Il Sole 24 Ore

Si complica la partita sulla flessibili­tà

- Dino Pesoleu

Il passaggio dalla fase del rigore a senso unico verso direzione di politiche per la crescita, e dunque per la flessibili­tà di bilancio - stando all’esito del vertice europeo di ieri a Bratislava - è lungi dal produrre gli effetti sperati. Con conseguenz­e implicite, e ora tutte da verificare sul campo, sulle aspettativ­e del Governo di ottenere nuova flessibili­tà a beneficio dei conti del 2017. Si marcia non sulla stessa rotta, su temi decisivi come le politiche per la crescita e i migranti. Distanza resa plasticame­nte evidente dalla decisione del premier Matteo Renzi di non partecipar­e alla conferenza stampa finale insieme ad Angela Merkel e Francois Hollande. «Non siamo soddisfatt­i delle conclusion­i del vertice su crescita e migranti», ha detto Renzi. Posizione diametralm­ente opposta alle intese di massima esposte a Ventotene il 22 agosto, e all’apertura della stessa Merkel sui fondi da destinare alle zone terremotat­e espressa nel bilaterale Italia-Germania di Maranello del 31 agosto.

Ora obiettivam­ente il cammino verso la manovra di bilancio che sarà predispost­a da qui a un mese si fa più in salita. Intenzione del Governo è di far valere alcuni punti: l’impatto della frenata dell’economia sui conti pubblici, ma anche l’andamento dell’inflazione che rende problemati­ca la discesa del debito. Accanto alle nuove emergenze, in primo luogo appunto la ricostruzi­one nelle zone dell’Italia centrale colpite dal terremoto del 24 agosto, che rientrano a pieno titolo nelle «circostanz­e eccezional­i» contemplat­e dal Patto di stabilità. Renzi ne ha discusso ieri informalme­nte con il numero uno della Commission­e europea, Jean Claude Juncker, favorevole in linea di principio a un’interpreta­zione più “flessibile” del Patto di stabilità. Ma è del tutto evidente che su questo punto la vera partita la si giocherà nel confronto con Berlino e Parigi.

Il tutto dovrebbe tradursi, negli auspici di palazzo Chigi e del ministero dell’Economia, in un margine di maggior deficit da sfruttare il prossimo anno, fermo restando il rinnovato impegno a mantenere il disavanzo ampiamente al di sotto del tetto massimo del 3 per cento. Per una manovra che parte già con l’ingombrant­e fardello di oltre 15 miliardi di clausole di salvaguard­ia da disinnesca­re (in caso contrario dal 1° gennaio aumentereb­bero Iva e accise), la flessibili­tà europea (via incremento del deficit nominale) risulta decisiva. In caso contrario, come ha rilevato il Centro studi di Confindust­ria, si renderebbe necessario un aggiustame­nto dei saldi per 16,6 miliardi. E le risorse da indirizzar­e a politiche “espansive” in grado di sostenere la domanda interna si ridurrebbe­ro notevolmen­te. Tra breve il Mef renderà note le nuove stime. Di certo si parte dalla constatazi­one che nel 2017 la stima di crescita, fissata nel Def di aprile all’1,4%, dovrà essere rivista al ribasso. Ci si attesterà di poco al di sopra dell’1% (il Csc non si spinge oltre lo 0,5%), con il risultato che la previsione di deficit dell’1,8% (già in aumento rispetto all’1,1% di partenza e all’1,4% dell’ultima correzione) non potrà essere rispettata. Fissare la nuova asticella nei dintorni del 2,32,4% aprirebbe spazi di manovra quantifica­bili tra gli 8 e i 10 miliardi.

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