L’Italia ha fatto dei passi avanti, ma resta un innovatore «moderato»
un quadro in chiaroscuro quello tratteggiato ieri dalla Commissione europea che ha pubblicato come ogni anno una analisi approfondita sull’innovazione nell’Unione. L’Italia è ritenuta un Paese che innova solo moderatamente, in ritardo rispetto ai suoi diretti concorrenti. Eppure, la Penisola – come l’Europa nel suo insieme – ha compiuto progressi negli ultimi anni, in un contesto economico difficile, segnato da una lunga recessione.
«I dati rivelano che l’Unione sta recuperando terreno rispetto al Giappone e agli Stati Uniti, che la Svezia è ancora una volta il leader nell’innovazione e che la Lettonia è diventato il Paese dove l’innovazione cresce di più», spiega la Commissione europea. Secondo Elzbieta Bienkowska, commissaria all’Industria, i Ventotto devono semplificare l’imposta sul valore aggiunto, adattare le regole sull’insolvenza, rendere più trasparenti le norme sulla proprietà intellettuale.
Secondo la classifica pubblicata ieri qui a Bruxelles, i 28 Paesi membri dell’Unione sono stati suddivisi in quattro grandi gruppi. Il primo gruppo è quello dei Paesi leader nel campo dell’innovazione: sono la Svezia, la Danimarca, la Finlandia, la Germania e l’Olanda. Tra gli innovatori “forti” vi sono sette Paesi, tra cui la Francia, il Regno Unito e il Belgio. Il gruppo più folto, degli innovatori “moderati”, è quello a cui appartiene l’Italia, in- sieme a molti Paesi dell’Europa dell’Est.
Gli innovatori “modesti” sono invece due: la Romania e la Bulgaria. La situazione italiana non è positiva, tanto più che il Paese, secondo lo studio comunitario, sarebbe meno innovativo di Malta o di Cipro. La stessa Commissione europea, tuttavia, nota che vi sono differenze regionali nei singoli Paesi. Il Piemonte e il Friuli-Venezia Giulia sono regioni che si distinguono dal resto del territorio nazionale. Così come i Paesi Baschi in Spagna o la regione di Bra- tislava in Slovacchia.
Da un punto di vista metodologico, il rapporto preparato dall’esecutivo comunitario si basa su 25 diversi indicatori, divisi in tre grandi gruppi. Il primo gruppo è relativo a tutti i fattori che aiutano l’innovazione: le risorse umane, i centri di ricerca, il sostegno finanziario. Il secondo gruppo riflette parametri quali gli investimenti societari, l’imprenditorialità, il bagaglio intellettuale. Infine, il terzo gruppo di indicatori verifica l’impatto sulla produzione, dati alla mano.
La media europea è situata nel gruppo degli innovatori “forti”, tra la Slovenia e la Francia. Secondo il rapporto pubblicato dall’esecutivo comunitario, la capacità dell’Italia di innovare è aumentata costantemente fino al 2011, è poi scesa nel 2012, ed è tornata a salire nel 2013-2014, prima di scendere nuovamente nel 2015. Tra il 2008 e il 2015, la prestazione italiana nel campo dell’innovazione è salita dal 78% all’83% della media europea.
Nello stesso periodo, il Paese ha visto aumentare la sua capacità di innovare dell’ 1,5% ( rispetto a un incremento medio europeo dello 0,7%). « L’Italia – si legge nella relazione – è sotto alla media europea nella maggior parte dei campi, in particolare per quanto riguarda la finanza e gli investimenti societari». C’è da chiedersi se dietro al ritardo italiano non vi sia anche un Paese che rifugge la concorrenza, preferendo premiare la fedeltà clientelare piuttosto che l’iniziativa originale e coraggiosa.
È interessante notare, infine, che vi sono specializzazioni nazionali nell’innovazione. La Svezia è un Paese leader nella ricerca accademica. La Finlandia si fa notare perché garantisce le migliori condizioni finanziarie. La Germania è di gran lunga il Paese con aziende che più investono nell’innovazione. Il Belgio si distingue per una innata abilità a creare collaborazioni tra il pubblico e il privato. L’Irlanda è il Paese dove le piccole e medie imprese sono le più intraprendenti.
UN QUADRO COMPLESSO All’interno dei diversi Paesi esistono differenze marcate: le regioni italiane al top sono Piemonte e Friuli-Venezia Giulia, in Spagna bene i Paesi Baschi