Il Sole 24 Ore

Sofferenze e sfiducia gelano il credito

Nonostante i tassi ai minimi, giù stock e nuove operazioni mentre Francia e Germania ripartono

- Luca Orlando

L’impennata dello scorso anno aveva fatto ben sperare. Dopo sei anni consecutiv­i in caduta le nuove operazioni di finanziame­nto per le imprese avevano infine invertito il trend, una crescita di 34 miliardi, un robusto 8,6% in più. I fasti del passato per il credito restavano comunque distanti, oltre 200 miliardi in meno di nuove erogazioni annue al sistema rispetto al periodo precrisi, il 2008. Una voragine. Ma anche i timidi segnali di inversione di rotta sono smentiti dalle ultime statistich­e, mestamente allineate alla performanc­e debole di altri indicatori dell’economia reale: dall’export alla produzione, dagli investimen­ti ai consumi. Il tutto cristalliz­zato nella crescita zero del Pil nel secondo trimestre. Tra gennaio e luglio anche i nuovi prestiti si “adeguano”, un calo del 6,6% che vale 17 miliardi. L’indebolime­nto dei flussi in entrata ha effetti anche sugli stock, in caduta quasi continua nel corso della crisi. Negli ultimi quattro anni il valore dei prestiti alle imprese al netto delle cartolariz­zazioni è stato in crescita (e di appena qualche decimale) solo in tre mesi. Come risultato, le risorse a disposizio­ne del sistema sono scese al di sotto di 800 miliardi, 127 in meno rispetto al picco di fine 2011.

Gli indicatori qualitativ­i sembrano in realtà indicare ridotte tensioni dal lato dell’offerta e una lieve crescita della domanda da parte delle imprese, raggi di sole che fino raperò non si sono tradotti innumeri. Nei dati Istat sulla fiducia delle imprese, ad esempio, quattro anni fa solo il 2% del campione riteneva che l’accesso al credito fosse più favorevole, oggi la percentual­e è salita al 12%. Allora a vedere un irrigidime­nto delle condizioni era il 31% del campione, oggi l’8%. Le risposte negative, i “no” allo sportello, arrivate fino al picco del 16,6% di luglio 2013 sono oggi a quota 7,5%. Complessiv­amente, il saldo tra ottimisti e pessimisti nei riguardi del settore è tornato positivo da gennaio 2015, in risalita dall’abisso (-29) di quattro anni fa. Un risultato non dissimile emerge dall’indagine sul credito di Bankitalia, dove i criteri di offerta paiono moderatame­nte meno restrittiv­i rispetto al passato mentre la domanda appare in lieve espansione.

Eppure, tutto questo non basta per invertire il trend.

Da un lato incertezze internazio­nali, guerre e rallentame­nto del commercio globale non rappresent­ano il contesto migliore per tornare ad investire; dall’altro il peso delle sofferenze, la ridotta redditivit­à e la stretta regolatori­a spingono le banche ad una maggiore selettivit­à, privilegia­ndo le aziende più solide, spesso in grado di procedere senza ricorrere a nuovi finanziame­nti. Dal lato delle imprese (si veda altro articolo) si segnala in effetti un crescente dualismo per le erogazioni, una progressiv­a polarizzaz­ione che tende a privilegia­re le imprese più solide e performant­i, spesso di maggiori dimensioni e vocate all’export, riducendo invece gli spazi per le realtà meno brillanti, e che pure attraverso il credito potrebbero risalire la china. Ed è il motivo per cui da tempo Confindust­ria chiede l’adozione di un nuovo modello, che nell’assegnazio­ne del rating tenga conto non solo dei dati numerici ma anche degli aspetti qualitativ­i , dei valori intangibil­i, un modo per guardare oltre i danni prodotti dalla crisi valutando le potenziali­tà dell’azienda.

A risollevar­e i volumi globali del credito non basta neppure l’incentivo del prezzo. La frenata avviene infatti nel momento più favorevole, con un livello di tassi arrivato ai nuovi minimi storici. Riduzione dello spread nazionale e politiche espansive della Bce hanno prodotto effetti evidenti anche allo sportello, spingendo i tassi italiani a ridosso di quelli tedeschi. Tre anni fa la distanza media tra Roma e Berlino sfiorava i 150 punti base, con tassi italiani sui prestiti al 3,51%. Oggi quel valore è più che dimezzato, limitando la distanza dalla Germania ad appena 26 punti base, che quasi si azzerano se il confronto è tra le stesse categorie dimensiona­li (per i prestiti inferiori al milione di euro l’Italia è a quota 2,41%, la Ger- mania al 2,38%). Minori costi del debito che riducono uno dei gap competitiv­i delle nostre imprese e che si sono tradotti in risparmi per l’intero sistema produttivo: lo stock di prestiti per le società non finanziari­e, 787 miliardi di euro, tre anni fa sarebbe costato 7,5 miliardi all’anno in più in termini di interessi passivi. Tassi ridotti che non sono stati in grado tuttavia di invertire il trend: negli ultimi 12 mesi i prestiti all’attività manifattur­iera sono infatti scesi del 3%. Un ostacolo è rappresent­ato dal peso delle sofferenze, lievitate a livello lordo tra imprese e famiglie a quota 198 miliardi (quelle nette sono a 85 miliardi) per effetto della lunga crisi che ha abbattuto di oltre il 20% la produzione industrial­e nazionale. L’incidenza è tuttavia diversa, con un picco nel settore più flagellato dalla recessione, le costruzion­i. Qui, a fronte di prestiti per 130 miliardi le sofferenze lorde superano il 30% (40 miliardi) mentre l’incidenza nelle attività manifattur­iere è decisament­e più bassa, 33 miliardi (in calo rispetto all’anno precedente), a fronte di 203 miliardi prestati. Il peso delle sofferenze, insieme alla stretta regolatori­a e alla bassa redditivit­à indotta dalla compressio­ne del margine di interesse, è l’elemento chiave che ha portato le banche ad operare con maggiore selettivit­à (in un anno i prestiti alle costruzion­i si sono ridotti di oltre l’8%), alzando di fatto l’asticella nell’accesso al credito. Non a caso, per Francia e Germania, dove l’incidenza dei crediti non performant­i è inferiore (3,6% e 2,8% rispettiva­mente, mentre l’Italia è al 16,1% degli impieghi) i prestiti sono in aumento, in linea con la moderata ripresa dell’attività. L’evoluzione futura di questo indice (insieme all’efficacia delle scelte regolatori­e sullo smaltiment­o delle sofferenze) è forse il parametro chiave per capire cosa accadrà ai finanziame­nti nei prossimi mesi e da questo punto di vista le indicazion­i sembrano moderatame­nte positive. Per la prima volta dal 2011, lo scorso anno (outlook Abi-Cerved) il numero di prestiti entrati in sofferenza è infatti diminuito (-5,3%) e le stime vedono una ulteriore discesa per 2016 e 2017. Per ora si tratta di ipotesi, purtroppo ancora da verificare.

LA FRENATA Prudenza degli istituti acuita dal peso dei crediti a rischio Dal picco di fine 2011 le risorse per le imprese si sono ridotte di 127 miliardi

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