, per essere pienamente attuative. In questo tempo - tre mesi o quattro forse - non bisogna bloccare la macchina, bisogna evitare di creare una frattura sterile fra “prima” e “dopo” con stazioni appaltanti e operatori di mercato, consentend­o loro di continuare il lavoro avviato in passato. I progetti già approvati dalle amministra­zioni devono andare avanti, senza paura che questo compromett­a il nuovo. Questo dice una riforma seria che prepari il nuovo. E anche chi evoca la resa di fronte a una tregua breve di buon senso fa un grande sbaglio: non conosce la storia tragica della legge Merloni. Non è la rigidità sul periodo transitori­o a fare di una riforma una buona riforma funzionant­e, ma la certezza degli obiettivi finali e tempi certi, realistici e condivisi per raggiunger­li. E uno degli obiettivi fondamenta­li di questa riforma è che sia davvero riorganizz­ata la pubblica amministra­zione in questo settore. Non bisogna assecondar­e le resistenze in questa partita decisiva, ma non vorremmo neanche subire certe delusioni già viste con certi decreti Madia. Bisogna ridurre drasticame­nte il numero delle stazioni appaltanti, bisogna avviare un fondo di progettazi­one che metta a disposizio­ne delle stazioni appaltanti le risorse per migliorare i progetti (che altrimenti restano al livello definitivo in cui sono e non diventano esecutivi per incanto), bisogna davvero attuare il rating delle stazioni appaltanti e fare selezione, bisogna riscrivere il perimetro delle attività delle Pa, bisogna cambiare pelle all’incentivo del 2%. È lì, dopo questa rivoluzion­e struttural­e, che bisogna misurare il successo della riforma. Serve tenacia, rigore, costanza, volontà politica ferrea. E a quel punto bisogna valutare anche le imprese con quel rating che deve dirci se un’impresa ha rispettato gli impegni contrattua­li che aveva assunto. Se non li ha rispettati, deve uscire dal mercato.

Se tutto questo non avviene, non sarà una polemica di mezza estate fra moratorie e rigidità “no proroghe” a risolvere problemi annosi. Questa riforma implica serietà, verifica costante dei risultati, comprensio­ne dei veri limiti del settore. Se serve una breve tregua su aspetti che non avranno ora una soluzione struttural­e, si faccia. Non si valuti ora la riforma su aspetti marginali. E - valga come post scriptum - facilitiam­o l’attività di chi sta veramente facendo girare questa macchina, l’Anac, dandole risorse adeguate, come ha chiesto ancora una volta ieri il presidente Cantone.

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