Borse, il caso-Germania affonda le banche
La prospettata multa a Deutsche Bank spinge le vendite - Sale il dollaro sui dati dell’inflazione
Le banche entrano in fibrillazione e i listini europei crollano. È accaduto ieri. Accadrà in futuro. I mercati ormai, su questo fronte, sono «pavloviani».
Reagiscono, a torto o a ragione, in maniera automatica e polarizzata. Nelle Borse dell’era dell’eccesso di liquidità, e dei tassi a zero, non si distingue tra singole storie aziendali. Non si guarda ai fondamentali. Si prende il rischio («risk on») oppure se ne esce («risk off»). Senza mezze misure.
Nell’ultima seduta, per l’appunto, i flussi di vendita hanno prevalso. Il «la» alla fuga l’aveva dato, nella nottata precedente, la notizia su Deutsche Bank. Vale a dire: la proposta del dipartimento di Giustizia Usa, all’istituto tedesco, di transare con 14 miliardi di dollari la causa sui mutui subprime erogati prima dello scoppio della crisi del 2008. L’«evento», non c’è da stupirsi, ha subito mandato in «tilt» i vari settori bancari dei diversi listini. Tra questi, quello italiano.
Certo: molti diranno che, in realtà, ha pesato la volatilità dovuta all’attesa per le mosse della Fed. Due giorni fa l’S&P 500 era salito in seguito ai deludenti numeri su vendite al dettaglio e produzione industriale Usa. Ieri, invece, Wall Street ha aperto al ribasso in scia ai dati dell’inflazione di agosto superiori alle stime (+0,2%).
Non solo. Altri esperti saranno certamente convinti che la vera causa dell’ultima discesa dei listini è da attribuirsi al continuo calo del prezzo del petrolio. La «versione» Wti, consegna ad ottobre, è andata al di sotto dei 43 dollari al barile. Sarebbe questa dinamica che, a fronte della correlazione inversa con l’azionario, ha «depresso» gli operatori, spingendoli alle vendite.
Che dire! Simili argomentazio- ni hanno la loro validità. Tuttavia, da un lato, le variabili della volatilità e del petrolio occupano la scena da parecchio tempo. E, dall’altro, le vendite, ieri, sono iniziate subito in mattinata. In particolare a Piazza Affari dove, si sa, sugli istituti finanziari pesano la montagna di sofferenze e una congiuntura sempre più debole.
Con il che sostenere, per l’appunto, il ruolo determinante del caso Deutsche Bank non pare fuori luogo. Anche perché ogni volta che c’è un evento, o una notizia, legata ai titoli finanziari l’effetto è immediato e, soprattutto, amplificato. Che si tratti di una scusa per giustificare la propria operatività, oppure la reale necessità di modificare il portafoglio, poco importa. L’impatto è concreto.
Così Milano, dove il Ftse Italia Bank ha ceduto il 3,98% (Mps in rosso del 9,34%), ha archiviato la seduta in ribasso del 2,43%. Una volta tanto, anche e soprattutto a causa del tonfo di Deutsche Bank (-8,47%), la stessa Francoforte è scivolata all’ingiù con forza (-1,49%). Più contenute, invece, le perdite di Madrid (-1%) e Parigi (-0,93%). A livello paneuropeo, infine, lo Stoxx Europe 600 ha perso lo 0,74% con, quasi inutile sottolinearlo, il comparto bancario che si è aggiudicato il primo premio per la peggiore performance di giornata (-2,1%).
Dal mondo delle Borse a quello del reddito fisso. Qui deve registrarsi il ritorno di fiamma per il «Fly to quality». Il rendimento del Bund decennale, seppure resistendo sopra lo zero, sì è nuovamente schiacciato (0,007%). Lo spread con Roma, tuttavia, non è andato troppo allargandosi. Il tasso del BTp è rimasto praticamente invariato. Di conseguenza la differenza tra il rendimento del governativo italiano e quello tedesco si è assestato a 133,6 punti base (erano 130 due giorni fa).
Più interessante, invece, notare che lo spread spagnolo è a un livello ben inferiore (107 punti base). Si tratta di una situazione conseguente ad un mix di cause. Tra queste, però, un ruolo determinante lo recita, da una parte, la maggiore debolezza politico-economica dell’Italia; e, dall’altra, la percezione (a torto o ragione) di un sistema bancario più in difficoltà.
Infine il mercato delle monete. L’euro, nei confronti del dollaro, in serata viaggiava intorno a quota 1,116. Il calo, durante le contrattazioni, si è avuto subito dopo il dato sull’inflazione Usa. La dinamica è comprensibile: l’aumento del costo della vita induce ad ipotizzare che la Fed possa alzare i tassi. Una prospettiva che rafforza il biglietto verde e indebolisce la moneta unica. Almeno nell’intraday.