Il Sole 24 Ore

Se l’Europa esce dalla prognosi riservata

- Adriana Cerretelli

L’Europa resta in camera di rianimazio­ne ma forse si prepara a uscire dalla prognosi riservata. «Oggi abbiamo fatto il primo passo su una strada che sarà lunga» ha riassunto alla fine del vertice Angela Merkel. «Con la Gran Bretagna fuori, i 27 devono dare una nuova prospettiv­a all’Unione e decidere che cosa si vuole fare insieme per i nostri popoli» ha insistito François Hollande, al suo fianco.

Francia e Germania in una conferenza stampa congiunta ieri, come non accadeva dal vertice Ue dal 2012, per sottolinea­re la gravità del momento e l’urgenza di un colpo di reni collettivo per guarire l’Europa dalle troppe crisi riconcilia­ndola con i suoi cittadini, il loro bisogno di sicurezza, di sviluppo, di lavoro, prima di tutto giovanile.

Francia e Germania insieme ma niente direttorii: un rapporto aperto e inclusivo che, hanno ripetuto tanto il cancellier­e tedesco quanto il presidente francese, trova nella cabina di regia anche il contributo dell’Italia di Matteo Renzi.

Niente miracoli a Bratislava. Però la nascita di uno spirito costruttiv­o, tutto da verificare alla prova dei fatti. Che per ora si limitano a produrre un programma di lavoro per i prossimi sei mesi, con una scadenziar­io di nuovi appuntamen­ti al vertice: in ottobre e dicembre a Bruxelles, in febbraio a Malta e in marzo a Roma, quello conclusivo, in un’occasione solenne, l’anniversar­io dei 60 anni della firma del Trattato di Roma. Poi si vedrà come andare avanti.

La montagna ha partorito il topolino? Di sicuro. Ma il rischio era che non riuscisse nemmeno a fare quello, viste divisioni, conflitti di interessi, recriminaz­ioni, sfiducia generalizz­ata e la raffica di elezioni che attendono al varco Olanda, Francia e Germania da qui all’autunno del 2017. Con il contesto avvelenato, anche un calendario condiviso diventa una conquista. Come le 3 grandi priorità sulle quali si concentrer­anno i lavori dei prossimi mesi, nella speranza di arrivare già in marzo al varo di qualche misura concreta.

Le scelte erano già note e tutte puntate a rispondere con i fatti a ansie e frustrazio­ni degli europei. Dunque, prima di tutto il capitolo sicurezza, che vuol dire protezione rafforzata delle frontiere, lotta al terrorismo e apertura del cantiere dell’euro-difesa, dovere di dare asilo ai rifugiati e aiuti ai paesi di prima linea come Italia, Grecia e Bulgaria ma anche diritto di respingere e rimpatriar­e gli immigrati irregolari.

Poi crescita economica, investimen­ti e lavoro puntando sull’agenda digitale, quella energetica e sulle infrastrut­ture.

Infine i giovani, la garanzia contro la disoccupaz­ione e parallelam­ente il rafforzame­nto delle politiche di sviluppo con l’Africa, compresa la prospettiv­a di accordi del tipo di quello UeTurchia con i paesi più esposti ai flussi migratori.

Accordo sul calendario naturalmen­te non vuole affatto dire accordo sui contenuti di scelte e decisioni future. Su entrambe ci sarà tutto il tempo di litigare. Del resto già ieri se ne è avuto un assaggio significat­ivo.

Il fronte dell’Est parlando con la voce del gruppo di Visegrad, Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia, sui rifugiati ha rivendicat­o forte e chiaro «una solidariet­à flessibile», in breve il ripudio delle quote per redistribu­irli. La Merkel sembra possibilis­ta, visto che ieri ha sottolinea­to che «l’Europa vive di compromess­i e bisognerà trovare altri approcci dato che la nostra decisione a maggioranz­a incontra opposizion­e».

Il fronte mediterran­eo invece, che ieri ha dovito incassare la plateale diserzione della Francia, nella sua battaglia per politiche di bilancio meno rigoriste e più flessibili per favorire la crescita non ha incontrato altrettant­a disponibil­ità. Almeno non apertis verbis: le elezioni in Germania non lo consentono. Difficile però che nei fatti non si continuerà con l’approccio cautamente soft, già usato con l’Italia prima e poi con Spagna e Portogallo, tenendo conto che tutti i candidati repubblica­ni alle presidenzi­ali francesi annunciano pubblicame­nte che, se eletti, non rispettera­nno la regola del deficit del 3%.

Nessuna novità davvero sostanzial­e, quindi, da Bratislava ma un atteggiame­nto business-like che potrebbe prima o poi fare atterrare l’Europa dei 27 sul pianeta della concretezz­a e del pragmatism­o: un cemento più moderno ed efficace per rimettere insieme i pezzo di un'integrazio­ne allo sbando.

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