Dopo Brexit serve un fisco più attraente
pL o scenario apertosi con Brexit può offrire opportunità di insediamento in Italia di gruppi multinazionali, intenzionati a stabilire nel nostro Paese headquarters e subholding facenti capo a investitori extra Ue. Gli headquarter verrebbero utilizzati per effettuare investimenti nei differenti Paesi europei, come avvenuto proprio nel Regno Unito e in Spagna negli anni 70 e 80. Ma qual è lo stato dell’arte del sistema fiscale italiano rispetto a simili iniziative?
Una prima norma da ricordare è l’articolo 41 del Dl 78/2010 (i cui effetti sono stati cancellati dalla legge 147/2013) che consentirebbe alle imprese residenti in uno Stato Ue e ai loro dipendenti che intraprendono in Italia nuove at- tività economiche di applicare per tre anni, in alternativa alle norme italiane, il regime fiscale di uno degli Stati Ue che risulti vantaggioso, con riferimento alle aliquote e ritenute applicabili e alla determinazione della base imponibile. Altre norme sono però pienamente in vigore: 1 il regime Pex (carico fiscale dell’1,375% su dividendi e capital gain, articoli 89 e 87, Tuir), sostanzialmente in linea con quello di altri Paesi Ue; 1 la disciplina Ace (Dl 201/2011) che favorisce la patrimonializzazione delle imprese consentendo sugli incrementi di equity la deduzione dal reddito imponibile di un importo corrispondente al rendimento nozionale, pari per il 2016 al 4,75% (con un risparmio fiscale del 1,306% = 4,75% x 27,5%) e limiti ai conferimenti in denaro provenienti da soggetti “black list” (articolo 10, comma 3, lettera d, Dm 14 marzo 2012); 1 il “patent box” che consente a regime di dimezzare l’aliquota fiscale societaria sui redditi da intangibili, applicabile anche in altri Paesi Ue tra cui Regno Unito e Spagna; 1 gli interessi passivi sono deducibili fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati, mentre l’eccedenza è deducibile nel limite del 30% del Risultato operativo lordo (articolo 96, comma 1, Tuir). Un limite in linea con lo schema di direttiva antiabuso Ue e il progetto Beps dell’Ocse (si veda «Il Sole 24 Ore» del 4 luglio scorso). Ma potrebbe essere opportuno, come indica la direttiva, estendere i limiti di deducibilità, garantendo in ogni caso una franchigia fino a 3 milioni di euro; 1 il nuovo regime di “Branch exemption” introdotto dal decreto internazionalizzazione(articolo 14).
Se si volesse ulteriormente favorire la localizzazione di sub-holding in Italia, oltre a quanto già proposto (no tax area, riduzione Ires, abolizione della Tobin Tax, norma speciale per attrarre soggetti con patrimoni elevati in linea con il regime Uk resident not domiciled, super-ammortamenti) ci sono poi ulteriori spunti di discussione. In primis, l’abolizione della ritenuta (ora del 26%, riducibile in applicazione di eventuali disposizioni convenzionali) sui dividendi distribuiti da società italiane a soci non residenti (analogamente a quanto previsto in Uk). Un gruppo statunitense o cinese potrebbe così essere incen- tivato a costituire una holding italiana per detenere società operative italiane e residenti in altri Paesi Ue. Per evitare abusi, si potrebbe circoscrivere l’esenzione da ritenuta a soggetti non “black list” o a quelli organizzati in forma societaria (prevedendo, al limite, una percentuale di partecipazione minima analoga a quella della direttiva “madre-figlia”), anche per evitare discriminazioni tra persone fisiche residenti e non residenti. L’esenzione da ritenuta, peraltro, è in linea con quanto già previsto per le distribuzioni di proventi conseguiti dalle Sicaf residenti (Dlgs 44/2014). In alternativa, la ritenuta potrebbe essere dell’1,375% come per i dividendi distribuiti da società italiane a società Ue o residenti in Stati aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo (articolo 27, comma 3-ter, Dpr 600/73).
Un ulteriore spunto riguarda il regime Cfc, per il quale il decreto internazionalizzazione ha già ap- portato significativi miglioramenti, in particolare l’abolizione dell’interpello obbligatorio e del regime Cfc collegate. Un’ulteriore modifica potrebbe riguardare l’applicazione (articolo 167, comma 8-bis, Tuir) della disciplina Cfc anche alle controllate Ue soggette a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero state assoggettate se residenti in Italia e che conseguono “passive income”. Risulterebbe auspicabile una rivisitazione (se non un’abolizione) della norma o, quanto meno, la sostituzione del criterio della tassazione effettiva con il criterio del livello nominale di tassazione, introdotto solo per le società extra Ue (nuova formulazione del comma 4) ma non per le società Ue con “passive income”. Si avrebbe un’evidente semplificazione (utilizzo di un’aliquota nominale) evitando calcoli complessi per determinare la tassazione effettiva.