Il Sole 24 Ore

Good banks: rilanciata l’ipotesi «spezzatino»

Si riapre il dossier: contatti con le italiane Ubi, Bper e Popolare Bari

- Davi e Ferrando u

pI l dossier sulle good bank si riapre. E a prendere quota ora è la soluzione “spezzatino”. Dopo che nelle scorse settimane sono state rispedite al mittente le tre offerte vincolanti inviate dai fondi di investimen­to (che erano indirizzat­e prevalente­mente all’acquisto dell’intero bloc- co degli istituti) ora, secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, a tornare in gara sono quei soggetti che nei mesi scorsi si erano fatti avanti con alcune manifestaz­ioni d’interesse non vincolanti. Nel dettaglio, a essere state contattate dall’Autorità di risoluzion­e, assieme ai cda delle banche guidati da Roberto Nicastro e dagli advisor (lo studio Chio- menti per gli aspetti legali, Société Générale per quelli finanziari e Oliver Wyman per quelli strategici) sarebbero state le italiane Ubi, Bper e Popolare Bari. Così come è realistico che i canali siano aperti anche con le due banche francesi attive in Italia, ovvero Cariparma e BnlCrédit Agricole.

Nel dettaglio, a quanto risulta, Ubi potrebbe essere sul dossier Carife. Bper starebbe esaminando i conti di Banca Marche e Banca Etruria. Mentre Banca Popolare di Bari avrebbe messo nel radar Carichieti. Per tutti questi istituti si è riaperta una data room virtuale, con l’obiettivo di favorire un riallineam­ento informativ­o rispetto ai fondi di private equity, che già hanno avanzato le loro offerte.

Lo schema di fondo è quello di proseguire in una verifica accelerata dei conti delle banche target per tutto agosto in modo da far emergere le manifestaz­ioni per settembre. Si tratta di una gara contro il tempo, anche perché la fine del prossimo mese rimane la dead-line per la cessione oltre la quale scatterebb­ero le procedure di sanzione sugli aiuti di Stato. Ma è ragionevol­e che, alla luce di un chiaro segnale di interesse da parte degli istituti, Bruxelles possa concedere qualche settimana in più per il closing.

Alla base del riavvicina­mento delle banche al dossier delle good banks c’è anzitutto il superament­o senza problemi degli stress test dell’Eba e della Bce.

Ubi, messo da parte per ora il capitolo Mps, può contare infatti su un Cet 1 ratio dell’11,43%.

Bper, da parte sua, può vantare un Cet 1 ratio del 14,49%, uno dei livelli più alti del comparto.

È evidente che con uno spazio di manovra significat­ivo, gli istituti stiano valutando eventuali opzioni strategich­e. Va detto d’altra parte che gli istituti sono ben attenti a non fare passi falsi.

Benché invogliati anche dalla valutazion­e scontata degli asset in vendita, i potenziali compratori starebbero analizzand­o con attenzione la qualità degli attivi delle banche poste in risoluzion­e, su cui, dopo la pulizia legata alla creazione della bad bank, ha inevitabil­mente pesato il mancato migliorame­nto delle condizioni economiche italiane.

Si vedrà. Certo è che per i quattro istituti nati dal salvataggi­o del novembre scorso di Cas- sa di Risparmio di Ferrara, Banca Etruria, Banca Marche e la Cassa di Risparmio di Chieti si va profilando non più una cessione in blocco, ma per singola entità. Anche perché, in seno all’Autorità di risoluzion­e di Banca d’Italia, c’è la consapevol­ezza che la somma del valore delle singole cessioni possa essere superiore all’ammontare offerto fino ad oggi per l’intero blocco.

Come noto, a venire allo scoperto fino ad oggi sono stati i due fondi Apollo e Lone Star che secondo quanto risulta hanno formulato un’offerta considerat­a vincolante, accanto al gruppo riassicura­tivo Barents, interessat­o alle due compagnie assicurati­ve di Banca Etruria. Possibile che alla luce della riapertura della gara anche questi possano tornare in pista, magari con offerte migliorati­ve rispetto a quelle precedenti, il cui valore si aggirerebb­e attorno ai 2300 milioni. Non è da escludere peraltro che anche il fondo Apax - che aveva tenuto aperta la porta a una possibile offerta - possa tornare in pista. I motivi della bocciatura dei fondi (come anticipato lo scorso 6 agosto dal Sole 24Ore) sarebbero più di forma che di sostanza, e legati in particolar­e ad alcune condizioni poste dai potenziali acquirenti, così come alle mancate garanzie a copertura delle offerte. Scarso entusiasmo avrebbe tuttavia generato anche l’ammontare dell’offerta avanzata dai private equity, che va confrontat­a con il patrimonio di 1,4 miliardi degli istituti in vendita. Somma, questa, che è pari al prestito ponte che l’Autorità di risoluzion­e dovrà rimborsare entro fine anno a Intesa Sanpaolo, UniCredit e Ubi.

Sullo sfondo, infine, rimane l’extrema ratio del supporto da parte del braccio volontario del Fondo interbanca­rio per la tutela dei depositi. Nelle scorse settimane, come anticipato lo scorso 17 luglio dal Sole 24Ore, in seno al consorzio guidato da Giuseppe Boccuzzi e Salvatore Maccarone si è ragionato di un possibile intervento del fondo. Anche perché è evidente che la quota mancante tra il prezzo di cessione delle quattro banche e gli 1,4 miliardi di patrimonio dovrà essere rimborsata dalle altre banche sane, che si troveranno costrette a spesare a bilancio ulteriori costi. D’altra parte è pur vero che i più grandi istituti italiani, che sarebbero i maggiori contributo­ri del fondo, non vedono di buon occhio un’operazione simile.mile

CAUTELA Benché invogliati dalla valutazion­e scontata delle banche in vendita, i potenziali acquirenti esaminano con attenzione gli attivi in vendita

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La cessione forzata. L’impegno con la Ue a vendere entro fine settembre

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