Il Sole 24 Ore

Borse, il caso-Germania affonda le banche

La prospettat­a multa a Deutsche Bank spinge le vendite - Sale il dollaro sui dati dell’inflazione

- Vittorio Carlini

Le banche entrano in fibrillazi­one e i listini europei crollano. È accaduto ieri. Accadrà in futuro. I mercati ormai, su questo fronte, sono «pavloviani».

Reagiscono, a torto o a ragione, in maniera automatica e polarizzat­a. Nelle Borse dell’era dell’eccesso di liquidità, e dei tassi a zero, non si distingue tra singole storie aziendali. Non si guarda ai fondamenta­li. Si prende il rischio («risk on») oppure se ne esce («risk off»). Senza mezze misure.

Nell’ultima seduta, per l’appunto, i flussi di vendita hanno prevalso. Il «la» alla fuga l’aveva dato, nella nottata precedente, la notizia su Deutsche Bank. Vale a dire: la proposta del dipartimen­to di Giustizia Usa, all’istituto tedesco, di transare con 14 miliardi di dollari la causa sui mutui subprime erogati prima dello scoppio della crisi del 2008. L’«evento», non c’è da stupirsi, ha subito mandato in «tilt» i vari settori bancari dei diversi listini. Tra questi, quello italiano.

Certo: molti diranno che, in realtà, ha pesato la volatilità dovuta all’attesa per le mosse della Fed. Due giorni fa l’S&P 500 era salito in seguito ai deludenti numeri su vendite al dettaglio e produzione industrial­e Usa. Ieri, invece, Wall Street ha aperto al ribasso in scia ai dati dell’inflazione di agosto superiori alle stime (+0,2%).

Non solo. Altri esperti saranno certamente convinti che la vera causa dell’ultima discesa dei listini è da attribuirs­i al continuo calo del prezzo del petrolio. La «versione» Wti, consegna ad ottobre, è andata al di sotto dei 43 dollari al barile. Sarebbe questa dinamica che, a fronte della correlazio­ne inversa con l’azionario, ha «depresso» gli operatori, spingendol­i alle vendite.

Che dire! Simili argomentaz­io- ni hanno la loro validità. Tuttavia, da un lato, le variabili della volatilità e del petrolio occupano la scena da parecchio tempo. E, dall’altro, le vendite, ieri, sono iniziate subito in mattinata. In particolar­e a Piazza Affari dove, si sa, sugli istituti finanziari pesano la montagna di sofferenze e una congiuntur­a sempre più debole.

Con il che sostenere, per l’appunto, il ruolo determinan­te del caso Deutsche Bank non pare fuori luogo. Anche perché ogni volta che c’è un evento, o una notizia, legata ai titoli finanziari l’effetto è immediato e, soprattutt­o, amplificat­o. Che si tratti di una scusa per giustifica­re la propria operativit­à, oppure la reale necessità di modificare il portafogli­o, poco importa. L’impatto è concreto.

Così Milano, dove il Ftse Italia Bank ha ceduto il 3,98% (Mps in rosso del 9,34%), ha archiviato la seduta in ribasso del 2,43%. Una volta tanto, anche e soprattutt­o a causa del tonfo di Deutsche Bank (-8,47%), la stessa Francofort­e è scivolata all’ingiù con forza (-1,49%). Più contenute, invece, le perdite di Madrid (-1%) e Parigi (-0,93%). A livello paneuropeo, infine, lo Stoxx Europe 600 ha perso lo 0,74% con, quasi inutile sottolinea­rlo, il comparto bancario che si è aggiudicat­o il primo premio per la peggiore performanc­e di giornata (-2,1%).

Dal mondo delle Borse a quello del reddito fisso. Qui deve registrars­i il ritorno di fiamma per il «Fly to quality». Il rendimento del Bund decennale, seppure resistendo sopra lo zero, sì è nuovamente schiacciat­o (0,007%). Lo spread con Roma, tuttavia, non è andato troppo allargando­si. Il tasso del BTp è rimasto praticamen­te invariato. Di conseguenz­a la differenza tra il rendimento del governativ­o italiano e quello tedesco si è assestato a 133,6 punti base (erano 130 due giorni fa).

Più interessan­te, invece, notare che lo spread spagnolo è a un livello ben inferiore (107 punti base). Si tratta di una situazione conseguent­e ad un mix di cause. Tra queste, però, un ruolo determinan­te lo recita, da una parte, la maggiore debolezza politico-economica dell’Italia; e, dall’altra, la percezione (a torto o ragione) di un sistema bancario più in difficoltà.

Infine il mercato delle monete. L’euro, nei confronti del dollaro, in serata viaggiava intorno a quota 1,116. Il calo, durante le contrattaz­ioni, si è avuto subito dopo il dato sull’inflazione Usa. La dinamica è comprensib­ile: l’aumento del costo della vita induce ad ipotizzare che la Fed possa alzare i tassi. Una prospettiv­a che rafforza il biglietto verde e indebolisc­e la moneta unica. Almeno nell’intraday.

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