La riforma resta decisiva per favorire la ripresa
IL NODO DA SCIOGLIERE Serve flessibilità nella fase transitoria per evitare che vengano compromessi i progetti in corso
L’edilizia può - e deve - tornare a crescere per garantire sviluppo e modernizzazione al Paese. Il settore ha bisogno di una profonda trasformazione che in questa fase storica può agganciare nuovi modelli di business, standardizzabili con un quadro di regole certe e semplici e con una produzione sempre più orientata - mediante una progressiva digitalizzazione - al controllo di costi e tempi. C’è bisogno di un esercizio di fantasia e di rigore al tempo stesso. Creiamo quattro standard e lavoriamo per trasformarli in realtà: piccole opere intelligenti (progetto, tecnologia, manutenzione) realizzate con regole ultra semplificate e controlli puntuali dell’Anac se si esce dal percorso standard; grandi infrastrutture davvero utili a creare servizi per i cittadini con una progettazione esecutiva di qualità, il Bim e rigore su tempi e costi; un grande programma nazionale di riqualificazione energetica incentivata per edifici della Pa e per i condomini (progetto Delrio); un piano di riqualificazione urbana “modello Marsiglia” con incentivi fiscali, partecipazioni private e una responsabile regia pubblica multilivello centro-periferia.
Su questi obiettivi di trasformazione del Paese c’è una larga convergenza e la giornata di ieri lo ha confermato: il tavolo governo-Ance, lanciato dal ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, deve però dare risposte efficaci e organiche subito, in modo da portare questo lavoro in legge di stabilità. Le nostre città più di tutti ne hanno bisogno. Palazzo Chigi e il Mef facciano la loro parte per dare ulteriore slancio allo sforzo fatto sugli investimenti pubblici fatto quest’anno (flessibilità Ue e superamento del patto di stabilità) e non ancora tradotto in risultati concreti. Le riforme devono accelerare ed essere completate, altrimenti l’obiettivo di rilancio degli investimenti resterà sulla carta.
Resta il nodo del codice degli appalti. È una riforma decisiva, al servizio del cambiamento, e un baluardo per il recupero di legalità e di produttività. È il “modello Expo” di crescita, successo e legalità portato a livello nazionale. Pone la sfida del cambiamento a imprese e pubbliche amministrazioni e qualunque risposta di retroguardia che riproponga ritorni a un passato fallimentare è destinata a produrre solo guasti ulteriori. Evocare l’arrocco sul massimo ribasso o eludere la questione nazionale della progettazione significa svuotare non solo la riforma ma anche le parole di verità dette per tanti anni su ciò che serve davvero al settore. Ma questa riforma - che sposa un modello di flessibilità virtuoso con la soft law affidata all’Anac (proposto da questo giornale quando non ve ne era traccia nel dibattito politico né nel Ddl governativo) - ha bisogno di flessibilità anche nella fase transitoria. Una ottima riforma rischia di restare a secco se accompagnata da un macroscopico errore nel periodo transitorio, come quello che pure abbiamo denunciato per primi.
Qui il punto non è la battaglia ideologica su chi è più puro o vagheggiare moratorie indefinite ma accettare tutti insieme l’idea onesta che una riforma (modificata fino al giorno precedente la pubblicazione in Gazzetta) non si impone da un giorno all’altro prima che sia attuata in modo compiuto. Le proteste sono giuste. L’Anac e il suo presidente Raffaele Cantone stanno facendo uno sforzo straordinario di celerità, rigore e ascolto del mercato con le linee guida attuative. È il segno più forte del cambio di passo. Richiederanno tempo, però, per essere pienamente attuative. In questo tempo - tre mesi o quattro forse - non bisogna bloccare la macchina, bisogna evitare di creare una frattura sterile fra “prima” e “dopo” con stazioni appaltanti e operatori di mercato, consentendo loro di continuare il lavoro avviato in passato. I progetti già approvati dalle amministrazioni devono andare avanti, senza paura che questo comprometta il nuovo. Questo dice una riforma seria che prepari il nuovo. E anche chi evoca la resa di fronte a una tregua breve di buon senso fa un grande sbaglio: non conosce la storia tragica della legge Merloni. Non è la rigidità sul periodo transitorio a fare di una riforma una buona riforma funzionante, ma la certezza degli obiettivi finali e tempi certi, realistici e condivisi per raggiungerli. E uno degli obiettivi fondamentali di questa riforma è che sia davvero riorganizzata la pubblica amministrazione in questo settore. Non bisogna assecondare le resistenze in questa partita decisiva, ma non vorremmo neanche subire certe delusioni già viste con certi decreti Madia. Bisogna ridurre drasticamente il numero delle stazioni appaltanti, bisogna avviare un fondo di progettazione che metta a disposizione delle stazioni appaltanti le risorse per migliorare i progetti (che altrimenti restano al livello definitivo in cui sono e non diventano esecutivi per incanto), bisogna davvero attuare il rating delle stazioni appaltanti e fare selezione, bisogna riscrivere il perimetro delle attività delle Pa, bisogna cambiare pelle all’incentivo del 2%. È lì, dopo questa rivoluzione strutturale, che bisogna misurare il successo della riforma. Serve tenacia, rigore, costanza, volontà politica ferrea. E a quel punto bisogna valutare anche le imprese con quel rating che deve dirci se un’impresa ha rispettato gli impegni contrattuali che aveva assunto. Se non li ha rispettati, deve uscire dal mercato.
Se tutto questo non avviene, non sarà una polemica di mezza estate fra moratorie e rigidità “no proroghe” a risolvere problemi annosi. Questa riforma implica serietà, verifica costante dei risultati, comprensione dei veri limiti del settore. Se serve una breve tregua su aspetti che non avranno ora una soluzione strutturale, si faccia. Non si valuti ora la riforma su aspetti marginali. E - valga come post scriptum - facilitiamo l’attività di chi sta veramente facendo girare questa macchina, l’Anac, dandole risorse adeguate, come ha chiesto ancora una volta ieri il presidente Cantone.