Subprime, stangata Usa su Deutsche B. Borse in caduta, Milano maglia nera
Il dato sui prezzi al consumo supera le aspettative, ma difficilmente indurrà la Federal Reserve a r ialzare i tassi settimana prossima
L’inflazione americana ha accelerato il passo in agosto, facendo registrare un incremento dello 0,2% nei prezzi al consumo che ha superato previsioni ferme alla metà, lo 0,1%. Le modeste pressioni d’insieme sui prezzi, tuttavia, ben difficilmente potranno spingere la Federal Reserve a ripensamenti di politica monetaria nel suo vertice della prossima settimana: la banca centrale dovrebbe infatti lasciare invariati allo 0,25%-0,50% i tassi di interesse davanti a recenti segnali di debolezza arrivati dalla crescita economica.
L’inflazione, oltretutto, è stata concentrata il mese scorso in ben precisi segmenti, non gene- ralizzata: i costi abitativi, in particolare degli affitti, e quelli delle cure mediche e ospedaliere, anzitutto i farmaci. L’assistenza sanitaria ha anzi conosciuto il maggior rincaro mensile, pari all’1%, dal 1984, trainata da medicinali lievitati dell’1,3%.
Wall Street ha ieri evidenziato rinnovata volatilità, con flessioni di mezzo punto percentuale nel pomeriggio, parse però frutto di incertezze sullo stato dell’economia statunitense e globale e sull’efficacia degli stimoli monetari. Risultato, cioè, delle recenti battute d’arresto nei consumi e nella produzione e del loro impatto sugli alti valori azionari più che reazione a timori di imminenti strette da parte del presidente della Banca centrale americana Janet Yellen e dei suoi colleghi del Fomc, che si riuniranno il 20 e 21 settembre.
Il core index dei prezzi, l’indice depurato dalle componenti considerate più volatili, i generi alimentari e l’energia, ha mostrato un aumento dello 0,3% in agosto, a sua volta maggiore dello 0,2% pronosticato. E in dodici mesi è salito del 2,3%, oltre dunque il livello del 2% considerato ideale dalla Fed e che è una delle condizioni per far scattare manovre sul costo denaro. Questa soglia, però, viene stabilita dalla Fed attraverso un diverso indicatore, legato alla spesa per i consumi personali e contenuto nel Pil, che è finora rimasto e probabilmente resterà ancora più basso rispetto al tradizionale Consumer Price Index, perché dà minor peso ai costi sanitari.
Anche nel caso dell’indice co- re del CPI, notano gli analisti di HSBC, un contributo essenziale è comunque giunto dalle componenti abitative e sanitarie, che nel mese scorso sono lievitate del 3,8% (gli affitti, il massimo a parimerito in otto anni) e del 6,3% (i medicinali, il massimo in due anni). I prezzi al consumo su base annuale sono inoltre nel complesso rimasti lontani dal citato target del 2%, pari all’1,1%, seppur in salita rispetto allo 0,8% rilevato a luglio.
I salari reali, al contrario, nonostante l’auspicio della Banca centrale che diventino loro una fonte di salutari aumenti dei prezzi e di sostegno a consumi oggi appannati, sono ancora una volta diminuiti in un sintomo di continuo malessere di ampie fasce della popolazione che si riflette, oltre che nelle preoccupazioni della Fed, nelle incognite dalla campagna presidenziale americana. Stando al Dipartimento del Lavoro, che ha comunicato i nuovi dati, i salari orari medi al netto dell’inflazione sono scesi dello 0,1% nell’ultimo mese e sono aumentati di un modesto 1,3% per l’intero anno. I compensi settimanali, a causa di una flessione delle ore lavorate, sono arretrati più bruscamente in agosto, dello 0,4%, e sono lievitati soltanto dello 0,4% in un anno.
AUMENTO NON OMOGENEO La fiammata non riguarda tutto il paniere, ma soprattutto due settori: i costi abitativi (affitti) e quelli delle cure mediche