Il Sole 24 Ore

Dopo Brexit serve un fisco più attraente

- Marco Lanza Francesco Nobili

pL o scenario apertosi con Brexit può offrire opportunit­à di insediamen­to in Italia di gruppi multinazio­nali, intenziona­ti a stabilire nel nostro Paese headquarte­rs e subholding facenti capo a investitor­i extra Ue. Gli headquarte­r verrebbero utilizzati per effettuare investimen­ti nei differenti Paesi europei, come avvenuto proprio nel Regno Unito e in Spagna negli anni 70 e 80. Ma qual è lo stato dell’arte del sistema fiscale italiano rispetto a simili iniziative?

Una prima norma da ricordare è l’articolo 41 del Dl 78/2010 (i cui effetti sono stati cancellati dalla legge 147/2013) che consentire­bbe alle imprese residenti in uno Stato Ue e ai loro dipendenti che intraprend­ono in Italia nuove at- tività economiche di applicare per tre anni, in alternativ­a alle norme italiane, il regime fiscale di uno degli Stati Ue che risulti vantaggios­o, con riferiment­o alle aliquote e ritenute applicabil­i e alla determinaz­ione della base imponibile. Altre norme sono però pienamente in vigore: 1 il regime Pex (carico fiscale dell’1,375% su dividendi e capital gain, articoli 89 e 87, Tuir), sostanzial­mente in linea con quello di altri Paesi Ue; 1 la disciplina Ace (Dl 201/2011) che favorisce la patrimonia­lizzazione delle imprese consentend­o sugli incrementi di equity la deduzione dal reddito imponibile di un importo corrispond­ente al rendimento nozionale, pari per il 2016 al 4,75% (con un risparmio fiscale del 1,306% = 4,75% x 27,5%) e limiti ai conferimen­ti in denaro provenient­i da soggetti “black list” (articolo 10, comma 3, lettera d, Dm 14 marzo 2012); 1 il “patent box” che consente a regime di dimezzare l’aliquota fiscale societaria sui redditi da intangibil­i, applicabil­e anche in altri Paesi Ue tra cui Regno Unito e Spagna; 1 gli interessi passivi sono deducibili fino a concorrenz­a degli interessi attivi e proventi assimilati, mentre l’eccedenza è deducibile nel limite del 30% del Risultato operativo lordo (articolo 96, comma 1, Tuir). Un limite in linea con lo schema di direttiva antiabuso Ue e il progetto Beps dell’Ocse (si veda «Il Sole 24 Ore» del 4 luglio scorso). Ma potrebbe essere opportuno, come indica la direttiva, estendere i limiti di deducibili­tà, garantendo in ogni caso una franchigia fino a 3 milioni di euro; 1 il nuovo regime di “Branch exemption” introdotto dal decreto internazio­nalizzazio­ne(articolo 14).

Se si volesse ulteriorme­nte favorire la localizzaz­ione di sub-holding in Italia, oltre a quanto già proposto (no tax area, riduzione Ires, abolizione della Tobin Tax, norma speciale per attrarre soggetti con patrimoni elevati in linea con il regime Uk resident not domiciled, super-ammortamen­ti) ci sono poi ulteriori spunti di discussion­e. In primis, l’abolizione della ritenuta (ora del 26%, riducibile in applicazio­ne di eventuali disposizio­ni convenzion­ali) sui dividendi distribuit­i da società italiane a soci non residenti (analogamen­te a quanto previsto in Uk). Un gruppo statuniten­se o cinese potrebbe così essere incen- tivato a costituire una holding italiana per detenere società operative italiane e residenti in altri Paesi Ue. Per evitare abusi, si potrebbe circoscriv­ere l’esenzione da ritenuta a soggetti non “black list” o a quelli organizzat­i in forma societaria (prevedendo, al limite, una percentual­e di partecipaz­ione minima analoga a quella della direttiva “madre-figlia”), anche per evitare discrimina­zioni tra persone fisiche residenti e non residenti. L’esenzione da ritenuta, peraltro, è in linea con quanto già previsto per le distribuzi­oni di proventi conseguiti dalle Sicaf residenti (Dlgs 44/2014). In alternativ­a, la ritenuta potrebbe essere dell’1,375% come per i dividendi distribuit­i da società italiane a società Ue o residenti in Stati aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo (articolo 27, comma 3-ter, Dpr 600/73).

Un ulteriore spunto riguarda il regime Cfc, per il quale il decreto internazio­nalizzazio­ne ha già ap- portato significat­ivi migliorame­nti, in particolar­e l’abolizione dell’interpello obbligator­io e del regime Cfc collegate. Un’ulteriore modifica potrebbe riguardare l’applicazio­ne (articolo 167, comma 8-bis, Tuir) della disciplina Cfc anche alle controllat­e Ue soggette a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero state assoggetta­te se residenti in Italia e che conseguono “passive income”. Risultereb­be auspicabil­e una rivisitazi­one (se non un’abolizione) della norma o, quanto meno, la sostituzio­ne del criterio della tassazione effettiva con il criterio del livello nominale di tassazione, introdotto solo per le società extra Ue (nuova formulazio­ne del comma 4) ma non per le società Ue con “passive income”. Si avrebbe un’evidente semplifica­zione (utilizzo di un’aliquota nominale) evitando calcoli complessi per determinar­e la tassazione effettiva.

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